Falsi, falsari e simili

Nel complesso la cultura contemporanea ha una concezione ”romantica” dell’arte per cui l’artista è una sorta di demiurgo che, con possibilità quasi divine, riesce a creare “il capolavoro”.
Pittori, scultori, poeti, musicisti (la dove esistono ancora), eroicamente incompresi, creano (letteralmente, creano) l’opera d’arte che deve essere, necessariamente nuova, originale, unica irripetibile.
Ma allora tutto quello che non possiede queste caratteristiche è, in qualche modo, falso? Oppure, più semplicemente, abbiamo un falso d’arte quando qualcuno, volontariamente, crea un oggetto, esteticamente caratterizzato, con intenzioni fraudolenti e a fine di lucro?
Più invecchiamo e più siamo convinti che la realtà è tanto complessa che mai nessuna “cornice” potrà, in qualche modo, inquadrarla. Quando alcuni “grandi” (filosofi, ideologi, politici) ci han provato son riusciti solo a provocare, immani e sanguinose tragedie.

Così per l’arte e i suoi falsi è inutile seguire degli schemi. Di conseguenza, in questo campo sconfinato, ci limiteremo a suggerirvi qualche fatto. Per renderci conto di quanto sia ambiguo il mondo dell’arte, iniziamo con l’accennare il problema della statuaria antica. Se voi, a Roma, percorrete quello che fu il museo delle Terme, i Musei Capitolini, o certe parti sconfinate, dei Musei Vaticani, vi troverete di fronte a una massa di statue, tutte rigorosamente bianche che, per brevità, chiameremo romane. Ebbene si tratta di manufatti che sono, in grandissima parte, copie (anche di mediocre qualità) di originali greci, oggi perduti.
Prendiamo a esempio il Discobolo di Mirone (1) L’originale era certamente in bronzo e quelle che noi oggi conosciamo sono derivazioni marmoree tarde e, ovviamente, molto restaurate. Una vera palestra per le diatribe degli archeologi che, fra Otto e Novecento, si sono accapigliati senza sosta a proposito di ricostruzioni e rifacimenti. E oggi, dopo tanto sudare, certi “puristi” saltan su a dire che è bene (o sarebbe bene) disfare il tutto lasciando solo ciò che rimane dell’antico (Ma quale?)
E così, se dovessimo seguire i precetti più rigorosi dell’estetica “moderna” dovremmo dire che una grandissima parte della statuaria antica è, irrimediabilmente falsa. Ma, grazie a Dio, questo pensiero neppure ci sfiora; anzi proviamo una vera e propria venerazione per queste reliquie del mondo classico.
Ma c’è di peggio. Girando per Firenze vi troverete davanti a negozi che vendono statue; tutte copie perfettamente contemporanee di sculture più o meno antiche: greche, etrusche, romane, rinascimentali, barocche, neoclassiche (tante), romantiche ecc, ecc. Ebbene tutti noi, o quasi andiamo subito (ironicamente) con il pensiero ai benestanti incolti stranieri che adornano i loro palazzi, ville, giardini con simili orrendi falsi….

Falsi? Come? Le copie romane sono vere e venerabili, quelle moderne no, false e kitsch? Quale il discrimine? Il tempo? Ma allora dovremmo dire che i secoli hanno il potere di rendere vero ciò che è nato falso? Tutto è possibile….
D’altronde quando i romani opulenti volevano avere in cortile un Discobolo di Mirone e, logicamente, non potevano venire in possesso dell’originale e si accontentavano di una copia erano coscienti di possedere una riproduzione?

O peggio, un falso? O meglio, quello che volevano avere era l’originale e non piuttosto l’idea (l’invenzione) che era alla base dell’archetipo? Lasciamo in sospeso questo interrogativo perché il problema ritornerà quando esamineremo alcune copie di incisioni rinascimentali o seicentesche.
Il Secondo Concilio di Nicea (787) mette fine alla questione iconoclasta e pone le fondamenta dell’arte Cristiana, che sarà poi quasi tutta l’arte della Civiltà d’Occidente fino al tramonto del XVIII sec.
Cogliamo fra le più evidenti conseguenze del Nicea Secondo, un elemento che solo qui ci interessa. L’immagine della Divinità di Cristo (e di riflesso la Vergine e i Santi) per essere “attendibile” non può che essere rivelata.

NON FATTA DA MANO UMANA (La Sindone, il Velo della Veronica, la madonna di San Luca) Quindi il ruolo dell’artista (che in verità, grazie a Dio, è un artigiano specializzato) è quello di riprodurre costantemente questa effigie. E là dove l’Ortodossia è rimasta viva, il fenomeno permane immutato fin quasi ai nostri giorni. Anzi oggi, dopo la fine, a Est, del comunismo sembra riprendere rinnovato vigore. Ma come accordare questa visione con la nostra estetica che propugna l’unicità dell’opera d’arte?

Eppure a nessuno di noi passa per la mente definire falsa un’icona bizantina. E un caso limite, eppure, in fondo, anch’esso fa parte dello stesso problema.
In giovinezza Michelangelo scolpisce un Cupido dormiente. L’artista si vuole misurare con l’antico oppure realizzare un’imitazione dell’antico? Baldassarre del Milanese lo vende, comunque, come opera d’epoca al Cardinale Riario. Ma in seguito questi si pente e lo rifiuta. Commenta il Vasari: “Questa cosa non passò senza biasimo del Cardinale il quale non conoscendo le virtù dell’opera, che consiste nella perfezione, che tanto son buone le moderne, quanto le antiche, purche siano eccellenti, essendo più vanità quella di color che van dietro più al nome che ai fatti….”
E qui si potrebbe introdurre un tema di vastissima e controversa portata. Ossia: l’opera d’arte è essenzialmente connotata dalla “qualità”. Ma che importanza ha, allora, l’identificazione dell’autore? Dicevano un giorno a Stephen Pepper (il maggior conoscitore di Guido Reni e fra i più profondi studiosi del seicento emiliano): “Ma non sei stufo di tutte queste diatribe attribuzionistiche? Noi non ne possiamo più. Un quadro è bello o brutto; punto e basta!” Risposta: “ Ma siete matti? Dove andrebbe a finire il pensiero fondamentale della visione umanistica dell’Occidente che vede la “persona” al centro delle cose? L’artista deve essere conosciuto come persona e le sue opere inscindibili da essa.

Possiamo dargli torto? Certo che no.