Il vetro veneziano
ARTICOLO NON DISPONIBILEMurano, Museo del Vetro
Sebbene il vetro raggiunga il suo massimo splendore nel periodo rinascimentale, la sua storia viene da molto più lontano, e la tecnica del soffiato, che apre la strada alla produzione in grande quantità di manufatti in vetro, pare fosse già conosciuta in Siria nella seconda metà del 1° sec a.C. Anche la composizione del vetro non subisce cambiamenti sostanziali nel corso dei secoli, con materie prime che differiscono in base alle risorse disponibili in loco. Per esempio il principale ingrediente, la sabbia, come pure il legno per le fornaci, sono sempre reperiti nelle vicinanze; fanno eccezione i vetrai veneziani, che devono ovviamente importare tutti i materiali. Al fine di preservare e migliorare la qualità della produzione, le autorità veneziane controllano addirittura l’importazione delle materie prime, anche a scapito di un aumento dei costi finali: per esempio utilizzano la fine sabbia del Ticino, in luogo di quella più vicina, ma più ghiaiosa e grossolana, del Sile. Ed è proprio a Venezia che la lavorazione del vetro (che va rivestendo una sempre maggior rilevanza economica) da artigianato si eleva ad arte. Sembra che in città la produzione vetraria risalga alla fine del X° secolo, probabilmente collegata al trasferimento sulle isole dell’estuario dei Veneti provenienti dalla fascia costiera adriatica, dove avevano appreso le tecniche romane della lavorazione del vetro. Comunque nel 982 in un documento è segnalata la presenza a Venezia di tale Petrus Flabianicus Phiolarius, ovvero fabbricante di bottiglie (fiole, appunto). Sebbene non sia rimasto quasi nessun vetro veneziano anteriore al 1400 (trannedue bicchieri e una bottiglia ritrovati in scavi a Malamocco, databili tra la fine del XIV e l’inizio del XV secolo), si può presumereche i primi prodotti fossero abbastanza simili a quelli delle altreregioni europee, e che soloin seguito la particolare privilegiata posizione della città abbia favorito un continuo miglioramento dell’arte, grazie all’incontro di artigiani, manufatti e tecniche provenienti dall’Oriente. Nel1292le vetrerie sono così numerose in città che un editto del Consiglio della Repubblica della Serenissima, per motivi di sicurezza, impone alla corporazione (che già dagli inizi del XIII° secolo ha un proprio statuto), di trasferirsi sulla piccola isola di Murano: i frequenti incendi delle vetrerie sono sicuramente meno dannosi su una piccola isola che in una città densamente popolata come Venezia.
1400-1500
NelXIV secolo la produzione veneziana è ben avviata, con almeno dodici vetrerie che soffiano oggetti d’uso comune, tra cui le inghistere,bottiglie dal lungo collo e corpo a cipolla, e fino alla prima metà del 1400 sembra che la produzione veneziana si orienti innanzitutto verso prodotti utilitaristici, di uso quotidiano; a questi vanno aggiuntele perline di vetro, preziosa merce di scambio ed esportazione, definite in base alla tecnica produttiva di conteria, rosetta o a lume. Le perle di conteria (dette anche paternostri o margarite), documentate a Murano dal XIV secolo, sono monocrome e piccolissime, si ottengono “industrialmente” da sottili canne vitree forate, e sono utilizzabili anche per ricami e composizioni diverse; le perle rosetta, inventate nel XV secolo da Marietta Barovier, figlia di Angelo, derivano da canne forate, composte, come le murrine, da più strati policromi; leperle a lume risalgono invece al Seicento, si ottengono da una canna non forata (massiccia), riscaldata a fiamma (lume), e colata su un filo metallico tenuto manualmente in costante rotazione, con infinite varianti di possibili aggiunte, effetti e colori. Altra produzione dell’epoca sono i rui,vetri circolari legatiin serie a piombo, a costituire vetri per finestre, se piccoli; quelli di grandi dimensioni vengono invece tagliati performare vetrate policrome, figurate, sempre legate a piombo. E’dal medio Quattrocento che Venezia, complice il declino della produzione islamica, assume una leadership incontrastata nell’arte del vetro. La svolta è determinata anche dall’invenzione del vetro cristallino o cristallo veneziano,ottenuto abbinando polvere di quarzo (ricavata per macinazione dai ciottoli del fiume Ticino), con un’alga delle paludi salmastre, la barilla, da cui si ricava la cenere di soda, e utlizzando il biossido di manganese come decolorante. La tecnica dovuta probabilmente al muranese Angelo Barovier (1405-1460), per la prima volta nella storia permette di ottenere un vetro trasparente, purissimo, simile al cristallo di rocca, adatto ad una lunga e complessa lavorazione manuale. Inizialmentedunque i vetrai venezianisi dedicano soprattuttoalla sperimentazione dei materiali, creando formule su cui ogni bottega mantiene grande segretezza, cosa che spiega la differenza qualitativa dei prodotti; solo nel 1500 saranno create quelle forme ricercate, eleganti e fantasiose, per le quali Venezia diventerà famosa ovunque. Si perfeziona un vetro dal colore intenso, blu o rosso rubino, e fin dal XIII secolo è documentata a Murano la tecnica della decorazione a smalto,di cui sempre Barovier diventa maestro (famosissima la coppa Barovier, raro esempio di manufatto firmato, conservata al Museo del vetro di Murano); si tratta di una tecnica di invenzione probabilmente siriana, ormai a quel tempo in disuso nel mondo islamico, eportata all’eccellenza a Venezia. Le iconografie sono inizialmente quasi solo nuziali, ma verso la fine del secolo appaiono nuovi temi, come i motivi araldici e grotteschi che decorano i calici; disegni modulari, punti e linee colorate definiscono una decorazione geometrica entro la quale viene stesa la doratura. Nei vetri di particolare pregio compaiono soggetti tratti da stampe, dipinti, livres d’images o emblematia, diffusi tra gli artisti: centauri, mostri marini, putti, e anche immagini tratte dai tarocchi ferraresi. I vetrai inventano nuove tecniche e riscoprono quelle antiche. Per esempio dalla tradizionale produzione delle perle, ottenuta da canne fuse multicolori, nasce l’arte del vetro noto come millefiori, dove canne di diversi colori tagliate e inserite nella massa vetrosa poi modellata permettono la produzione di oggetti particolarmente eleganti, come le brocche conservate al British Musem. Probabilmente nel tardo 400 compare il vetro calcedonio, vetro opaco variegato, a imitazione di pietre semipreziose (come l’agata zonata, il calcedonio naturale, l’onice, la malachite),che gode grande favore fino a fine 500. Un’altra lavorazione introdotta a Murano nel XV secolo (poi ripresa nel XIX), è la decorazione a foglia d’oro, a volte usata insieme alla decorazione a smalto: la foglia metallica viene ricoperta da un ulteriore strato di vetro, e si frantuma in piccoli frammenti o in un pulviscolo lucente all’interno della pasta in seguito alla soffiatura definitiva. Il XVI secolo è l’età d’oro del vetro veneziano. Imuranesi diventano celebri in Europa, tanto che a partire dal 1500 si può parlare addirittura di dinastie di vetrai. Oltre ai già citati si ricordano, tra gli altri, i Ballarin, i Bortolussi, i Dragani, i Mozetto, i Della Pigna. Laproduzione delle botteghe dell’isola assume caratteri di vero virtuosismo, anche con complesse esecuzioni a mano volante, cioè a mano libera, una tecnica in cui ancora oggi si distinguono i maestri muranesi. In quest’epoca si privilegia l’uso del cristallo puro e trasparente, con cui si realizzano calici di singolare armonia ed eleganza, e si sperimentano nuove tecniche decorative come per esempio l’incisione a punta di diamante, già nota in epoca romana, reintrodotta a Murano (1534-35) da Vincenzo d’Angelo dal Gallo, cheproduce sul vetro raffinate trame simili a merletti (imitata e diffusa in tutta Europa).Si sperimenta anche la pittura a freddo,applicata sul rovescio degli oggetti, con temi ispirati agli artisti del tempo, il vetro ghiaccio (presente a Venezia dal 1570), dalla superficie esterna rugosa e traslucida, e soprattutto la filigrana (di cui sono note diverse varianti, come la filigrana a reticello e quella a ritortoli),una delle più complesse e affascinanti creazioni muranesi, inventata da Filippo Catani della Sirena verso il 1527. Sempre al 1500 risale la produzione dei primi specchi di vetro: a Murano nel 1570 si concedeai fratelli Dal Gallo di fabbricare specchi di vetro secondo un procedimento segreto. Le lastre da specchio sono preparate nelle fornaci appartenenti al colonnello dell’Arte vetraria dei fabbricanti di quari e lastre, e consegnate poiagli spegeri (specchieri) per la spianatura; l’argentatura si ottiene con un’amalgama di stagno e mercurio (sostituito dal 1840 con un deposito d’argento o di platino). Gli specchi godranno fino a tutto il Settecento di grande fortuna, con le loro ricche cornici rivestite di vetro decorato a smalti o con incisioni che compaiono spesso anche sulla superficie specchiante.
1600
Le invenzioni cinquecentesche continuano ad essere prodotteanche nel secolo successivo, quando il gusto dei vetrai muranesi si orienta verso forme bizzarre, con prevalente funzione decorativa, in cui spicca il virtuosismo dei maestri: stravaganti lampade a forma di animali, vasi e calici a forma di fiore, decorati ad alette, creste, dentellature, trafori e fili. E’invece del Seicento l’invenzione dell’avventurina, una particolare pasta vitrea, chiamata a Venezia anche venturina o stellaria, prevalentemente usata come pietra dura, assai difficile da ottenere, al punto che, da allora e fino a fine Ottocento, la tecnica per realizzarla è andata più volte perduta. Verso la fine del secolo compaiono i vetri decorati a penne o vetri piumati, tecnica giàusata nei vetri preromani fenici ed egiziani, ottenuti avvolgendo, con uno speciale utensile, fili di lattimo pettinati a festoni, e arriva a Murano, portata da incisori tedeschi, l’incisione su vetro con ruotina di pietra abrasiva o di metallo, ripresa dalla lavorazione delle pietre dure e del cristallo di rocca. Ma il Seicento è anche il secolo della grave crisi economica che segue la peste del 1630, e dell’arrivo sui mercati europei, intorno agli anni 70/80, del vetro boemo. Molti vetrai muranesi lasciano quindi l’isola, per andare a produrre all’estero à la façon de Venise.
1700
All’inizio del XVIII secolo le criticità si fanno più evidenti. La concorrenza boema è diventata un problema e la crisi economica continua. L’intraprendente muranese Giuseppe Briati nel1737riceve dalla Serenissima l’esclusiva per la produzione di un cristallo ad uso di Boemia,da lui messo a punto grazie anche alla probabile collaborazione con vetrai boemi, e di cui adatta la produzione al gusto e alla fantasia veneziana. Inventa i famosissimi lampadari a molteplici bracci di cristallo, costituiti da da una struttura metallica rivestita di vetro incolore o colorato, decorati da festoni, foglie e fiori, con colonnine ritorte soffiate, o con elementi di ispirazione orientale (un suo autentico e splendido esemplare è esposto al Museo di Ca’ Rezzonico, a Venezia, ma il genere continua da allora a essere riproposto e realizzato in infinite varianti). Ottiene eccezionalmente il permesso di aprire una fabbrica a Venezia, ove produce anche cornici e specchi intagliati, oltre ai deseri, o trionfi da tavola, elaborati centri tavola composti da numerosi pezzi, realizzati in una grande varietà di forme e materiali: vetro, ceramica, porcellana, argento. Famoso quello conservato al Museo del Vetro di Murano, un grande centro tavola in cristallo a forma di giardino all’italiana (1760 circa), composto di numerosissimi elementi, con statue, fontane, colonne, archi, balaustre, ecc. Altra tipica testimonianza del gusto dell’epoca sono i fixésous verre, ovvero incisioni all’acquaforte dipinte e poi incollate su vetro, con scene galanti; famosa e richiestissima all’epoca la produzione, ad opera di Briati e dei suoi successori (Giacomo Giandolin, Lorenzo Rossetto, Zuane Gastaldello) di sedie, tavolini, armadi, specchi, lumiere, di cristallo finissimo di colore azzurro. Altro genere di vetro ampiamente prodotto nel Settecento è il lattimo (noto ai Romani, sia pur con tecniche produttive diverse), e utilizzato già da fine Quattrocento, a imitazione delle prime porcellane giunte dalla Cina. Quando, nel XVIII secolo, la porcellana inizia a esser fabbricata anche in Europa, parallelamente i lattimi veneziani acquistano crescente fortuna; sono decorati a smalti e oro con scene di genere, cineserie, soggetti mitologici e motivi rococò, e si realizzano con nuove tecnologie produttive. Specialisti del settore, a Murano, sono soprattutto la famiglia Miotti, che talora firma i propri oggetti, e i fratelli Bertolini, che nel 1739 ottengono dalla Repubblica il diritto esclusivo della decorazione con oro.
1800
Nellaprima metà dell’Ottocento le vetrerie muranesi vivono il periodo più difficile della loro storia. Dopo la caduta della Repubblica nel 1797 sotto Napoleone, Venezia e Murano subiscono infattiun drastico declino culturale e commerciale. Una delle strategie poste in atto dai maestri vetrai per uscire dalla crisi è lo studio e la riscoperta di tecniche antiche,che adattanoai gusti del tempo. Vincenzo Moretti (1835-1901) riscoprela formula delle murrine, nota in epoca romana e praticata dai veneziani nel XV secolo, Giovanni Battista Franchini (1804-1873) inventa canne millefiori sempre più sottili e complesse, con disegni diversi dalla tradizionale stella, il perlaio Domenico Bussolin riscopre la lavorazione a filigrana, Pietro Bigaglia riporta in vita l’avventurina, pasta vitrea di colore rosso bruno dai riflessi metallici dovuti alla presenza di cristalli lamellari e lucenti di rame; le loro opere, di grande qualità, sono caratterizzate da forme sobrie e lineari, coerenti con la moda del Biedermeier in voga a metà Ottocento. Dagli anni 60 però i maestri muranesi vanno via via cimentandosi in opere sempre più complesse, in particolare con i lavori realizzati per due nuove fornaci, la F.lli Toso e la Salviati & C.,in grado di raggiungere i mercati esteri, soprattutto quello inglese, e di portare alle esposizioni mondiali vetri belli, leggeri, colorati e virtuosistici, mai apparsi prima sul mercato. Ottengono un grandissimo successo, con vetri come il vetro opale (Girasol), opalescente, con riflessi arancio, introdotto nella tecnologia muranese dal 1693 e nell’Ottocento ripresentato dalla Salviati & Co. all’Esposizione Industriale nel Palazzo dei Dogi a Venezia, o il Vetro Corinto, (probabilmente ideato da Lorenzo Radi figlio), così detto perché imitava la corrosione delle ceramiche di scavo. Murano, dopo quasi un secolo di oblio, torna così al centro della produzione artistica vetraria, ma a fine ottocento la sua produzione è ancora stilisticamente rivolta al passato, mentre in tutta Europa domina l’Art Nouveau. Nel 1895, a una mostra vetraria organizzata in concomitanza con la prima Biennale, solo la straordinaria coppa con stelo a spirale degli Artisti Barovier rappresenta una significativa apertura alla modernità.
1900
La via del rinnovamento del vetro muranese passa attraverso la collaborazione con artisti e designer di aziende sensibili, come la F.lli Toso o la fornace Artisti Barovier Per prima la Cappellin & Venini (fondata nel 1921) istituisce il ruolo di direttore artistico (Vittorio Zecchin), una novità assoluta per Murano; altre ditte seguono l’esempio, rendendo sistematica la collaborazione tra artisti, designers e gli straordinari maestri vetrai muranesi, con esiti di grandissima qualità. Zecchin lavora al recupero delle forme pure dei vetri cinquecenteschi, desunte dai dipinti rinascimentali; lo scultore Napoleone Martinuzzi, diventato direttore artistico della nuova Vetri Soffiati Muranesi Venini & C., inventa un nuovo vetro, opaco e spesso, caratterizzato dall’inclusione di innumerevoli bollicine d’aria (puleghe); Umberto Bellotto accosta il vetro al ferro battuto, collaborando con gli Artisti Barovier e poi con la Pauly &C. Importante punto di riferimento per il vetro inciso è la S.A.L.I.R., per la quale il boemo Franz Pelzel incide i decori di Guido Balsamo Stella; alla fine degli anni trenta Carlo Scarpa crea per Venini splendidi tessuti vitrei. Sempre più frequenti diventanole partecipazioni alle Biennali e alle varie mostre internazionali, con molti premi e riconoscimenti. Nel secondo dopoguerra il vetro pesante, anche massiccio, che aveva cominciato a prender piede già a fine anni 30, si sviluppa in varie forme negli anni 50-60, ad esempio nei tessuti vitrei policromi di Giulio Radi per AVEM, o nei vetri sommersi (composti di strati sovrapposti) di Flavio Poli per la Seguso Vetri d’Arte. Venini invece predilige il recupero in chiave contemporanea delle tecniche tradizionali, con i suoi vetri soffiati, lavorati a mano volante, a incalmo (unione a caldo di parti distinte), incisi, filigranati, ecc. La fabbrica Venini si pone all’avanguardia della produzione muranese, creando oggetti di intramontabile successo, grazie alla collaborazione di artisti di fama internazionale: Ludovico de Santillana, Toni Zuccheri, il finlandese Tapio Wirkkala. Altre fornaci lavorano alla reinterpretazione attualizzata di tecniche antiche: la Archimede Seguso si specializza in diverse sperimentazioni con la filigrana, la Salviati crea leggerissimi soffiati. La qualità, l’accuratezza della ricerca, la ricchezza delle sperimentazioni, la la forza espressiva dei risultati, fanno delleproduzioni muranesi del novecento un oggetto di culto per i collezionisti del settore.
Oggi
I lavori di vetro di Murano rimangono prodotti di lusso altamente desiderati. I maestri vetrai di Murano continuano a produrre bellissimi oggetti di vetro spaziando dallo stile classico alle linee nette del design, o ancora alle sculture contemporanee di artisti come Igor Balbi e Massimiliano Calderone. Murano è un crogiolo dove l’abilità e le tecniche sviluppate inquasi 900 anni vengono abbinate alle visioni artistiche contemporanee. (mb49)
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