Costantino Nigro, antiquario e mecenate
ARTICOLO NON DISPONIBILEnella foto: Costantino Nigro primo Presidente degli Antiquari in Italia e Giovanni Gronchi
fonte:
Genova e il collezionismo nel Novecento
studi nel centenario di Angelo Costa
a cura di Anna Orlando
Costantino Nigro, antiquario e mecenate,
e i suoi rapporti con Roberto Longhi,
Caterina Marcenaro e Angelo Costa
PIERO BOCCARDO
Nell’ambito di una serie di studi dedicati ad Angelo Costa e al contesto del collezionismo genovese nella sua epoca, si è avvertita la necessità di dedicare speciale attenzione a
Costantino Nigro (1894;1967) uno degli antiquari più noti fra quanti svolsero quella professione nel capoluogo ligure proprio negli anni in cui l’armatore mise insieme la sua raccolta’ non solo per via dei rapporti d’affari che lo legarono allo stesso Costa, ma specificamente per il ruolo che ebbe nella promozione, in particolare della scuola pittorica genovese, anche attraverso una cospicua e difficilmente superabile serie di donazioni ai musei cittadini. Tuttavia, mettendo insieme i non molti suoi dati biografici disponibili’ quasi tutti relativi agli anni della giovinezza e della maturità, ovvero precedenti l’avvio dell’attività nel commercio d’arte le informazioni tratte dagli inventari dei musei da lui beneficati e quelle desumibili dai cataloghi delle mostre antiquarie e d’arte cui partecipò o prestò dei dipinti, non si sarebbe potuto andare oltre un’elencazione delle opere passate attraverso le sue mani. Recenti ricerche hanno però permesso di individua, re fra le carte e gli archivi fotografici di due degli studiosi ” specificamente Roberto Longhi e Caterina Marcenaro e di un mercante d’arte ” Silla Giubilei, con cui, come già si sapeva o come si poteva ricavare dalle notizie raccolte, l’antiquario fu in rapporto, nuovi documenti che con, sentono di precisare e valutare in una prospettiva più ampia le vicende della sua vita.
Costantino Nigro nacque a Genova il 16 dicembre 1894 da una famiglia benestante, in una casa in cui erano presenti arredi e oggetti d’arte di un certo pregio; ottenuto il diploma liceale, si iscrisse alla facoltà di Giurisprudenza, laureandosi poi nel 1917. Per inciso, va notato che la scelta degli studi universitari, che potrebbe sembrare motivata da una specifica inclinazione per il diritto, più facilmente deve essere letta come un sintomo degli interessi culturali del Nigro giacché quel tipo di studi ” come dimostra l’analogo caso del poco più anziano Orlando Grosso (1882,1968), che fu poi per più di trent’anni direttore dei Musei Civici genovesi ” rappresentava allora una delle naturali prosecuzioni di una formazione di tipo umanistico. In effetti nel momento in cui, dopo aver preso parte all’ultimo anno di conflitto della Prima guerra mondiale col grado di Maggiore di complemento, volle trasferirsi nell’America del Sud, doveva aver già scelto di non intraprendere le professioni normalmente prospettate dagli studi che aveva compiuto. In Perù risulta che abbia cominciato a collaborare con periodici locali e che, con un ulteriore allargamento dei suoi interessi, nel 1925 si sia cimentato nella regia dell’Edipo re di Sofocle, messo in scena al Teatro Municipale di La Paz.
È significativo segnalare, riguardo a quest’ultimo episodio, che fu seguito da altre analoghe esperienze, e che quella fu la prima rappresentazione americana della tragedia. Rientrato successivamente a Genova, volle abbracciare la carriera scolasti, ca e, mettendo a frutto la competenza acquisita durante il soggiorno in America, nel 1932 ottenne l’abilitazione all’insegnamento della Lingua e della letteratura spagnola negli istituti superiori e, di seguito, ebbe la cattedra di Spagnolo in un liceo genovese. Contestualmente, entrato in contatto con Cesare Viazzi (1857/1943), un affermato mercante d’arte oltre che apprezzato artista genovese’, prese a collaborare con lui nel campo dell’antiquariato, passione che, verso la fine della Seconda guerra mondiale, lo indusse a lasciare la scuola per dedicarsi a tempo pieno a quel tipo di attività. A questo riguardo va segnalato che risale al 29 maggio del 1945 una cartolina postale diretta da Nigro a Roberto Longhi le cui poche righe, pur dedicate solo a convenevoli di circostanza, e forse da mettere in relazione alla ripresa di contatti a ridosso della drammatica conclusione del conflitto, dimostrano in ogni caso una conoscenza pregressa e certamente motivata dall’interesse per l’arte, anche se resta ignoto quando e come essa fosse avvenuta.
D’altronde che il Nigro si stesse facendo notare in quegli anni nell’ambito della nuova professione intrapresa lo dimostrano non tanto la donazione la sua prima di cui si abbia memoria del «Ritratto di un abate» (credibilmente il futuro cardinale Giovanni Battista Spinola iuniore) di Giovanni Battista Gaulli detto il Baciccio, destinato nel 1948 alla Galleria di Palazzo Bianco non ancora riaperta dopo i gravi danni bellici’, e nemmeno la successiva missiva reperita, diretta ancora a Longhi il 23 ottobre di quello stesso anno, quanto piuttosto il fatto che dopo la fondazione, nel 1949, della Federazione Italiana dei Mercanti d’Arte, l’associazione di categoria nota anche con l’acrostico FIMA, lui ne venisse subito eletto presidente. Al 1949 risale peraltro anche i1 suo secondo gesto di mecenatismo: il dono, sempre a Palazzo Bianco, di un «Paesaggio invernale» di Sinibaldo Scorza (fig. 4). Nel notare che, anche se solo al momento dell’esito, i due dipinti citati sono i primi di cui si possa documentare il possesso da parte del Nigro, va altresì rilevato che un riscontro più preciso delle dimensioni della sua attività mercantile a quella data lo fornisce l’eterogenea serie di mobili genovesi ” da cassoni quattrocenteschi a poltrone del tardo Settecento , che, nella prima monografia pubblicata sull’argomento proprio nel 1949, risultano per l’appunto dì sua proprietà’.
I due doni citati sono altresì sintomatici del rapporto allora già instaurato, e fondato su una reciproca considerazione e amicizia, con Caterina Marcenaro la quale, in procinto di assumere la direzione dell’Ufficio Belle Arti del Comune di Genova, seppe coinvolgere il Nigro non solo nel ruolo di mecenate, ma anche in quello suo proprio di mercante d’arte , nei programmi che lei stava perseguendo in vista della riapertura della Galleria di Palazzo Bianco. Nel luglio del 1950, infatti, venne acquistata presso Nigro la «Sacra Famiglia» di Jan van Scorel, proveniente dal santuario genovese della Madonnetta, primo di una pur limitata serie di incrementi di quella sezione di opere di scuola fiamminga che nel nuovo ordinamento del museo, aperto nell’ottobre di quello stesso anno, si volle fortemente valorizzata; e nel 1953 fu sempre lui a vendere il roma, laico «Crocifisso» ligneo subito esposto, sempre a Palazzo Bianco, dove rimase fino al riordina, mento attuato nel 1970 allo scopo di costituire le raccolte del Museo di Sant’Agostino”.
Al 1953 risalgono anche le due più antiche lettere reperite fra quelle scrittegli da Roberto Longhi: la prima, datata al marzo, riguarda un «Ritrattino di gentildonna» attribuito a Lorenzo Lotto”, mentre nella seconda, del 15 settembre, è discusso l’alternativo riferimento a Cima da Conegliano o a Giovanni Bellini della tavola raffigurante «Cristo paziente, incoronato di spine» che, quando venne pubblicata sei anni più tardi, risultava per l’appunto proprietà Nigro”. La genericità dell’intestazione, la quasi totale assenza di riferimenti personali ” solo nel secondo caso viene coinvolto, almeno in apertura, il destinatario ” e lo stile erudito rimandano al tono delle expertise, tanto che si potrebbe perfino dubitare del fatto che siano state realmente indirizzate all’antiquario; ma una lettera di Federico Zeri specificamente diretta a Nigro, scritta da Roma il 14 settembre, cioè il giorno precedente quello della seconda missiva di Longhi citata, e relativa pur sempre al «Cristo coronato di spine», permette di escludere ogni possibile dubbio a riguardo. Riguardo a quest’ultimo documento va rilevato che lo stesso costituisce al momento l’unica prova disponibile della corrispondenza che, come dimostrano le parole della chiusa, deve essere inter, corsa fra Nigro e Zeri; in compenso il fatto che dalle prime righe della lettera si deduca che il pare, re dello studioso romano sull’attribuzione della bella tavola non gli era stato sollecitato dall’antiquario genovese, non muta nella sostanza la testimonianza orale di come nell’acquistare, vendere e collezionare opere d’arte Nigro gradisse ricevere , nonostante la personale competenza , i pareri degli esperti che più stimava.
In ogni caso un’eloquente prova dei più continuativi rapporti instaurati con Longhi la costituisce un’opera entrata nella collezione di quest’ultimo proprio nel 1953. Ci si riferisce al picco, Io «Gesù nell’orto» di Francesco Zuccarelli che i cataloghi della Fondazione Longhi riportano essere stato acquistato in quell’anno proprio presso Costantino Nigro. In realtà, poiché quel pastello faceva parte di una serie di cui altri due soggetti , «Cristo e la Samaritana» e «Cristo appare alla Maddalena» , risultavano ancora in mano all’antiquario nove anni più tardi, quando vennero presentati a una mostra antiquaria forniti della perizia dello stesso Longhi, è credibile che la cessione del «Gesù nell’orto» non abbia comportato alcun esborso, ma sia servita a cornpensare lo studioso per quella o altre consulenze.
Questa vicenda, così come la lettera di Zeri, evidenziano in ogni caso che i documenti e le opere fin qui citate costituiscono solo tessere di un mosaico ancora molto lacunoso laddove gli scambi epistolari con esperti e critici d’arte devono essere stati abbastanza frequenti, così come, a Genova, costanti devono essere stati i contatti con i funzionari dei musei e con i collezionisti; e poiché, almeno per ora, non si sono trovate altre tracce di queste relazioni, risulta quasi impossibile ricostruire i tempi e i modi degli acquisti e il giro d’affari dell’antiquario.
Sintomatica è, in ogni caso, la presenza del nome di Costantino Nigro tra quelli dei presta, tori alle due grandi mostre d’arte che si tennero nel capoluogo ligure alla metà degli anni cinquanta. La prima fu « 100 opere di Van Dyck », organizzata nel 1955 nell’ambito di un accordo culturale fra Italia e Belgio, e per la quale a Nigro fu richiesto un «Ritratto di Filippo IV di Spagna» a figura intera”. A proposito di questa tela, va detto che già allora vennero espresse pesanti riserve del tutto condivisibili, sulla sua autografia”, ma questo non lede che impercettibilmente l’immagine del mercante, giacché il riferimento al pittore fiammingo era stato proposto da Adolfo Venturi nel 1939 e fu poi condiviso quanto meno dai curatori della mostra genovese che, a livello cittadino, erano Caterina Marcenaro e il soprintendente Pasquale Rotondi. Personalità tutte degne di rispetto ma che, come è dimostrato a più riprese dal catalogo di quell’iniziativa, potevano evidentemente attingere a un’esperienza di conoscitore di fatto ridotta, specialmente nei confronti degli artisti non genovesi con i quali, per ragioni evidenti, c’era minor consuetudine, e condizionata dai limitati strumenti di lavoro allora disponibili.
È probabilmente da porre in questi termini anche l’attribuzione del dipinto che l’anno successivo fu oggetto della terza donazione ai musei civici da parte di Costantino Nigro: quella versione del «Massacro dei Giustiniani di Scio», prossima al bozzetto di Francesco Solimena della pinacoteca di Capodimonte a Napoli, che allora e anche successivamente venne infatti rivendicata da parte genovese alla mano dello stesso maestro, ma che Ferdinando Bologna aveva presto riferito alla sua scuola e che da poco è stata definitivamente assegnata da Nicola Spinosa al suo allievo Corrado Giaquinto.
Al di là del problema attributivo, in quest’ambito merita ribadire come il gesto dell’antiquario documenti, una volta di più, la sua generosa partecipazione all’attività e ai progetti culturali cittadini, che avevano ricevuto nuovo impulso con l’assunzione della presidenza dell’Ente Manifestazioni Genovesi da parte dì Angelo Costa. Dopo la mostra dedicata a Van Dyck, nel 1956 fu infatti la volta di «Luca Cambiaso e la sua fortuna», e ben quattro furono in questo caso le tele prestate da Nigro. Tre’ «Diana e Atteone», «La Madonna col Bambino, sant’Elisabetta e san Giovannino» e «Venere e Amore» sono da annoverare tra le opere di qualità del Cambiaso e di esse si tornerà a parlare più avanti”, mentre la quarta, una «Coronazione di spine», che allora venne ricondotta alla tarda attività dell’artista, va espunta dal suo catalogo e riferita a un allievo che, per certe tipologie facciali quasi caricaturali, potrebbe essere identificato in Lazzaro Tavarone.
Nonostante questa menda attributiva, il riscontro più immediato, non solo del successo del, l’iniziativa, ma anche , specificamente , dell’apprezzamento delle opere raccolte dall’antiquario, si percepisce dalla mostra «La découverte de la lumière des Primitifs aux Impressionnistes», aperta a Bordeaux nella tarda primavera del 1959, dove dei ben tre dipinti di Luca Cambiaso selezionati per l’iniziativa, due gli appartenevano: si trattava ancora di «Venere e Amore» e della «Madonna col Bambino, sant’Elisabetta e san Giovannino», già esposti a Genova tre anni prima”. Proprio negli stessi mesi in cui quelle due opere venivano presentate in Francia, Costatino Nigro risulta prestatore di altri quattro quadri a due esposizioni contemporaneamente organizzate in Italia: due cosiddette «Scene pastorali» dipinte da Marco Antonio Franceschini, con la collaborazione di Luigi Quaini per i paesaggi, andarono alla mostra bolognese «Maestri della pittura del Seicento emiliano», e altri due soggetti en pendant, identificati come «Feste all’aperto», figurarono all’esposizione su «La pittura del Seicento a Venezia» come opere di Bernardo Strozzi”.
L’osservazione che anche nel caso delle ultime due tele citate la paternità del Cappuccino sia stata poi esclusa, assegnandole più giustamente al suo allievo veneziano, Ermanno Stroiffi”, potrebbe offrire il destro a esprimere nuove riserve nei confronti del talento con il quale Co, stantino Nigro effettuava i suoi acquisti, ovvero sulla qualità delle opere da lui trattate: in realtà la questione non riguarda l’antiquario, ma più in generale la critica e la storia dell’arte il cui pro, gresso e affinamento nelle conoscenze rispetto ad allora è dimostrato non solo dall’identificazio, ne di un autore fino a tempi recenti poco conosciuto, ma anche dalla precisazione dei soggetti lad, dove le due «Feste all’aperto» non sono altro che «La partenza» e «La dissipazione del Figliuol prodigo», così come le «Scene pastorali» del Franceschini sono piuttosto da intitolare «Scene mitologiche» giacché riguardano divinità dell’Olimpo.
Risalgono al 1959 anche il breve saggio di Andreina Griseri in cui vennero pubblicati, come proprietà Nigro, un’«Estasi di san Francesco» di Orazio De Ferrati, la cui attribuzione all’arti, sta spettava pur sempre a Roberto Longhi, e una «Scena biblica» firmata da Giovanni Benedetto Castiglione”; e l’articolo di Robert Engass che rese nota l’«Adorazione dei pastori» del Baciccio (fig. 71), versione ridotta ma autografa’ come quella della Galleria di Palazzo Spinola della pala di Fermo: per quanto il piccolo capolavoro sia stato indicato in quell’occasione come di collezione privata genovese, dalla monografia poi dedicata all’artista dallo stesso studioso si evince che in realtà esso apparteneva a Nigro”, il quale poi lo vendette ad Angelo Costa.
Dei rapporti tra l’antiquario e l’armatore,collezionista, che si devono dare per scontati, ma cui finora si è potuto solo alludere in mancanza di più precisi elementi, si ha più concreta evidenza con l’evento che rappresenta forse la tappa più importante nella carriera di Costantino Nigro. Fra il novembre e il dicembre del 1960 si tenne infatti al Palazzo Reale di Milano la prima edizione della «Mostra nazionale dell’antiquariato» ove, nel grande stand allestito dal mercante genovese, su un complesso di dodici opere esposte, ben undici erano dipinti (fig. 47), laddove negli spazi degli altri antiquari del capoluogo ligure figuravano quasi esclusivamente mobili settecenteschi, laccati o impiallacciati, qualche ceramica e argento dello stesso secolo, e alcune sculture di varia epoca”.
Pur dando per certo che il rilievo dello stand di Costantino Nigro rispetto a quelli dei suoi col, leghi sia anche da mettere in relazione al fatto che a quella data, come si è accennato, l’antiqua, rio era presidente della Federazione Italiana Mercanti d’Arte, che aveva promosso l’iniziativa espositiva milanese, fu in compenso una scelta significativa e decisamente in anticipo sui tempi, almeno rispetto alle coeve tendenze del mercato artistico, quella di esibire in quell’occasione una qualificata sintesi della pittura genovese fra xvi e xviii secolo attraverso i suoi principali inter, preti, da Luca Cambiaso ad Alessandro Magnasco.
Seguendo il catalogo della mostra”, del primo figuravano le due tele di soggetto mitologico” che erano state già apprezzate quattro anni prima quando al Nigro erano state richieste, insieme a due altri dipinti, per la mostra monografica dedicata all’artista. Nulla sì sa, invece, del «Ri, tratto» di Bernardo Strozzi col quale proseguiva il percorso cronologico nell’ambito dello stand, poiché non si dispone di alcuna immagine di quell’opera, mentre la scelta illuminata di presen, tare anche due artisti come Siman Vouet e Anton van Dyck, la cui attività a Genova nel corso del terzo decennio del Seicento aveva avuto notevole importanza per gli sviluppi della scuola locale, risulta oggi assai sminuita dal fatto che l’autografia delle due tele selezionate va smentita”. L’elenco prosegue con quell’«Agar e l’angelo» di Gioacchino Assereto (figg. 14, 80) che era già noto alla critica poiché era stato pubblicato da Caterina Marcenaro nel 1947, quando la tela apparteneva ad Angelo Costa”, mentre un passaggio inverso, cioè dall’antiquario all’armatore, toccò successivamente a una delle tre tele di Giovanni Benedetto Castiglione presenti all’esposi, zione milanese, e cioè il bellissimo «Sacrificio di Noè», firmato e datato 1659 (figg. 20, 48). Le altre due erano una «Scena pastorale» sulla quale aveva scritto l’anno prima Andreina Griseri”, e l’«Agar e l’angelo» che Caterina Marcenaro volle subito far acquistare per la Galleria di Palazzo Rosso”, la cui riapertura al pubblico era, a quella data, imminente (fig. 52). Non altri, menti documentata, come già la tela dello Strozzi, è la «Cleopatra» che venne presentata alla mostra milanese come esempio dell’opera di Valerio Castello, mentre era stato già accolto da Benno Geiger nel catalogo del Magnasco «L’albero della cuccagna», il dipinto di notevole formato dell’artista che concludeva questa breve rassegna”.
Anche considerando il fatto che quello allestito all’interno del Palazzo Reale di Milano era solo lo stand di un mercante d’arte nell’ambito di una pur qualificata fiera antiquaria, va in ogni caso sottolineato che quella fu la prima occasione in cui un nucleo coerente e di una certa consistenza di dipinti di scuola genovese venne esposto al pubblico fuori del capoluogo ligure, e che, d’altronde, quando due anni più tardi prese il via attraverso gli Stati Uniti la fortunata mostra sui «Genoese Masters», curata da Robert e Bertina Manning, naturalmente con una diversa e più approfondita prospettiva critica, già nel sottotitolo «Cambiaso to Magnasco» venivano ripresi i punti di riferimento estremi proposti da Nigro per la scuola genovese nell’ambito dell’esposizio, ne milanese. D’altronde che l’iniziativa dell’antiquario non avesse solo ragioni commerciali, ma fosse pur sempre da correlare ad altre sue azioni in favore della cultura figurativa della sua città natale lo si può percepire chiaramente ricordando, oltre all’offerta, nel 1958 e sempre alla Galleria di Palazzo Bianco, di un’altra tela di Sinibaldo Scorza, raffigurante «Erminia tra i pastori»”, i due generosissimi dori successivi.
A sette mesi dalla conclusione della mostra di Milano, infatti, essendo stata appena riaperta la Galleria di Palazzo Rosso, dopo più di vent’anni di chiusura prima per gli eventi bellici e poi per quell’intervento di ripristino che, diretto da Caterina Marcenaro e Franco Albini, aveva provo, cato aspre polemiche cittadine già prima della sua ultimazione”, Costantino Nigro volle cele, brare l’evento offrendo al rinato museo cinque tele di pittori genovesi del xvi e XVII secolo e quat, tro antichi vasi cinesi”.
Fra le tele, oltre alla «Madonna col Bambino, sant’Elisabetta e san Giovannino» di Luca Cambiaso che l’antiquario aveva prestato alla mostra genovese del 1956′ e l’«Agar e l’angelo» dell’Assereto già appartenuto ad Angelo Costa (figg. 14, 80)41, meritano di essere ricordati il «Suicidio di Catone» di Giovanni Battista Langetti, forse la miglior redazione di un soggetto più volte replicato dal pittore”, e la «Vanitas» da meglio leggere come «La Maddalena pentita rinuncia alle vanità terrene» , anche se l’attribuzione di allora a Gregorio De Ferrari deve essere oggi sostituita con quella, che ha già trovato consenso, a Paolo Gerolamo
Poiché, come si è visto, questo non era il primo omaggio dell’antiquario ai musei cittadini, la sua notevolissima consistenza sembra dimostrare un effettivo apprezzamento da parte di Nigro nei confronti dell’operato della Civica Amministrazione e, soprattutto, di Caterina Marcenaro, che era la principale artefice dei risultati raggiunti in quegli anni nel capoluogo ligure in campo museale; tuttavia è altresì possibile intravedere una certa strumentalizzazione nella vicenda. Infatti sull’organo di stampa ufficiale del Comune, la rivista «Genova», un articolo anonimo, ma cer, tamente uscito dall’Ufficio Belle Arti, presentò il generoso gesto con la dovuta enfasi e specifi, cando che l’antiquario l’aveva compiuto «anche in memoria» della munificenza di Maria Brignole,Sale De Ferrari”, ovvero di colei che, come è nota. , nel 1874 era stata l’autrice della donazione dello stesso Palazzo Rosso , e della storica raccolta di dipinti e arredi che conteneva al Comune di Genova. Va ricordato, però, che l’atto di cessione sottoscritto dalla nobildonna prevedeva che in nessun modo si potessero incrementare le collezioni riunite dai Brignole,Sale, e, per contro, che fu proprio di Caterina Marcenaro l’opzione opposta di arricchire la raccolta, anche attraverso acquisti, nell’intento di «rendere più vivo e articolato il discorso sulla pittura ligure del ‘600»”. Non fu quella d’altronde l’unica volta in cui la direttrice dei musei comunali ritenne di poter conseguire i suoi obiettivi culturali superando i vincoli dei donatori e, in questo caso, l’omaggio di Costantino Nigro serviva a legittimare le sue scelte.
L’ulteriore convalida della grande disponibilità dell’antiquario nei confronti dei musei citta, dini venne appena dieci mesi più tardi quando nel pieno dell’estate del 1962 egli volle donare alla Galleria di Palazzo Rosso altre tre tele e due vasi di manifattura europea”. Le opere più significative pervenute con questa seconda donazione sono il «Gesù tra i dottori del tempio» di Valeria Castello”, e quel «Ritratto virile» di Alessandro Magnasco (fig. 72) la cui autografia nel passato è stata dibattuta”. La vicenda museale di quest’ultima tela inventariata a Palazzo Rosso, e per contro mai esposta in questa sede, ma sempre a Palazzo Bianco , se da un lato mette in dubbio l’effettiva intenzionalità di Costantino Nigro nel beneficare una galleria piuttosto che l’altra, con, ferma dall’altro la grande discrezionalità dell’agire di Caterina Marcenaro in questo campo”.
A ulteriore titolo di merito dell’antiquario va detto che nessuno dei pezzi donati presentava allora problemi dal punto di vista della commerciabilità, ma certo le due generose operazioni, che facevano seguito alla mostra milanese, devono aver ulteriormente contribuito ad accreditare l’immagine di Nigro nell’ambito della sua attività professionale specificamente per la pittura genovese, e non è quindi un caso se nel 1962 il mercante risulta tra i prestatori della mostra «Genoese Masters Cambiaso to Magnasco», curata come si è detto da Robert e Bertina Manning, che circolò tra le prestigiose sedi museali americane di Dayton, Sarasota e Hartford. In quest’oc, casione venne richiesto di esporre, oltre al già noto e citato «Diana e Atteone» di Luca Cambia, so, «Norandino e Lucina sorpresi dall’Orco» (fig. 122), soggetto ariostesco attribuito al Grechet, e il «Ratto di Deianira», attribuito a Gregorio De Ferrari.
Se queste ultime vicende risultano tutte funzionali alla progressiva valorizzazione dei maestri genovesi del passato, la ricostruzione dell’attività di Costantino Nigro in quegli anni sulla base degli elementi raccolti dimostra in compenso da un lato che i suoi interessi non si erano per quei sto limitati all’ambito locale, giacché contemporaneamente trattava opere delle più varie epoche e scuole, e dall’altro che sempre stretto continuava a essere il suo rapporto con Roberto Longhi”. Si può infatti documentare che alla mostra sulla «Peinture italienne au xviir siècle», apertasi a Parigi alla fine del 1960, l’antiquario genovese prestò quel «Trattenimento musicale» del napoletano Gaspare Traversi che Longhi aveva pubblicato più di trent’anni prima”; che nel 1960 circa abbia ceduto la tavola raffigurante «San Tommaso e devoti» proprio allo studioso che la riteneva opera sicura di Carlo Braccesco”; risalgono peraltro all’aprile del 1961 due lettere sempre di Longhi, la prima delle quali, relativa a una «Partita a scacchi» attribuita a Sofonisba Anguissola, non può essere considerata alla stregua di una semplice perizia, per la mancanza, fra l’altro, di alcuni dati tecnici, ma documenta piuttosto, nell’erudizione dei riferimenti, di quale credito cui, turale godesse l’antiquario”; mentre la seconda i una vera e propria expertise i riguarda una «Diana» di Rosalba Carriera’ che l’anno dopo Nigro avrebbe presentato alla «2° Mostra Nazionale dell’Antiquariato», svoltasi sempre a Milano fra l’ottobre e il novembre 1962.
Il catalogo di questa seconda edizione della biennale milanese, oltre a fornire un dettagliato elenco dei ben quattordici dipinti esposti nel suo stand da Costantino Nigro” i anche questa volta la scelta risultava del tutto organica trattandosi esclusivamente di opere di artisti della scuola veneziana a cavallo fra Sei e Settecento i, attesta la serietà professionale dell’antiquario laddove le attribuzioni di solo quattro di essi non erano supportate da perizie di eminenti studiosi. Da quella fonte risulta infatti che Roberto Longhi avesse scritto, oltre che sui pastelli di Francesco Zuccarelli e di Rosalba Carriera già citati’, anche riguardo a un «Ritratto di giovane comandante» di Giovanni Antonio Pellegrini” e a un «Ragazzo con grappoli d’uva» dato a Francesco Guardi; che Giuseppe Fiocco avesse autenticato a sua volta quest’ultimo soggetto, così come un grande «Paesaggio alpestre con figure» di Marco Ricci”, il «Ritratto del conte Antonio Balbi» di Pietro Longhi, una «Toeletta di Betsabea» di Francesco Fontebasso e una coppia di tele en pendant raffiguranti ciascuna un «Vaso di fiori» di Francesco Guardi”; e, infine, che anche Rodolfo Pallucchini avesse attestato l’autografia di questa coppia di nature morte”. Purtroppo, anche se buona parte di questi documenti è stata ritrovata, la diversa natura delle expertise redatte dai due studiosi veneziani e le date relativamente remote di quelle di Fiocco i le due di Pallucchini sono prive di indicazioni cronologiche i non consentono di dare per scontato un diretto rapi porto fra gli stessi e Costantino Nigro, anche se un coevo scritto di Antonio Morassi, credibili mente riferibile al citato «Ragazzo con grappoli d’uva»”, costituisce l’ennesima riprova dell’ami pia rete di rapporti intrattenuti dall’antiquario genovese.
La varietà di opere trattate in quegli anni è documentata altresì, nello stesso 1962, dall’esposizione dedicata a Giuseppe Antonio Pianca a Varano Sesia, cui Nigro prestò due delle almeno tre opere dell’artista passate attraverso le sue mani”, e, qualche anno più tardi, dall’edizione roma, na della «Mostra Nazionale dell’Antiquariato», tenuta a Palazzo Braschi nel 1966, dove nello stand del mercante genovese, pur in più ridotte dimensioni, erano presentate alcune opere di gran nome Anton van Dyck”, Guido Reni” i e altre di maestri di minor fama, come Ambrosius Benson” e Gian Paolo Panini”. Diversamente dalle precedenti edizioni della fiera antiquaria, di nessuna di esse il catalogo fornisce i possibili riferimenti bibliografici o indicazioni relative all’esistenza di eventuali perizie, e di conseguenza è importante notare come siano proprio le due attribuzioni più altisonanti a non aver retto il vaglio critico, mentre il mancato reperimento di qualunque documento a riguardo rende ancora più difficile ricostruire se i limiti dimostrati nella capacità di giudizio siano da addebitare solo a Nigro o anche, secondo quanto già detto, alla cannoisseurship dell’epoca.
Resta comunque il fatto che, come si è fin qui illustrato, l’antiquario ebbe più facilmente occasione di provare la sua sensibilità artistica nei confronti dei dipinti di autori genovesi, fors’anche perché quelle opere gli fornivano l’opportunità di mantenere stretti contatti con quanti , studio, si o collezionisti i condividevano la sua passione. Esemplare di questi legami è la vicenda della tela raffigurante «L’arresto dei fratelli di Giuseppe» sottoposta da Nigro all’attenzione di Longhi: nella risposta, datata 20 febbraio 1964, quest’ultimo si espresse in termini entusiastici definendo la tela, riconosciuta del Grechetto, «uno dei culmini della grande cultura pittorica genovese»; e di lì a poco quel capolavoro passò nella raccolta di Angelo Costa (fig. 64).
Riguarda ancora i rapporti di lavoro che l’antiquario intratteneva con Roberto Longhi una fotografia di un dipinto di Alessandro Magnasco, raffigurante «Le tentazioni di sant’Antonio», inviata dal primo al secondo nel 1965, mentre una breve lettera della fine di marzo del 1967 costituisce l’ultima prova dell’amicizia che li legava”.
La morte colse improvvisamente Costantino Nigro il 26 agosto di quell’anno, mentre si trovava temporaneamente a Roma. Anche se la sua scomparsa fu repentina, l’antiquario aveva comunque già disposto l’avvio della pratica per il dono al Comune di Genova di una tavola del pittore Francesco Brea raffigurante «San Fabiano»76, che suggellò così nobilmente quella vita in gran parte dedicata all’arte della sua città.
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Questo titolo è in parte ripreso da quello di una piccola mostra, piacere d’incontrarla. Penso di essere a Firenze fra il 3 ed il 4 novem?
allestita nel ‘995 in una delle sale didattiche della Galleria di Palaz bre. Voglia gradire, colle più sentite grazie, i migliori saluti. Costali,
zo Rosso e curata da chi scrive, volta a ricordare la generosa dona tino Nigro 23 Ottobre i948» (Firenze, Fondazione Longhi).
zione di dipinti e vasi orientali da parte dell’antiquario Costantino ‘ Genova, Galleria di Palazzo Bianco, olio su tela, cm 37x$5, inv.
Nigro allo stesso museo. Le righe che seguono sono frutto delle PB 899.
ricerche svolte allora e ampliate per l’occasione, avendo potuto con Cfr. G. MORAZZONI, Il mobile genovese, Alfieri, Milano 1949, pas?
tare su informazioni e scambi di idee avuti con Giovanna Cameli, sim.
Franca Carboni, Gado Di Fabio, Edoardo Iuliani, Anita Ginella, 9 Genova, Galleria di Palazzo Bianco, olio su tavola, cm 535×500,
Emilio e Maria Flora Giubilei, Mina Gregori, Camillo Manzitti, inv. PB 507.
Piero Pagano, Nicola Spinosa, Laura Tagliaferro e Rossana Vitiel, Genova, Museo di Sant’Agostino, legno, cm 166,5×131, inv. PB
Io che ringrazio; ma soprattutto sona in debito, per la costanza con 1570; cfr. I. M. BOTTO, Museo di Sant’Agostino. Sculture lignee e dipin,
la quale ha seguito la preparazione di questo testo, con Anna ti su tavola, Bologna 1994, p.
Orlando. ” «Firenze, Marzo 5953. Geni. Signore. Un’alta impressione d’arte
2 La principale fonte è costituita dall’articolo, non firmato, Un lutto sorge dal “ritrattino di gentildonna” ch’Ella ha voluto sottoporre al
cittadino: Costantino Nigro, in «Genova», 1967, n. 9, pp. 16-21. mio giudizio. Il costume del modello, con l’ampia scollatura da cui
3 Su questo personaggio, cfr. C. GRASSO, La rinuncia di un progressi, scendono le maniche a sboffi, e la massa dei capelli chiusa nella reti,
sta moderato. La vicenda artistica di Cesare Viazzi. Genova 1986; In., cella, orienta la nostra ricerca nell’Italia del Nord e dal Veneto ci
Cesare Viazzi studioso e antiquario. La continuità di una scelta culturale, porta alla Lombardia in ambiente dominato dalla moda leonarde,
ERGA, Genova 1988; ID., L’archivio fotografico di Cesare Mazzi, stu sca. Tuttavia, a parte la moda, non è in questo dipinto, stilistica?
dioso e antiquario, in «Bollettino dei Musei Civici Genovesi», VOI mente, alcuna influenza leonardesca: la pittura è anzi luminosa e
(gennaio,dicernbre 1986), nn. 22,23-24. rosata negli impasti leggeri dello scollo, nella stesura sottile delle
i «29 Maggio 1946 Egregio Professore, mi auguro che Ella goda carni, come in chi abbia conosciuto la tecnica veneziana e certe nor?
ottima salute; così è di me. Gradirò avere sue notizie. Frattanto s’ah, diche sottigliezza [sid, come, nei primi anni del Cinquecento, era?
bia vive cordialità. Costantino Nigro» (Firenze, Fondazione Lon, no filtrate a Venezia attraverso i viaggi del Diirer e l’attività di
ghi). Si ringraziano Cecilia Filippini e la Fondazione Longhi per Jacopo de Barbari. Il resultato estetico di queste qualità così sottil?
avere agevolato la consultazione del materiale epistolare dello stu mente accordate nel ritratto potrebbe quasi esprimersi in una
dioso, utile alla presente indagine. domanda: chi è mai questo Holbein italiano? Ora v’è un autore tra
Genova, Galleria di Palazzo Bianco, olio su tela, cm 75×62, inv. Veneziano e Lombardo che può sopportare, anzi reggere alla pari il
PB 448. Il dipinto, che era stato esposto l’anno precedente quello confronto con la ritrattistica Holbeiniana: e questi è il nostro Loren,
della donazione nell’ambito della genovese «Mostra della pittura del zo Lotto: egli è il solo il cui nome possa essere pronunciato di fron,
Seicento e Settecento ,in Liguria», risulta poi accolto nel catalogo te a questa effigie squisita. Ma giovi anche aggiungere che il dipin,
dell’artista di R. ENCASS, The painting of Baciccio Giovanni Battista Co , per tanti segni databile sui primissimi anni del ‘5oo, è anteriore
Gaulli (1639-5709), Pennsylvania State University Press, Philadel, all’affermarsi della ritrattistica holbeininiana: e non sembra perciò
phia 1964, p. 126 e di F. PETRUCCI e M. FAGIOLO DELL’ARCO, in impossibile assumere che ne sia stato un_precedente storico effettivo.
M. FAGIOLO DELL’ARCO, D. GRAF e E. PETRUCCI, Giovanni Così l’importanza artistica di Lorenzo Lotto, che certo troverà la
Battista Gaia il Baciccio 1639-1709, catalogo della mostra, Milano sua consacrazione ufficiale nella Mostra di quest’anno a Venezia,
5999, p. 339 n. 15 per la nuova identificazione dell’effigiato, cfr. P. riceve da questa mia proposta attributiva una conferma per l’aspet,
BoccARDO, in F. PETRUCCI (a cura di), Il Baciccio un anno dopo, to particolare che riguarda i suoi rapporti (già intuiti dalla critica)
catalogo della mostra (Ariccia), Skira, Milano zoo’. Da qui in con la cultura nordica; e questa volta, non soltanto per il dare, ma
avanti, per tutti i dipinti di cui non si indica l’ubicazione, si deve anche per l’avere. Mi creda Roberto Lunghi» (Genova, proprietà
intendere che essa è ignota. privata).
«Gentilissimo prof Longhi, tornando dalla Francia, dove mi sono ” «Firenze, 15 Sett. 1953. III. Signore, La ringrazio di avermi con,
trattenuto circa due settimane, trovo la sua gradita lettera, per la cesso l’esame della Sua preziosa tavoletta raffigurante il busto di un
quale le sono grato. M’atterrò al suo ampio calendario per avere il “Cristo paziente, incoronato di spine” (cm 29,1×37,4). Com’Ella sa una variante del Suo dipinto si trova nella National Gallery di Londra (n. 1.310), ancora attribuita al Cima da Conegliano seta, bene il Davies, nel suo recente catalogo, abbia rilevato che fin dal ‘28,29, io proponevo di riportare il quadro nella stretta cerchia di Giovanni Bellini. Ora poi ch’Ella mi presenta quest’altra redazione, anche più sottile, del patetico motivo, sono anche più sicuro della fondatezza della mia vecchia opinione. Chi conosce l’impasto misterioso, fuso, quasi “essudante” del Bellini nel primo decennio del ‘soo , tutto diverso dalla politezza eburnea del Cima non può mancare di ravvisarlo qui e di rilevare con quanta convenienza mentale esso si attagli a questo straziante argomento dove le carni del Cristo trasudano, in lacche rosse e violacee umori e sangue. E ne viene, come nella contemporanea “Pietà” Donà delle Rose, un’espressione altissima di intimità dolente. Roberto Longhi» (Genova, proprietà privata). Il dipinto Nigro venne pubblicato poi da L. CoLETT1, Cima da Cone:diario, Neri Pozza Editore, Venezia 1959, p. 97 e fig. 55r b, preferendone , come Longhi , l’attribuzione al Bellini.
“«14 Settembre, 1953. Gentile Prof. Nigro, vengo ora a sapere dal, l’amico Salocchi che il “Cristo coronato di spine” è ora da Lei. È un quadro che a me piace moltissimo, e del quale ho avuto una impressione eccellente quando lo vidi mesi fa, e che mi interessa anche per il problema che presenta nei confronti di un altro dipinto ana, lago della Galleria Nazionale di Londra (n. 1.310). Questo è attri, buito al Cima dal Berenson, dal Burckhardt e dal nuovo Catalogo della Galleria Nazionale; soltanto il Longhi nel 1928 lo dette alla Scuola di Giovanni Bellini. Dato che la versione londinese è indubbiamente inferiore a questa, ne risulta che si tratta o di un Cima se si segue il Berenson , o di un Giovanni Bellini verso il ssoo, 1505, se si segue il Longhi. Per verificare il dislivello qualitative> fra le due versioni, basta vedere una delle tante riproduzioni del quadro di Londra; il verdetto non mi sembra dubbio. Spero di poter rivedere la tavola quando verrò spero fra non molto a Genova. Non ho ancora inviato la lettera per i due angeli rosselliniani, perché volevo prima rivedere certe cose del Rossellino a Firenze. Ma non mi è stato ancora possibile muovermi da Roma, come avevo deciso già da molto tempo. Cordiali saluti, suo, Federico Zeri» (Genova, proprietà privata).
” Firenze, Fondazione Longhi, pastello su carta avorio, cm 32×27; cfr. G. DAMIANI, in La Fondazione Roberto Longhi, Sansoni, Firenze 1980, pp. 301,302.
“Entrambi pastello SU carta avorio, CIT134X29; le misure SI.100 ripre, se da «z’ Mostra nazionale dell’antiquariato», catalogo, Milano 5962, p. 31, dove viene altresì indicata l’esistenza della perizia di Roberto Longhi. Le due opere sono recentemente passate in asta a Londra, Christie’s, 4 luglio 2000, !OLIO 133.
” Olio su tela, cm isnxio4; cfr. i ao opere di Van Dyck, catalogo della mostra, Genova 1955, p. 38, n. 74.
‘7 Cfr. O. MILLER, Van Dyck at Genoa, in «The Burlington Magazine», xcvir (1955), p. 353, che lo ha classificato una derivazione da Rubens, e come tale lo elenca F. HUEMER, Carpiti Rubenianum Portraits I, Bruxelles 1977, p. 162, nella scheda relativa all’oggi perduto «Ritratto di Filippo IV di Spagna» di Peter Paul Rubens già alla Kunsthaus di Zurigo. Va segnalato peraltro che, come riporta il catalogo della mostra genovese (vedi nota precedente), quando la tela passò in vendita nel 1937 con la collezione milanese Podio cui apparteneva, era più genericamente riferita a «scuola fiamminga del xvir secolo».
Relativamente a questo aspetto della personalità di Caterina Marcenaro si rimanda al contributo di C. Di FABIO in questo stesso volume, p. 92.
Genova, Galleria di Palazzo Rosso, olio su tela, cm 265,5×562,3, inv. PB 1098. Il riferimento inventariale a Solimena è accolto da P. TORIUTI, Due Solnyiena ritrovati a Genova, in «Emporium», Lxiv (1958), o.4, p. 163, nello stesso anno in cui E BOLOGNA, Francesco Solignena, Napoli 1958, p. 268, la giudicava invece «buona replica, tuttavia certamente di scuola»; risulta poi ripreso nuovamente da G. BIAVATI, L’affresco che il Piola non dipinse, in «Bollettino dei Musei Civici Genovesi», il (1980), nn. 4,6, p. 33 nota 39, mentre più di recente D. SANGUINETI, Contributo a Francesco Gampora (1693, 1753): opere e documenti, in «Atti della Società Ligure di Storia Patria», xxxvn (1997), pp. 288,29o, ha sostenuto la quasi anacronistica attribuzione al genovese F. Campora; infine L. GH10, sche, da in P. BOCCARDO e C. DI FABIO (a cura di), El siglo de Los Genoveses e una lunga storti di arte e splendori nel Palazzo dei Dogi, catalogo della mostra (Genova), Electa, Milano 1999, p. 402, ha pro, posto interrogativamente quella a Francesco De Mura. La risoluzione di Nicola Spinosa è stata espressa verbalmente.
Tutti e tre olio 51.1 tela, rispettivamente di CM I RXI , Crrl I 151295 e erri 160X107; cfr. Luca Cambiaso e la sua fortuna, catalogo della mostra, Genova 1956, Drk. 26, 30 e 36, e B. SUIDA MANNING e W SUIDA, Luca Gambiaso, la vita e le opere, Ceschina, Milano 1958, p. 102. Nel catalogo citato questi tre dipinti sono indicati come appar, tenenti a una raccolta privata: l’effettiva proprietà Nigro, il cui no, me come si è detto figura nell’elenco dei prestatori, può essere facil, mente desunta dalle vicende immediatamente successive dei dipinti stessi.
” Olio su tela, cm 170×583, cfr. Luca Cignbiaso cit., n. 60. Nella scheda di catalogo citata si ipotizza di riconoscere, insieme all’auto, ritratto del Cambiaso, proprio anche quella del Tavarone nei due personaggi in secondo piano all’estrema sinistra. L’appartenenza della tela a Costantino Nigro mi è stata segnalata da Anna Orlando che l’ha desunta dalle indicazioni manoscritte sul retro di una foto, grafia conservata fra i documenti in possesso degli eredi di Angelo Costa.
Cfr. G. M. MERY (a cura di), La découverte de la hignière des Primitifs aux Impressiannistes, catalogo della mostra, Bordeaux 1959, pp. 6,7. ” Ciascuna olio su tela, cmIR
14-XI 13,5; cfr. C. VOLPE, in Maestri della pittura del Seicento emiliano, catalogo della mostra, Bologna 1959, p. 586. Le due opere sono documentate sia nell’ambito del, l’Archivio Villani, sia in quello Alinari: in quest’ultimo caso si tratta dei negativi n. 56.634 e 56.635, gli unici due di quel fondo come mi ha gentilmente segnalato Francesca Ambrosi della Fototeca degli Archivi Minati che rimandino a Costantino Nigro.
” Ciascuna olio su tela, cm 9512543,5; Cfr. La pittura del Seicento a Venezia, catalogo della mostra, Alfieri, Venezia 1959, p. 54., n. 83. ” Se già la scheda del catalogo della mostra, citato alla nota prece, dente, si chiudeva con l’indicazione che «da questo tipo di pittura prenderà l’avvio il più noto allievo dello Strozzi, Ermanno Stroiffi», nella successiva monografia di L. MORTARI, Bernardo Strozzi, De Luca, Roma 5966, p. 206, le due tele, pur figurando nel catalogo, erano ritenute «da togliersi al maestro e da assegnarsi più convin, centemente al suo discepolo veneto Ermanno Stroiffi»; a quest’ulti, trio le ha poi assegnate definitivamente W. E. REARICK, Bernardo Strozzi: un aggiornamento, in «Saggi e memorie di storia dell’arte», 20, p. 262, indicandone altresì il soggetto corretto, che peraltro risultava già anche nelle relative schede dell’Archivio Fotografico del Settore Musei del Comune di Genova (nn. 15.695 e 15.682). 2′ Rispettivamente olio SU tela, C111 I23X100 e CM 123708; cfr. A. GRISERI, Appunti Genovesi, in Studies in the History of Art dedicateli Co William E. Snida on bis eightieth birthday, Londra 5959, pp. 320 e 322. Caterina Marcenaro fece acquistare la tela di Orazio De Ferrati dal Comune di Genova nel febbraio di quello stesso anno, e la destinò alla Galleria di Palazzo Rosso (inv. PR 336) di cui si stava appros, simando la riapertura; sull’opera cfr. P. DONATI, Orazio De Ferrari, Sagep, Genova 1997, p. 129 n. 55.
V 0110 su tela, cm 66×42; cfr. R. ENGAss, Baciccio: twa additions to bis work, in «The Art Quarterly», XXII (1959), pp. 345,349, e In„ The painting dir., pp. 525,126; E PETRUCC1, scheda in Giovanni Battista Gradii cit., p. 175. L’opera è oggi conservata presso gli eredi Costa. ” Cfr. Mostra nazionale dell’antiquariato, catalogo, Milano 1960, p. 7 (Bottega d’arte Pittaluga); p. 13 (Severino Crosa); p. I6 (Galleria antiquaria di Marina Di Stefano); p. 20 (Paolo Gualco).
” Cfr. Mostra cit., p. 22.
>’ Si trattava della «Diana e Atteone» , nel catalogo (vedi nota precedente) erroneamente indicato come «Venere e Adone» e di «Venere e Amore», opere per le quali si rimanda a nota 2o.
” Il riferimento a Va= della «Santa Caterina», olio su tela, cm 7012100, non ha trovato riscontro negli studi sull’artista francese; mentre ancora con l’attribuzione a Van Dyck, «La Maddalena», olio SU tela, CM 92X73, entrò successivamente a far parte delle Me, colte della Cassa di Risparmio di Genova e Imperia, attuale Banca Carige, e venne pubblicata da P. ToRam, Le Collezioni d’arte della Cassa di Risparmio di Genova e Imperia, Genova 1975, P. 44. Se le attuali conoscenze sul grande artista anversano consentono di escluderne l’autografia, per contro la proposta già avanzata di riferire la tela a Vincenzo Malò sembra condizionata dal fatto che l’opera si trova a Genova, dove il pittore di Cambrai lavorò per diversi anni; in realtà va ricordato che la provenienza della tela è del tutto ignota e, dato l’ampio raggio delle relazioni di Nigro, non necessariamen, te genovese.
” Genova, Galleria di Palazzo Rossa, olio su tela, cm 14612125, inv. PR 352; cfr. C. MARCENARO, Per il catalogo dellAssereto, in «Ern, porium», uu (1947), n. 4, n. 628, pp. 145,142. Il passaggio di pro, prietà da Costa a Nigro è stato qui ricostruito da A. ORLANDO (cfr. scheda n. i, p. 161). Come si dirà, il dipinto è stato donato ciall’anti, quario alle civiche raccolte l’anno successivo la mostra milanese. “Olio tutela, cm 5432225; l’opera è stata più di recente esposta nel, l’ambito della mostra monografica dedicata all’artista: cfr. F. LAmERA, in Il genio di Giovanni Benedetto Castiglione il Grechetto, cata, logo della mostra, Sagep, Genova 1990, pp. 147,48-
34 Olio su tela, CIU 9812I23; cfr. GRISERI, Appunti cit., p. 322.
” Genova, Galleria di Palazzo Rosso, olio su tela, cm 500×123, inv. PR 355; cfr. A. PERCY, CUM:g/i011e’S Life and Work, in A. PERCY (a cura di), Giovanni Benedetto Castiglione, Master Draughtsman of the leolian Baro pie, catalogo della mostra, Philadelphia r971, p. 42; la delibera d’acquisto reca la data 23 febbraio 1961, ovvero nemmeno tre mesi dopo la conclusione della mostra milanese. È opportuno ricordare che la Percy pubblica nel saggio citato (p. 30) un «Orfeo incanta gli animali» del Grechetto (olio su tela, cm 1452[195) come «collection of the late Costantino Nigro», ma senza altri dettagli utili a ricostruirne le vicende.
» Olio su tela, CM 14912120.; cfr. B. GEIGER, MagtUISO, Arti Grafi, che, Bergamo 1949, C, da ultimo, L. MUTI e D. DE SARNO PRIGNANO, Alessandro Magnasco, Editfaenza, Faenza 1994, p. 273 cat. 436, che danno conto dei successivi passaggi in asta della tela. ” Genova, Galleria di Palazzo Bianco, olio su tela, cm 371255, inv. PB 2150.
” Cfr. P. BOCCARDO, Palazzo Rosso dai Brignole,Sale a Caterina Marcenaro: luci ed ombre di un caposaldo della museologk italiana, in L. LEONCINI e E SIMONETTI (a Cura di), Abitare la storia. Le dimore sto, riche,musea, atti del convegno, Allernandi, Torino 1998, pp. 103,
154.
19 Cfr. Qtydri e vasi preziosi donati a Palazzo Rosso, in «Genova», 5962, n. i. Dei dipinti si dà conto di seguito nel testo, mentre Per i vasi orientali, che, come quasi tutti gli arredi passati per le mani dell’antiquario, non sono oggetto di specifica attenzione in questo con, tributo, si rimanda alle schede di L. ZENONE PADULA, in In. (a cura di). Viaggio in Occidente. Porcellane orientali nelle civiche collezioni genovesi, catalogo della mostra, Fabbri, Milano 1992, pp. 136,139. ” Genova, Galleria di Palazzo Rosso, olio su tela, cm 115×95, inv. PR 351. Cfr. HOU 20 e 22.
Cfr. nota 32.
” Genova, Galleria di Palazzo Rosso, olio su tela, cm 9012123, inv. PR 354. Cfr. M. STEFANI MANTOVANELLI, Giovanni Battista Langetti, in «Saggi e memorie di storia dell’arte», XVII (1970), pp. 59,60.
” Genova, Galleria di Palazzo Rosso, olio su tela, cm 9912524, inv. PR 358. Per indicazioni relative all’iconografia, cfr. Vanitas, in M. Mosco (a cura di), La Maddalena tra Sacro e Profano, catalogo della mostra, Moncladori, Milano 5986, pp. 155,557, e A. TAPIÚ (a cura di), Les Vmités dans la peinture au xvir siècle. Méditations sue la richesse, le dénigengent et la rédemption, catalogo della mostra, Caen 1990, pp.
142’143, 150,151. L’attribuzione qui sostenuta al Piola è già stata proposta da G. GRUITRDOY, Gregario De Ferrari (1647,1726), test dottorale, Berlino 1987, p. 494, e trova ulteriore conferma nel due, gno, con lo stesso soggetto e indiscutibilmente dovuto alla mano di Paolo Gerolamo , penna e inchiostro, pennello e inchiostro acque, iellato, biacca, carta cerulea, mm 265x38o , recentemente presenta, lo in vendita da Colnaghi: cfr. An exhibition of Master Drawings, New York-Londra 1996, n. 30. Di ben minore interesse è l’ultimo dipinto del nucleo donato, un «Ritratto virile», olio su tela, cm 12312100, inv. PR 353, in quanto l’attribuzione coi quale venne inventariato Silvestro Chiesa e della quale sarebbe interessante conoscere l’origine, è inattendibile, riconducendo piuttosto la modesta tela a un ambito padano.
” Cfr. Quadri e vasi preziosi cit., p. 29.
” Cfr. Un lotto cittadino cit., p. 18.
” Come nel caso precedente, in questo contesto non vengono dio, strati i due vasi, per i quali si rimanda alla scheda di R ROSEO, in P. BOCCARDO, C. DI FABIO e P. ROSEO (a cura di), Ceramiche ifa-liane
logn
ed a 9eiura9p, europee p ii.
e e3101e. civiche collezioni se c. XVI,XX, Nuova Alfa, ” Genova, Galleria di Palazzo Rosso, olio su tela, cm 123×155, inv. PR 363; cfr. C. IVIANZITTI, Valeria Castello, Sagep, Genova 1972, p. 157; Ibid., p. 84 si dà notizia di un altro dipinto di Valeria Caste], lo passato attraverso Nigro: «Matrimonio mistico di santa Cateri, na», olio SU tela, cm 76×71.
4, Genova, Galleria di Palazzo Bianco, olio su tela, cm 98,51276 (ovale), inv. PR 371; cfr. F. FRANCHINI GUELFI, Alessandro Ma, gnasco. I disegni, Sagep, Genova 1999, p. 76, che, ricordando la vi, cenda critica dell’opera, ripropone il riferimento all’artista.
” Su questo argomento si rimanda al contributo di C. Dr FABIO in questo volume, p. 92.
3° Le uniche due opere di minor pregio risultano infatti il citato «Ritratto virile» che, pertinente la donazione del 1961, venne inven, tarato sotto il nome di Silvestro Chiesa (cfr. nota 43), e il «San Francesco stigmatizzato», olio SU tela, Cril 991{82, mv.PR 370, Che era stato pubblicato da C. FRABETTI, I «S. Francesco» del Cerano, in «Bollettino Ligustico», ix (1957), 1/4, pp. 79-81, quando era già proprietà Nigro, con la troppo generosa attribuzione al Cerano, mentre si tratta di una derivazione dal suo celebre modello, forse per mano dell’allievo Melchiorre Gherardini, e che col nome di Cerano venne inventariato.
” Firenze, Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici, olio su tela, CM 1317{117; Cfr. B. SOIA MANNING e R. MANNING (a cura di), Genoese Masters Cambiasa to Magnasco 5550-1750, catalogo della mostra, Dayton 1962, n. 25; PERCY, Castiglione’s cit., p. 45, che annovera l’opera, fra quelle di Francesco Castiglione. Per le vicende dell’opera, appartenuta ad Angelo Costa, cfr. scheda xia., p. 168. Sulla mostra di Dayton, cfr. il saggio di C. MANZIM nel volume, p. 257.
” Olio su tela, Cln 1081289; cfr. SUIDA MANNING e MANNING, Genoese Masters est., n. 89; il dipinto è stato successivamente ricondotto alla mano di Lorenzo De Ferrari: cfr. GRUITROOY, Gregario De Ferrati cit., p, 507, e M. NEWCOME SCHLEIER, Gregorio De Ferrari, Artema, Torino 1998, p. 191.
” Oltre alle indicazioni di seguito riportate nel testo, si trascrive qui, data la mancanza di riferimenti specifici ad opere d’arte, il testo di un biglietto diretto dall’antiquario a Longhi nei primi anni sessanta che, anche solo nell’allusione ad Anna Banri, conferma la frequentazione tra i due: «[Genova] 3 luglio 1963. Gentilissimo pro, fessor Longhi, desidererei farLe una visita lunedì prossimo nel pomeriggio. La troverò a Ronchi e non La disturberò?. Le sarò tanto grato se vorrà scrivermi due righe perché io possa regolarmi. Mi ricordi, la prego, alla gentile Signora e gradisca i miei devoti saluti cordiali Sua Costantino Miro» (Firenze, Fondazione Longhi).
Olio su tela, cm 134×101; cfr. R. LONGHI, Un’aggiunta al «TratierSig, in «Vita Artistica», t (r927), p. 197, e La peinttire italienne osi xviii` siècle, catalogo della mostra, Parigi 1960, n. 33.
” Cfr. C. BON, in DAMIANI, La Fondazione Roberto Loughi cit., pp.
256,257.
” «Firenze, 9 Apr. 1961. Cene. Signore, Sarei molto lieto ch’Ella mi concedesse d’illustrare con agio e con apposito corredo di tavole anche a colori il dipinto sorprendente, da poco sottopostomi, e raf, figurante, a più che mezze figure, una “Partita a scacchi” che si svolge tra un guerriero in armatura e una dama ornatissima, alla presenza di vari astanti dei due sessi; e, nell’angolo a destra, a meglio definire l’ambiente aristocratico dove il fatto si svolge, persino la figuretta, che si sporge, di un buffone di corte in costume di fama, sia a strisce rosse e azzurre. A tutto considerare, non mi par dubbio che il dipinto si riveli il maggior resultato della scuola cremonese del pieno Cinquecento e, a meglio specificare, il capolavoro della squi, sita pittrice cremonese Sofonisba Anguissola. Il confronto che tubi, tu s’impone coi due famosi gruppi di famiglia della collezione Llage a Nivaagard e della collezione Raczynski a Poznan questo secon, do raffigurante anch’esso una partita a scacchi fra le tre sorelle Anguissola alla presenza della vecchia fantesca e datato 1555 non mi pare che lascino dubbi sul riferimento. Ma in questo nuovo dipinto, che forse precede gli altri due e che io penserei di poter data, re intorno al ’50, Sofonisba dimostra una penetrazione anche mag, gioie della più libera cultura venezianeggiante che era apparsa a Cremona già con gli affreschi del Romanino nel 1518 e che nei ceri, rei vicini di Lodi e di Bergamo, aveva lasciato esempi consimili nelle scene di genere di Calisto Piazza e nei gruppi ritrattistici, epi, sodicamente arieggiati, di Lorenzo Lotto. Questa tradizione cultu, rale già assorbita a Cremona nella famiglia dei Campi, è qui ripre, sa da Sofonisba e persino portata più innanzi fin quasi a precorrere le naturalissime “riunioni” del Caravaggio e della sua cerchia, che appariranno quaranta o cinquant’anni dopo. Già nel 1927 ebbi a indicare che il disegno del “fanciullino morso da un gambero, con la sorella” citato dal Vasari come opera di Sofonisba era l’inconfutabile precedente mentale del “Ragazzo morso dal ramarro” del Caravaggio giovine. Oggi un caso consimile ci si offre in questa straordinaria “Partita a scacchi”, precedente dei “Giocatori” cara, vaggeschi, ma ben altrimenti contiguo agli esperimenti della «Fron, . da» veneta di provincia; al Lotto in particolare, per la sottigliezza dell’armonia cromatica, per la melanconia abbandonata delle pose intente e senza alcuna deviazione giocosa od umoristica, neppure nell’inserto del “nano” di corte, sulla destra. Un dipinto, insomma, che mi pare una aggiunta importantissima alla migliore conoscenza degli umori, intellettualmente così complessi, della pittura lombari da del Cinquecento in uno dei suoi centri maggiori: quello di Cremona “Città Nobilissima”. Roberto Longhi» (Genova, pro, prietà privata).
” «Firenze, 9 Aprile 1961. Gent. Signore, Bellissimo esempio del, l’arte di Rosalba Carriera è questo suo pastello (di cm 34×28,5) raf, figurante, a mezzo busto, una “Diana” chiaramente identificabile dalla faretra colma di frecce che sormonta la spalla sinistra. La squi, sitezza trascolorante dei toni, dal bianco, al rosa, ai bruni dei capelli in ombra schiariti in alto dalla lunga ciocca sbiancata di tratto ari, stocratico com’è pure il viso di tratto orgoglioso, e di riflesso, mi par., rebbe, francese “alla Boucher”, mi fa credere che il pastello ap, partenga alla piena maturità della pittrice, molto dopo il suo viaggio in Francia (1720), e probabilmente nel decennio 1730,40. Roberto Longhi». Dell’originale di questa expertise è ignota l’ubicazione: la trascrizione è stata fatta da una copia fotostatica reperita fra le fotografie dell’archivio di Caterina Marcenaro. Il pastello è pubblicato come inedito in B. SANI, Rosalba Carriera, Allemandi, Torino 1988.
Cfr. «z’ Mostra nazionale dell’antiquariato», catalogo, Milano 1962, p. 3i. Meritano di essere qui ricordate, oltre alle opere men, zionate nel testo, anche la coppia di soggetti evangelici di Giovanni Battista Pittoni (olio su tela, cm 45,5×74) e le due «Vedute» veneziane di Michele Marieschi (olio su tela, cm 60×97) la prima delle quali potrebbe essere quella accolta nel catalogo di R. TOLEDANO, Michele Marieschi, Catalogo ragionato, 2′ edizione riveduta e corretta, Leonardo, Milano 1995, p. 81, n. r 8a.
A riguardo cfr. rispettivamente note 15 e 57.
Olio su tela, cm 32,5×22; la perizia di Longhi citata dal catalogo non è stata reperita.
M Olio SU tela, cm 90X72; né la perizia di Fiocco, né quella di Longhi sono state reperite. Il dipinto risulta essere stato successiva. mente presentato alla Mostra mercato internazionale dell’antiqua, nato di Firenze dall’antiquario Silla
” Olio su tela, cm 73X202; il dipinto non è riprodotto in catalogo e non ne è stata reperita la perizia di Giuseppe Fiocco colà citata. Olio su tela, cm 96×72; la perizia di Fiocco, vergata sul retro della fotografia che Caterina Marcenaro ebbe da Nigro, recita: «Pietro Longhi ha rappresentato in questo gentilissimo ritratto, nato fatto per la sua dolce Musa pittorica, l’abatino Antonio Balbi, fratello di Bastiano, di cui aveva pure riprodotto l’effigie; del pari su tela di cm 96×72. Anche questo dipinto proviene dalla racc. Giovanelli. 24′ IX , 1956 G. Fiocco». Il testo fa riferimento a un altro dipinto, en pendant, raffigurante per l’appunto il «Ritratto del conte Sebastiano Balbi» la cui riproduzione, conservata insieme alla prima, reca sul retro la seguente expertise: «È opera di Pietro Longhi questo ritratto di giovanetto, condotto su tela di cm 96×72. Rappresenta, con eleganza tutta particolare del valentissimo maestro veneziano, un personaggio di casa Balbi, e precisamente il rampollo Bastiano. Il dipinto proviene, al pari dell’abatino della stesso casato, dalla rac, colta Giovanelli. 24 , IX , 1956 G. Fiocco».
Olio su tela, cm 12.5×152; la perizia di Fiocco, vergata sul retro della fotografia che Caterina Marcenaro ebbe da Nigro, recita: «Questa tela di cm [bianco] x [bianco], rappresenta la “Toilette di Venere” è un capolavoro di Francesco Fontebasso. È degno di un Boucher il verdeggiante giardino che riempie il fondo come un arazzo, e congiunge le grazie di un Tiepolo alle eleganze di un Pittoni, nel gruppo delle damigelle che fanno lieta corona alla Dea formosa. 15 V 1958 G. Fiocco».
‘3 Ciascuna opera olio su tela, cm 82×68; le due perizie di Fiocco, ciascuna vergata sul retro di una delle due fotografie che Caterina Marceau() ebbe da Nigro, rispettivamente recitano: «i) La fotogra, fia non rende la poesia di questo vaso di fiammeggianti fiori, dipin, ti su tela di cm Sox68. Non ne è che l’ombra. Francesco Guardi del resto, a cui la pittura spetta, è il più irriproducibile degli artisti. Dal colore di lapislazzuli del vaso allo scoppio di tinte dei fiori, è tutto un caleidoscopio di colori incantevoli. L’opera, con la compagna, rappresenta un momento posteriore ai fiori di Vigo d’Anannia, che sono del 1735.. Siamo dopo il 1740 per certo. 23 • IX • 1956 G. Fiocco»; e: «2) È il «pendant» del n° i; tela del pari di cm 80×68, con un vaso traboccante di fiori, dal colore dell’arcobaleno, questa qui riprodotta. Mirabile opera di quel mago che fu Francesco Guardi. 23 IX 1956 G. Fiocco».
Le due perizie di Pallucchini, ciascuna vergata sul retro di una delle due fotografie che Caterina Marcenaro ebbe da Nigro, rispetti, vamente recitano: «Il vaso di fiori, riprodotto a tergo (dipinto su tela, che misura m o,82aco,68) ed il suo “pendant” sono, a mio avviso, due bellissimi esempi di Francesco Guardi. Il loro stile corrisponde appieno a quello di tanti altri fiori che Giuseppe Fiocco è venuta sui, prendo e pubblicando in “Arte Veneta”, rivelando anche questa atti, vita del geniale pittore. La scioltezza della pennellata, la ricchezza del pigmento, l’instabilità del vaso che ci dà l’illusione che i fiori veramente vibrino e si muovano in quello spazio atmosferico, son tutti caratteri che testimoniano la presenza di Francesca Guardi, che sa imprimere, ad un genere decorativo, com’è quello dei fiori, una magnifica vitalità di stile, Rodolfo Pallucchini»; e: «Il vaso di fiori (dipinto su tela di m 0,82xo,68), riprodotto a tergo, è tipica opera di Francesco Guardi. Questo dipinto forma “pendant” di un altro dello stesso soggetto e delle stesse dimensioni. Rodolfo Pallucchini». ‘ «Milano I.V1.1962. Caro Dr. Nigro, m’è stato detto (l’ho appre, so a Parigi, la settimana scorsa) che presso di Lei si troverebbe un dipinto del Guardi, ispirato o copiato dal Todeschini. Siccome io sto preparando il “Catalogo” delle opere del Guardi, mi interesse, rebbe moltissimo averne la fotografia. Posso osare chiederGlielaa Mi farebbe gran cortesia. Con molte grazie anticipate e cordiali saluti Suo A. Morassi» (Genova, proprietà privata).
” «San Filippo Neri», olio su tela, cm 87×63; «Ritratto di giovane canonico», olio su tela, cm 100×76, per entrambe le opere cfr. M. Ros ci, in Giuseppe Antonio Pianta, catalogo della mostra, Varallo Sesia 1962, rispettivamente pp. 32,33 n. 9 e p. 41 n. 33. La terza tela dell’artista appartenuta a Costantino Nigro «Ecce Homo», olio su tela, cm 75×98 è documentata da una foto dell’archivio di Caterina Marcenaro.
” «La dama dalla coppa d’oro», olio su tela, cm 85×58; non risulta che l’attribuzione sia mai stata ripresa negli studi sull’artista. «Cleopatra», olio su tela, Cni i 10X87.
7′ «Lucrezia», olio su tavola, cm 96×78; il dipinto va identificato con quello citato in M. J. FRIEDLANDER, The Antwerp Mannerist Adriaen Ysenbrant, commenti e note di H. PAUWELS, A. W SIJTHOFF, La Connaissance, Leyden,Brussels 1974, p. 99 n. 2792. Si coglie l’occasione per segnalare che appartenne a Costantino Nigro anche un’altra significativa tavola fiamminga: ci si riferisce all’«Annunciazione» che, allora attribuita al Maestro di Flémalle, è stata invece poi riconosciuta copia tardocinquecentesca dal cosid, detto altare di Merode del Metropolitan Museum di New York, cfr. M. J. FRIEDLANDER, Rogier van der Weyden and the Master of Flémalle, commenti e note di N. VERONEE•VERHAEGEN, A. W SIJTHOFF, La Connaissance, Leyden,Brussels 1962, p. 92 Add.155.
7′ «Giochi d’acqua», olio su tela, cm 99×73; cfr. E. ARist, Gian Paolo Panini, Piacenza 1961, p. III; ed E. BRUNETTI, II Panini e la monografia di E Ansi, in «Arte Antica e Moderna», 26, aprile/ giugno 1964, p. 187: in quest’ultimo contributo viene dato conto del fatto che l’originale attribuzione al Panini spettava ancora una volta a Roberto Longhi.
” «Firenze, zo Febbr. 1964. Gentil Signore, come intitolare codesto suo straordinario dipinto (tela di cm 73×123) che è, ad un tempo, “soggetto biblico” , “l’arresto dei Fratelli di Giuseppe di ritorno dall’Egitto” , ma anche sontuosa “natura morta” […] di oggetti, paesaggio, e via dicendo. Quasi tutte le specialità o «generi» del Sei, cento sono qui radunate e disposte quasi emblematicamente sotto l’ansito trascinante dello spirito, del genio “barocco” che solleva la nuvola dalla montagna gibbosa come groppa o dorso di cammello (all’inverso dell’Ungaretti: … “si stacca il monte dalle nuvole. Dif, ficile dunque intitolarsi il dipinto è invece facile ad attribuirsi. E un capolavoro di Gio. Benedetto Casti~, quando nella sua matti, rità, e dopo la lezione romana del Bernini, giunge a legare praticamente gli oggetti veri , la lunga tromba, il giaco di cuoio, i vasi pre, ziosi ‘quasi in un trofeo, in un emblema d’arti e di res gestae sotto il celo [sic] accaldato, nel paesaggio desertico rugginoso. A mia cono, scema la più geniale “natura morta” che sia dato incontrare nel corso del ‘600; e uno dei culmini della grande cultura pittorica genovese. Roberto Longhi» (Genova, proprietà privata). Devo ad Anna Orlando la segnalazione del successivo passaggio dell’opera nella raccolta di Angelo Costa, così come di quella dell’esistenza di un pendant del dipinto, passato in asta prima a Milano, Algranti, 12 dicembre 1988, lotto n. 54, e poi a Londra, Sotheby’s, 16 dicembre 1989, lotto n. 193.
” Oltre al giudizio «Magnasco opera relativ. giovanile in rapporto col Ricci dednnio xvi ti», dalle parole vergate da Longhi sul re, tro della fotografia, conservata presso la Fondazione Longhi a Firenze, si deduce sia l’appartenenza del dipinto a Nigro, sia il fatto che lo studioso aveva risposto a riguardo all’antiquario in data 12 dicembre 1965.
” «Gentilissimo Professore, desidero ringraziarLa per la cordiale accoglienza e per il tempo prezioso che con tanta amabilità ha volu, to dedicarmi. Penso che Lei abbia trascorso le festività fuori Firenze e pertanto non abbia avuto il tempo materiale per la lettera. Nei giorni di Pasqua non mi sono mosso da Genova. Il bel libro della Signora e Paragone mi hanno fatto ottima compagnia. Ed anche per questo devo essere grato alla Signora ed a Lei. Con immutata devozione Suo Costantino Nigro Genova 31 Marzo 67» (Firenze, Archivio della Fondazione Longhi).
” Genova, Galleria di Palazzo Bianco, olio su tavola, cm 65×41, inv. PB 2676.
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