Il «villino» Saccaggi: la casa-studio di un artista della Belle Époque
ARTICOLO NON DISPONIBILEChe la casa-studio di un artista sia Io specchio della sua personalità e possa essere considerata come una sorta di autoritratto materializzato che conserva il suo spirito oggettivato nelle cose e negli arredi di cui si è circondato nel corso della vita, è forse un luogo comune, ma non per questo destituito del valore di verità. Essa non solo è testimone fedele del suo gusto estetico, della sua sensibilità e della sua cultura, ma è anche rivelatrice del suo stile di vita, del suo modo di intendere la propria attività e il ruolo dell’artista nella società. Questo vale ancor di più se la casa-studio è stata voluta e progettata dall’artista stesso, che ha scelto lo stile architettonico dell’edificio, e se vi è intervenuto direttamente con la propria abilità manuale, dipingendo affreschi e motivi decorativi.
E questo il caso della villa che Cesare Saccaggi si è fatto costruire a Tortona, nella zona denominata «Città giardino» nel 1907, al ritorno da un lungo e fortunato soggiorno parigino. Dall’inizio del secolo l’attività di Saccaggi aveva infatti gravitato sulla capitale francese, centro del mercato e della cultura artistica internazionale, dove aveva esposto con successo a tre edizioni del Salone dove aveva lavorato per la Maison Goupil per la quale, secondo la testimonianza del pittore Pietro Dossola, suo seguace e amico, «eseguì quadri deliziosi, di gusto, permeati di civetteria soprattutto a sfondo decorativo, leziosi come fattura e come intento, e poi molti acquerelli, nell’esecuzione dei quali Saccaggi era bravissimo, pittura reclamistica e persino calendari». Dalle sue opere di quel periodo sono state ricavate anche delle stampe con scene neo pompeiane, come La danza e La musi, ca, edite da Manzi, Joyant, altre ambientate in un’epoca indefinita tra Medioevo e Rinascimento, come Recit de combate Hymne à la joie, pubblicate dall’editore A. Le Vasseur e C. oppure in stile neo settecentesco come La bouquetière de Venise (Goupil), molto apprezzate dalla borghesia della Belle Époque, che, desiderosa di veder riconosciuta la propria ascesa sociale, faceva sfoggio nella propria casa di suppellettili di lusso e di immagini piacevoli e decorative, espressioni di un gusto di facile appagamente, alieno da inquietudini intellettuali, tendenzialmente disimpegnato e superficiale.
La vendita di alcune delle sue opere più significati, ve sul mercato parigino (E voto [cat. 43], Elévation e Incipit vita nova nel 1904), il contratto di lavoro con Goupil, i diritti d’autore sulle stampe e le fotoincisioni, unite alla sua professione di ritrattista e, dal 1896 al 1900, a quella di disegnatore di manifesti pubblicitari per alcune importanti ditte nel settore vinicolo, da Gancia a Cinzano, a Ramazzotti, per le confezioni Mele di Napoli, per il rappresentante italiano della Rambler Bicycles di Chicago e, a livello locale, per i vini prodotti alla cascina Alabraida da Nicolino Ricci, dovettero consentire all’artista di fare buoni guadagni e di raccogliere la somma necessaria per far costruire la villa di Tortona.
Questa, tuttora esistente, anche se passata di proprietà dopo la morte dell’artista, presenta una struttura architettonica a due piani di stile neogotico, a forma di piccolo castello, con un torrione merlato sormontato dal tetto che si eleva oltre il primo piano, ed è collocata all’interno di un vasto giardino. Sulle pareti esterne del, la villa, rivestite da mattoni a vista, oltre a una cornice decorativa di gusto floreale, con un motivo di gigli intrecciati alla Morris, che corre al di sotto del tetto, l’artista ha dipinto ai lati dell’ingresso dello studio, due affreschi, contornati da elementi decorativi, rappresentanti i due santi patroni delle arti a cui era devoto, la musica e la pittura: una santa Cecilia all’organo e un san Luca nell’atto di dipingere l’icona della Madonna. Inoltre ha voluto inserire, come motivi decorativi, anche piastrelle e bacini in ceramica come si usava sulle facciate delle chiese romaniche. La villa è circondata da un muro di cinta i cui pilastri sono decorati con manufatti in cemento e, fino alla fine degli anni trenta, era sormontata da una cancellata in stile Liberty, di, segnata dall’artista stesso ed eseguita da artigiani locali, come è documentato da un articolo pubblicato su la «Tortona del Po’ polo» nel luglio del 1909, anno nel quale i lavori sono stati portati a termine. In esso si legge: «Da alcuni giorni i cittadini che si recano fuori porta Serravalle ammirano la nuova cinta che chiude la proprietà del pittore Saccaggi. Specie l’ingresso si presenta in un assieme imponente e nello stesso tempo grazioso. È ammiratissima la balconata eseguita finemente, con garbo veramente artistico, dal bravo stuccatore Alessandro Angeleri, del quale notammo già altri lavori, sempre improntati a un ottimo buon gusto. Anche la parte in ferro battuto è eseguita colla solita scrupolosa accuratezza dal valente fabbro ferraio Tavel, la Luigi. Il pittore Saccaggi ebbe davvero la fortuna di trovare nei due operai tortonesi, due intelligenti interpreti, che, nell’esecuzione dell’opera, seppero esprimere tutta la genialità della sua artistica concezione».
Lungo il muro di cinta, che separa il giardino da quello del villino Panizza, ha affrescato invece, su una parete rivolta verso l’interno, un soggetto mitologico con frementi cavalli, trattenuti alla briglia da Eos la dea dell’Aurora, che trainano il carro del Sole.
La villa è situata in una zona, fuori porta Serravalle, adibita dall’amministrazione dell’epoca a edilizia residenziale, dove nell’età giolittiana sorgeranno una serie di «villini», in molti casi vere e proprie ville signorili, che risentono, nello stile architetto, nico, del gusto eclettico e storicista dominante nella seconda metà dell’ottocento. Alcuni dei «villini» richiamano infatti stili di varie epoche, dal Moresco (villino Panizza) al Neogotico (villino del prof. Soave di Gardella e Martini), altri invece presentano motivi decorativi in moderno stile Liberty così come il vicino ospedale, che fu ampliato proprio nel 1907, con la costruzione dell’edificio di amministrazione, su progetto degli architetti Arnaldo Gardella e Luigi Martini, autori in città anche dell’edificio Scolastico (19o41908) e dell’Albergo Europa (1906,1908), uno dei capolavori del Liberty italiano.
Lo studio dell’artista, situato al piano terreno della villa, a cui si accedeva dal soggiorno, tramite una scaletta ben visibile in una delle fotografie scattate negli anni venti, prendeva luce da un’ani., pia vetrata aperta sul giardino. Nonostante un documentato tentativo di Aristi, de Arzano, amico dell’artista, di mantenere intato lo studio dopo la sua morte, esso cominciò a es, sere intaccato nella sua integrità quando le sordi le Carlotta e Giuseppina decisero di vendere i quadri che vi erano contenuti, organizzando a Tortona una mostra con sessanta opere nel Salo, ne della Federazione del commercio, nel novebbre del 1935, seguita poi da altre due, alla Galle, ria della Barcaccia di Roma nel 1938 e alla Galleria Rotta di Genova nel 1940. Poi fu completa, mente smantellato dopo la definitiva alienazione della villa e la successiva ristrutturazione, che ha radicalmente fisionomia degli interni. Esso è tuttavia virtualmente conservato in alcune immagini realizzate da fotografi professionisti nel corso degli l’inizio dei trenta, nella fase terminale della carriera del pittore tortonese. L’atelier è documentato, seguendo urlogico, da una fotografia scattata da A. Rossato, sicuramente dopo il 1923, con una giovane donna, la nipote pianoforte; da un’altra fotografia, di qualche anno posteriore, intorno al 193o, con l’artista, seduto in posa con tinelli in mano, davanti alla versione definitiva di Lazzaro e di Pace feconda; da una fotografia, poi trasformata in la presenza dell’artista sulla scala d’accesso, davanti a numerose sue opere di piccolo formato, appese sulla padue fotografie, databili all’inizio degli anni trenta, forse anche immediatamente dopo la morte dell’artista, scattfo Ginocchio, con studio in città, che riproducono la vasta sala dello studio ripresa da opposte angolazioni. Le fotografie effettuate da Ginocchio costituiscono uno straordinario documento della cultura dell’artista torteziosa testimonianza di come lo studio fosse un luogo emblematico dell’osmosi tra arte e vita di Saccaggi. Lo studio, una vasta sala dal soffitto a cassettoni con decorazioni floreali, illuminato da un lampadario mores, moschea con cinque luci, non appare come un luogo di lavoro mancano infatti gli attrezzi del mestiere, i pennze, le cassette coi colori e i cavalletti sono usati soltanto per esporre i quadri finiti di grande formato ma coni sala di rappresentanza, dove l’artista teneva esposte in maniera permanente le proprie opere, riceveva gli amici e tenenti a quell’élite cittadina, che ambiva di essere ritratta dal pittore di fama. Il tratto più caratterizzate dello si eclettico e storicista che Saccaggi aveva assorbito fin dagli anni del suo apprendistato accademico all’Albert quando nella città sabauda dominava quel clima revivalistico che, sulle orme della rivalutazione del gotico di J le ricostruzioni «in stile» di Violletle, Duc, aveva portato al recupero nostalgico del Medioevo e alla sua riproc cia, «in stile», nel Borgo del Valentino. A quel primo momento aveva fatto seguito poi l’adesione al revivalis internazionali, che si erano succedute nella seconda metà dell’Ottocento, dalla pittura neo pompeiana alla A ln Preraffaellismo inglese, al Neosecentismo di Ernest Meissonier al Neosettecentismo di Mariano Fortuny. Questo gusto è testimoniato da un affresco in stile preraffaellita, dipinto in una delle pareti dello studio. Si trai dì Allegoria della primavera, con tre fanciulle, in abiti quattrocenteschi, quali si possono trovare nelle tavole del Ghirlandaio o di Botticelli, le cui eleganti silhouette si stagliano contro un fondo rosso pompeiano. Sono raffil di cogliere fiori in un giardino paradisiaco, tra alberi, fiori e animali, fagiani, cardellini e uno scoiattolo. Su u siede un giovane pittore, paludato in un prezioso costume dell’epoca di Dante, intento a dipingere. Questo aff tenere una specie di autoritratto, una sorta di manifesto di poetica che rivela le predilezioni culturali dell’artista: i te e l’amore per la natura. L’eclettismo dell’artista tortonese è incarnato nello studio dalla presenza di una moltitudine di arredi e di oggeti cui una sedia Savonarola, uno stipo a rocchetto in stile barocco, una poltrona e delle sedie Luigi XV, una specsentata nell’opera neosettecentesca, alla Fortuny, Il cavalier servente (cat. 26), uno stipo ad anta ribaltabile con i mensola di manifattura francese Secondo Impero, un salotto con poltrone a rocchetto e un divano angolare f Sullo stipo a rocchetto è collocato il bronzetto pompeiano della Vittoria alata, conservato nel Museo ArcheoloE nella riproduzione della fonderia Chiurazzi, con tutta probabilità acquistato durante il soggiorno napoletano tista stesso, che la raffigurò nell’opera di gusto neopompeiano, alla Alma,Tadema, La rivale. Altro elemento caratterizzante dello studio è l’horror vacui, rilevabile nel feticistico accumulo di oggetti, di mar da un piccolo trittico ligneo di forma gotica alle statuette di gesso e terracotta, alcune delle quali modellate dall’a me esercizi di plastica, tra cui un busto femminile di un Purismo neoquattrocentesco alla Laurana, ai numero albarelli, un candelabro ebraico a sei bracci (menorah), ai tappeti distesi sul pavimento o appesi alle pareti, che gusto estetizzante e dannunziano e fanno dello studio uno spazio narcisistico e aristocratico, uno scrigno prezioso, separato dalla volgarità della vita quotidiana. Né mancano, oltre ai tappeti, altri oggetti «etnici» come un tavolino rotondo con sgabello di gusto esotico, spade, maschere orientali e una testa di donna africana. Particolarmente significativa è la presenza di un piano, forte che Saccaggi sapeva suonare con maestria. Nipote di un valente organista, l’artista ebbe anche una profonda educazione musicale che lo portò a esibirsi in occasioni mondane, in feste tra artisti e in cerimonie religiose, come testimoniato dagli aneddoti raccontati nell’articolo di Aristide Arzano per la rivista «Alexandria», nella breve monografia di Dossola e da notizie riportate nelle cronache dei giornali locali. Gli strumenti musicali saranno inoltre spesso rappresentati nelle sue opere pittoriche, esemplari documenti di quel rapporto instaurato tra pittura e musica dalla cultura simbolista fin de siècle. L’affresco con la santa Cecilia in estasi (cat. 55), mentre suona l’organo, dipinto sul muro esterno della casa, è un’ulteriore prova dell’intensità del suo rapporto con la musica, in particolare quella sacra che a Tortona aveva trovato un’interprete d’eccezione in don Lo, renzo Perosi.
I dipinti dell’artista, riconoscibili nelle varie fotografie dello studio, appartengono a vari momenti della sua proteiforme car, riera e ai vari generi da lui frequentati, le teste di giovani fanciulle di Un diadema di perle (cat. 9) e di Bambina col soffione (cat. Io), il ritratto della sorella Anna Maria Palmira e quello d’uomo sorridente in costume seicentesco noto con il titolo di La let, tera (cat. 27) il tondo sacro di Mater amabilis, le cromolitografie di Incipit vita nova e di Elevazione, vari paesaggi tra cui Scogli, una natura morta e numerose composizioni di figura degli anni venti, Redenzione (cat. 70), L’annunciazione, Pace feconda, Laz• zaro e bozzetti vari. In alto in un angolo è riconoscibile il ritratto che l’amico e maestro Giacomo Grosso gli aveva dedicato nel primo dopoguerra.
Lo studio di Saccaggi è dunque un esempio tardivo di quella tipologia, nata nel corso del xix secolo con l’affermarsi della cultura storicistica che ha indotto gli artisti a riempire i loro luoghi di lavoro o di rappresentanza, come è documentato da fo, tografie d’epoca, di oggetti di ogni tipo e di ogni periodo storico (tendaggi, stoffe e tappeti orientali, paraventi, baldacchini, di, vani di velluto, ventagli, sgabelli moreschi, armature, porcellane cinesi, stampe, candelabri, incensieri e così via), adatti a ri, costruire ambienti del passato e, nel caso degli orientalisti, a ricreare fantasticamente con costumi etnici, armi, pelli di animali, maschere, e oggetti di vita quotidiana, l’atmosfera esotica di luoghi lontani. Gli studi assumevano in questo ma te composito di piccoli musei, di Wunderkammer stipate di oggetti rari e curiosi e di teatri di posa.
Del tutto naturale è la tentazione di mettere a confronto lo studio «virtuale» di Saccaggi con quello reale, fortunatai servato nella sua integrità, di Giuseppe Pellizza da Volpedo, dato che i due artisti erano coetanei e avevano intratt chevoli contatti. I due studi sono emblematici della loro diversità umana e del loro antitetico modo d’intendere l’a stica.
L’atelier di Pellizza a Volpedo, ricavato da uno stanzone raggiungibile dalla casa paterna, appare contempo te un luogo di studio e di lavoro. È uno spazio sobrio, dalle pareti spoglie, non decorate, illuminato da un grande che lascia filtrare una luce zenitale, spartano negli arredi (una poltrona, qualche sedia, un camino, una stufa), pic menti del mestiere (tele, cornici, cavalletti, tavolozze, un manichino, calchi di gesso di parti anatomiche, un maci La presenza di una grande libreria a muro, ricca di volumi d’arte, di politica e di filosofia e di riviste, è perfettamer all’immagine che l’artista ha cercato di dare di sé negli autoritratti, quella di un pittore intellettuale, profeta di un’ari( nità che avesse la funzione sociale di promozione delle classi diseredate. L’atelier di Saccaggi invece, arredato co tuoso salotto, dove circola un’aria di mondanità, è lo spazio dove si muove un artista brillante, alla moda, che cere so e l’ammirazione del pubblico borghese e che manifesta una concezione elitaria e aristocratica dell’arte, intesa cor sé, secondo il principio intransitivo dell’«arte per l’arte». I modelli a cui si ispira, seppur in una dimensione più me vinciale, sono probabilmente gli ateliers dei «pompier» francesi e le prestigiose «houses» londinesi dei pittori vittoria setti a Leighton, ad Alma,Tadema. La volontà di questi artisti di presentare l’opera d’arte come prodotto finito, c lo prezioso, tradisce una concezione romantico,idealistica dell’arte, che, facendola apparire come frutto spontaneo del genio, scaturita già perfetta, quasi per magia, dalle sue doti superiori, ne occulta l’aspetto fabbrile, il faticoso mestiere, la manualità impura della tecnica, il processo, per tentativi ed errori, che presiede alla sua realizzazione.
Anche il piccolo parco ricco di fiori e piante che circondava la casa, è documentato da varie immagi l’esterno, che inquadrano la cancellata e il viale d’accesso all’abitazione e da tre serie di fotografie scan dirlo: la prima, databile agli anni venti, con l’artista ripreso nel viale insieme a una delle sorelle, con e da, del luglio del 1929, con le sorelle Carlotta e Giuseppina, la nipote Elsa e suo marito Alberto Cc
l’agosto del 193 3 nella zona della fontana, con la nipote e i suoi figli Alberico e Alessandro.
Queste ultime documentano che, nelle immediate adiacenze della villa, sorgeva una fontana in stile c di forma quadrata e una colonna centrale da cui uscivano quattro beccucci d’acqua, in cima alla qu neraria romana a colonne tortili, con bassorilievo, rinvenuta durante gli scavi per le fondamenta. Acc sta una grande cicogna in ferro battuto e, ai vertici dello spazio quadrato intorno a essa, delimitato da locate quattro anfore olearie romane.
Nelle immagini risalenti al luglio del 1929 l’artista è fotografato in giardino insieme alle sorelle Car] nipote Elsa sotto una pianta di viburni fiorita e nel viale costeggiato da due folte file di ireos, fiori tr2 Liberty, insieme a Alberto Cotti. In quella più emblematica posa, insieme a una delle sorelle dall’elq sa, davanti all’obbiettivo in giacca bianca da dandy, seduto alla guida di un calesse, status symbol de seguirnento da parte dell’artista di una posizione sociale di prestigio, al culmine di una carriera fortunata.
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