L’Alabastro di Busca tra Arte e Scienza Ballerina Demetre Chiparus
ARTICOLO NON DISPONIBILEL’Alabastro di Busca nei Beni Culturali
Statua di Ballerina, Demetre Chiparus
Demétre Haralamb Chiparus era uno scultore rumeno di origine5.3, ma attivo e residente a Parigi, attivo fra diciottesimo e diciannovesimo secolo. È considerato uno dei maggiori esponenti dell’Art Deco. Creò nel 1928 una delle sue sculture in bronzo più famose (e anche una delle più conosciute dell’intero movimento Art Deco), la “Danseuse au cerceau” (Ballerina con cerchio). Cercando sulla rete esempi di opere in Alabastro di Busca, ci siamo imbattuti in questa sua opera in bronzo e avorio, con basamento in Alabastro di Busca. Al momento della stesura di questo volume l’opera fa parte della Collezione Antiquaria della Casa d’Aste Gogna (www.GognaBros.it) alla cui cortesia dobbiamo la possibilità di utilizzo delle seguenti immagini.
Figura 5.21 – La Ballerina in bronzo e avorio con basamento in Alabastro di Busca e inserti in onice verde e marmo Portoro (altezza 40 cm).
5.3 Demétre H. Chiparus, anche conosciuto come Dumitru Chipăruş, nacque a Dorohoi, Romania, nel 1886. Durante il 1909 si trasferì in Italia, per apprendere la scultura sotto la guida di Raffaello Romanelli. Nel 1912 emigrò a Parigi, alla “Ecole des Beaux Arts” per perfezionarsi sotto Antonin Mercie e Jean Boucher. Morì a Parigi nel 1947.
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L’Alabastro di Busca tra Arte e Scienza
Figura 5.22 – Dettagli del basamento della scultura, in Alabastro di Busca, e della firma dello scultore D.H. Chiparus sulla parte superiore del basamento stesso.
Segue l’intero volume:
Alessandra Marengo è nata a Bra nel 1985. Ha conseguito la Laurea Magistrale in Scienze e Tecnologie per i Beni Culturali nel 2010, e sta conseguendo il titolo di Dottore di Ricerca in Scienze della Terra. Attualmente è borsista di ricerca presso il Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università degli Studi di Torino, dove si occupa di caratterizzazione mineralogica e petrografica di materiali lapidei utilizzati nell’ambito dei Beni Culturali.
Emanuele Costa è nato a Torino nel 1962. Si è laureato in Scienze Geologiche nel 1993 ed ha conseguito il Dottorato di Ricerca in Scienze della Terra nel 1999. Dal 2004 è ricercatore, prima nel settore della Geochimica e successivamente nel settore della Mineralogia, presso il Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università degli Studi di Torino, dove è docente dei corsi di Geochimica Ambientale e di Biomineralogia. Esperto nel settore dell’analisi chimica e mineralogica e della microscopia elettronica applicata alle Scienze della Terra.
Le risorse lapidee rappresentano un importante elemento culturale in quanto impiegate come materia prima per realizzare i capolavori della scultura e dell’architettura che fanno parte del patrimonio culturale dell’umanità. Pertanto, la conoscenza delle risorse lapidee, delle loro caratteristiche minero- petrografiche e geologiche, del loro uso e delle tecniche di coltivazione, può contribuire a fornire un più ampio panorama del significato storico e culturale di questi materiali, evidenziando l’importanza di un’attività economica assai rilevante nella storia e nelle tradizioni delle diverse culture che si sono sviluppate nel corso dei secoli nell’area mediterranea e, nello specifico, in Piemonte.
Tra i materiali piemontesi, particolarmente pregiato è il cosiddetto Alabastro di Busca, un materiale lapideo di natura calcarea che ha avuto il suo massimo impiego, dal punto di vista architettonico e artistico, nel periodo compreso tra il 1700 e il 1900. Proprio su questo materiale, è stato preparato il presente volume, frutto di una collaborazione in atto tra il Dipartimento di Scienze della Terra e il Comune di Busca per lo studio e la futura eventuale valorizzazione delle Cave di Alabastro di Busca, ivi locate, in Provincia di Cuneo.
Il testo, con un taglio deliberatamente divulgativo, traccia la storia dell’Alabastro di Busca, dei suoi usi, della sua importanza da un punto di vista scientifico, del suo possibile meccanismo di formazione. Vengono inoltre descritte le Cave, tuttora esistenti e che costituiscono un sito di potenziale e rilevante interesse geoturistico. Si illustrano infine brevemente e in modo didattico i metodi con cui, in Dipartimento, si studia l’alabastro buschese dal punto di vista minero-petrografico e geologico.
Scritto da un Ricercatore e Docente del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università degli Studi di Torino e da una Dottoranda afferente al Dipartimento stesso, il volume aspira ad essere un esempio della cosiddetta “terza missione” delle istituzioni universitarie, volta a diffondere la conoscenza scientifica e ad aumentare le sinergie tra l’Università e il Territorio. Crediamo che il volume sia di sicuro interesse non solo per i cittadini del territorio buschese, ma per tutti coloro che hanno a cuore il patrimonio artistico, storico, scientifico e culturale piemontese e italiano, ed è con grande piacere che lo consigliamo.
Daniele Castelli Direttore del Dipartimento di Scienze della Terra
La Città di Busca sta realizzando un’operazione di recupero, di studio e di promozione delle sue storiche cave di Alabastro dal titolo “I tesori di Busca, alla scoperta della città in un viaggio tra cultura e scienza”, che si è sviluppato nel 2016 in tre eventi: un convegno, tenuto in Casa Francotto il 26 maggio, la prima giornata di visite accompagnate alle cave dismesse, svolta con grande successo domenica 5 giugno, e questa interessate e approfondita pubblicazione. In primo luogo, ringraziamo il Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Torino, l’Atl Cuneo, la Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo, la Banca BCC di Caraglio e gli altri sponsor per i contributi determinanti alla realizzazione del progetto. Desideriamo poi sottolineare il prezioso lavoro di ricerca svolto dal professor Emanuele Costa e dalla ricercatrice Alessandra Marengo dell’Università di Torino, autori di questo libro, che da due anni vengono con regolarità a Busca per studiare l’Alabastro e le sue cave. É per merito del loro interessamento che abbiamo potuto avviare concretamente un vero programma di rilancio del sito geologico, per inserirlo nella promozione della nostra città nell’ambito del turismo ecosostenibile I due studiosi hanno rilevato come i canyon “rosa” che si trovano sulla collina dell’Eremo siano conseguenti a fenomeni di deposizione carsica risalenti a epoche comprese risalente fino a 400.000 anni fa. Il che consente ricerche uniche sul paleoclima di un’ampia area circostante. Infatti, l’esempio di Busca è stato portato all’attenzione degli studiosi in occasione di convegni nazionali e internazionali di geologia, mineralogia e conservazione dei Beni Culturali e Naturalistici. Questi studi sono interessanti perché, permettendo di indagare come si è evoluto il clima nel corso dei millenni, consentono di creare un modello che suggerisce come le future variazioni climatiche, particolarmente in evidenza negli ultimi decenni, avranno conseguenze a livello locale. Inoltre, questo il libro tratta dell’Alabastro rosa di Busca sotto gli aspetti del suo uso in ambiti architettonici e artistici, presentando un illuminante excursus sulla storia del nostro comune. Esso concede una lettura gradevole e, grazie a un linguaggio molto scorrevole, facilita la comprensione degli aspetti tecnici e scientifici dell’esposizione.
Marco Gallo Sindaco – Ezio Donadio Assessore
Ringraziamenti
Scrivere i ringraziamenti per un’opera che ha coinvolto molte persone e molti Enti è sempre piuttosto complicato. Inizieremo pertanto ringraziando calorosamente il Sindaco Dott. Marco Gallo che ci ha supportato nel progetto e gli Assessori Comunali, in primis Ezio Donadio che ci ha sopportato senza lamentarsi. L’organizzazione comunale è da ringraziare tutta, ad esempio i responsabili degli Uffici Tecnici del Comune, Geom. Tallone e Geom. Gosso, perché senza la loro competenza, memoria storica e partecipazione non avremmo potuto reperire molte delle informazioni raccolte in questo volume. La collaborazione comunale è stata fondamentale anche per organizzare gli eventi e le serate legate a questo progetto che hanno riscontrato tanto successo sul territorio civico (e non solo), e qui è doveroso ringraziare la Dott.ssa Mariella Bosio che ha fatto molto per la diffusione dell’informazione. Un caloroso ringraziamento è dovuto anche alla cittadinanza buschese, che ha accolto con partecipazione i nostri seminari, dimostrando così tanto interesse da convincerci che un libro su Busca e sul suo Alabastro sarebbe stato ben accetto. Particolare gratitudine va indirizzata alla Famiglia Isaia, che ci ha permesso di organizzare un progetto di studio articolato e complesso sul territorio delle cave. Altri Enti ci hanno tangibilmente aiutato: la ditta di Cavallo Walter ha concretamente sollevato e spostato macigni che da soli non avremmo mai osato neanche sfiorare. Ringraziamo le Aziende che hanno finanziato la stampa di questo volume: Iridium doors, Damilano Group, Sordello Giancarlo, Banca BCC Caraglio. Ringraziamo il Prof. Sandrone, già del Politecnico di Torino, e il Prof. Borghi, dell’Università di Torino, per l’aiuto e la collaborazione. Ringraziamo anche i membri del Gruppo Speleologico Valli Pinerolesi che si sono calati nella Grotta della Marmorera e ci hanno provvisto di foto e notizie. Molti altri ci hanno suggerito, raccontato, indirizzato, nonché fornito ricordi e immagini. Esse sono citate nei luoghi opportuni all’interno del libro.
Gli autori
Premessa
Il progetto di caratterizzazione dell’Alabastro di Busca (e della cava da cui esso veniva estratto) è nato all’inizio del 2013, nell’ambito di una tesi per il conseguimento del Dottorato di Ricerca in Scienze della Terra presso l’Università degli Studi di Torino (Dipartimento di Scienze della Terra). L’argomento della tesi di Dottorato era lo studio degli alabastri calcarei, una particolare categoria di rocce la cui classificazione in ambito geologico e petrografico è piuttosto dibattuta. Durante le prime fasi dello studio, esaminando e analizzando campioni di roccia provenienti da tutto il mondo, è risultato subito evidente che uno degli alabastri-calcarei più interessanti si trovava a breve distanza dalla sede del Dipartimento. Si tratta infatti del cosiddetto Alabastro (o Onice) di Busca, una roccia singolare da un punto di vista geologico e di cui è stato fatto ampio utilizzo nei secoli come pietra ornamentale.
Due sono stati gli aspetti che si sono rivelati più stimolanti: la particolarità (quasi unica) della cava da cui veniva estratta la roccia e la sua effettiva classificazione petrografica. Successivamente ci si è resi conto che, approfondendo le indagini, questa roccia e il suo ambiente di formazione presentavano ulteriori aspetti sempre più complessi ed interessanti.
La cava costituisce un caso particolare nel Nord Italia, poiché in realtà si tratta di un antico sistema di grotte giunto allo stadio finale del proprio “ciclo vitale”; è risultato quindi interessante studiarne i meccanismi di genesi, indagando sulla sua evoluzione e sui fenomeni che hanno portato alla deposizione del materiale – che è stato poi estratto come pietra ornamentale. Il fatto che dove ora è collocata la cava esistessero anticamente delle grotte, ha portato a una constatazione che per quanto intuitiva (per gli addetti ai lavori) ha implicazioni per nulla banali.
In ambito geologico, sono definite come speleotemi le concrezioni cristalline che si depositano all’interno di una grotta (appartengono a questa categoria ad esempio stalattiti e stalagmiti). L’Alabastro di Busca si può quindi classificare come tale, essendo composto da un insieme massivo di concrezioni di grotta. La caratteristica straordinaria degli speleotemi in genere è quella di racchiudere nei propri livelli deposizionali informazioni relative all’ambiente
in cui si sono formati. Analizzando quindi gli strati che compongono l’Alabastro di Busca si possono ricavare ad esempio dati di temperatura e di piovosità per il periodo di tempo in cui le grotte si sono evolute. Attualmente i dati paleoclimatici per il Piemonte meridionale sono scarsi; grazie quindi allo studio sull’Alabastro di Busca si potrà, in futuro, effettuare una ricostruzione paleoclimatica e paleoambientale più precisa del territorio.
In questo volume abbiamo voluto raccogliere alcune informazioni utili per conoscere meglio questo sorprendente geomateriale, le sue caratteristiche e la sua storia. Per quanto riguarda il progetto di Ricerca universitario che vede l’Alabastro di Busca come protagonista, molto è stato fatto e rimane ancora tanto da fare, in quanto si tratta di uno studio affascinante ma estremamente complesso. Questo libro è stato concepito soprattutto allo scopo di divulgare questo progetto e di renderne accessibili i contenuti a chiunque ne fosse interessato, e rappresenta l’impegno degli enti coinvolti (e soprattutto delle persone) a proseguire questo tipo di studi per poter conoscere e valorizzare al meglio il nostro territorio.
Torino 01/09/2016
Gli autori Alessandra Marengo Emanuele Costa
Busca, appunti di storia
Per quanto questo saggio si occupi soprattutto di aspetti scientifici e artistici relativi all’Alabastro di Busca, sembrava opportuno proporre al lettore una breve introduzione storica. Questo perché le vicende che hanno riguardato la cava di alabastro, così come i fattori che ne hanno determinato la purtroppo temporanea fortuna, derivano in larga misura dal contesto storico locale. Pur trattandosi di un territorio relativamente piccolo, la sua storia è ricca e complessa, in quanto fu una zona molto contesa tra importanti casate e famiglie, che ben ne conoscevano le risorse.
Le origini
L’Oliveri, nel suo “Dizionario di Toponomastica Piemontese”, riporta le due possibili opzioni per l’origine del nome: cioè che esso derivi da radici germaniche e neolatine (BUSCA e BUSK, luogo a boscaglia, a bosco) ma anche che sia addirittura precedente e senza chiare interpretazioni. Sicuramente nei dintorni, per parlare delle epoche più remote, sono stati trovati cippi funerari con iscrizioni in lingua etrusca, e parecchie suppellettili di epoca romana. Il luogo è quindi abitato da almeno duemila anni e del resto si trova in una posizione invidiabile ai piedi delle colline, ai margini di una pianura fertile, e lungo delle vie di comunicazione transalpine e vallive. Difficile pensare che in una situazione così favorevole non vi fossero insediamenti già da tempi remoti. In epoca romana vi era certamente un agglomerato avente anche funzioni militari, e proprio al periodo romano si fa risalire secondo alcuni la fondazione della mitica “Antilia”, cittadina molto bella e felice, di non chiara collocazione ma nelle immediate vicinanze dell’odierno abitato. Sembra che in seguito alla distruzione di Antilia la popolazione locale si sia spostata nel sito dell’attuale inurbamento, fondando una nuova città, l’attuale Busca.
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L’Alabastro di Busca tra Arte e Scienza
In realtà il nome Busca non è citato in fonti scritte fino all’inizio dell’anno Mille, e la sua vera storia (intesa come raccolta di documenti, scritti, atti e citazioni in cronache) si può far risalire proprio con l’inizio del secondo millennio della nostra era. In un atto di donazione fatto all’Abbazia di Staffarda, risultano i nomi del Marchese Bonifacio di Savona e del Vasto, Signore del luogo, e dei suoi sette figli da cui derivò per secoli la storia del territorio, in pace e in guerra: Manfredo, Guglielmo, Ugo, Anselmo, Enrico, Ottone Boverio e infine Bonifacio di Incisa (che a onor del vero era stato diseredato dal padre nel 1125, perché, d’accordo con gli Astigiani, si era ribellato e aveva imprigionato il genitore con tutta la famiglia)1.1.
Guglielmo (del Vasto), secondogenito di Bonifacio, erediterà la parte di territorio contenente Busca e vari altri possedimenti1.2. Una delle poche testimonianze materiali dell’epoca che sono giunte fino a noi è la chiesa di San Martino (Fig. 1.1) la cui edificazione risale al XI secolo e che è stata pesantemente rimaneggiata nei secoli successivi.
Il Marchesato di Busca
Figli di Guglielmo del Vasto e di Alice di Savoia, Federico, Berengario e Manfredi I Lancia ne ereditarono i possedimenti (o gran parte di essi) e sono citati nei documenti collettivamente come Marchesi di Busca. Berengario morì probabilmente giovane, mentre Manfredi I fu lancifero
1.1 Questa famiglia divenne estremamente importante per la storia locale, e non solo. Ad esempio Manfredi II, figlio primogenito di Manfredi, acquisì la parte più rilevante di eredità del padre e fu il primo Marchese di Saluzzo e del Vasto. Anselmo fu il capostipite dei Marchesi di Ceva e Clavesana. Da Enrico, futuro Marchese di Savona, derivarono i Del Carretto. Infine, da Guglielmo, discesero i Marchesi di Busca.
1.2 Nel 1142, quando Guglielmo del Vasto eredita i possedimenti, questi comprendono non solo l’abitato di Busca con l’allora unico castello, ma anche il territorio tra il Macra e il Gesso, la città di Cuneo allora fresca di edificazione, Borgo San Dalmazzo, Dronero, Rossana, Morra, Monasterolo, Cavallermaggiore, Cavallerleone, Polonghera, Scarnafigi, Lagnasco, Verzuolo, Brossasco e Cervignasco. Aveva anche possedimenti nelle Langhe e nel Monferrato, come Dogliani, Diano, Grinzane Pallare, Mango e Neviglie. Il territorio venne nei secoli ceduto, perduto in battaglia, riscattato, donato, riducendosi man mano.
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Busca, appunti di storia
e scudiero dell’Imperatore Federico I Hohenstaufen, detto il Barbarossa. Per il valore in battaglia e le doti non comuni di coraggio fu soprannominato dall’Imperatore stesso “Lancia”, e tale nome passò alla dinastia, creando così la linea ereditaria dei Marchesi del Vasto–Lancia, più avanti Lancia tout court. Manfredo I era anche il padre di Bianca Lancia, che fu prima amante e poi (forse) sposa dell’Imperatore Federico II, e madre di Manfredi Re di Napoli e di Sicilia… dove si vede che la relativamente piccola famiglia marchionale aveva contatti, collegamenti e ramificazioni molto estese.
Nel frattempo “piccole” guerre infuriavano tra famiglie nobili confinanti, sempre imparentate tra loro come abbiamo visto nella nota alla pagina precedente. Definiamo piccole queste guerre per il numero di armati –qualche centinaio o migliaio- che vi erano coinvolti direttamente, ma esse arrecavano grande danno al territorio. Ad esempio Manfredi I Lancia dovette cedere nel 1220 Dogliani al Marchese di Saluzzo Manfredi III (alleato con gli Astigiani), peraltro suo parente. Importante notare, a questo proposito, che nel Marchesato di Saluzzo i possedimenti passavano quasi integralmente, per eredità, al figlio primogenito del Signore, per cui tale marchesato mantenne integrità, territori e potenza intatti per molti secoli. Non così nel Marchesato di Busca, dove i territori venivano divisi tra i vari figli contribuendo a scaramucce locali, a litigi e prevaricazioni e alla fin fine all’indebolimento del marchesato stesso.
Alla Morte di Berengario i tre figli Guglielmo II, Ottone Boverio e Raimondo assunsero collettivamente il titolo di Marchesi di Busca. Raimondo sparisce dalle cronache, probabilmente per essere diventato monaco cistercense. Guglielmo a sua volta ebbe tre figli, Enrico (o Arrigo) I, Ottone Boverio (II) e Raimondo (II). Evidentemente il marchese Guglielmo aveva dato ai figli i nomi dei due fratelli, contribuendo a generare quella confusione immensa che si incontra nello studio delle antiche genealogie. Enrico I si trovò ad affrontare una crisi militare quando nel 1259 Carlo di Provenza discese nel Saluzzese attraverso la valle Stura. Chiese di diventare vassallo di Carlo,
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giurandogli fedeltà e portando il territorio nell’influenza del Cuneese, già divenuto possedimento francoprovenzale. Ma il Marchese Tommaso di Saluzzo avocò a sé il territorio Buschese, e ne seguirono complicazioni per alcuni anni. Fino al 1281 Busca rimase sotto la giurisdizione del cuneese, quando la città giurò fedeltà a Tommaso I di Saluzzo1.3. Figura importante alla fine del 1200 è anche quella di Manfredo V, figlio di Enrico, che appellandosi al Governatore del Monferrato si vide riconoscere la giurisdizione sulla Città di Busca, su parte di Saluzzo nonché su Dronero, Lagnasco, Pagno, Brondello e altri territori.
La dominazione Sabauda
Nel 1305 si assistette a una svolta tra tutti i litigi e le faziosità che avevano caratterizzato i due secoli precedenti, con continui passaggi di proprietà e cessioni di aree, castelli e insediamenti del territorio. In tale anno infatti il siniscalco provenzale Rinaldo da Leto, agli ordini di Carlo II d’Angiò, Conte di Provenza, occupò Busca e tutta la valle Stura, portando il tutto sotto diretto controllo dei provenzali. Ma tre anni dopo Amedeo V di Savoia (detto il Grande) riconquistò città e territori e li cedette a Manfredo IV del Vasto, Marchese di Saluzzo1.4. Per un breve periodo (1359-1360) Busca fu anche ceduta (da Federico II di Saluzzo, figlio di Manfredo IV) alla Regina di Napoli1.5, ma appena un anno dopo il possedimento ritornò nelle disposizioni di Amedeo VI Conte di Savoia (il famoso Conte Verde). All’epoca infuriava un’aspra guerra tra il Conte Amedeo VI di Savoia e Giacomo di Savoia Principe di Acaia, in cui si fronteggiavano i due rami della stessa dinastia per il controllo dei
1.3 Probabilmente a tale periodo risale la costruzione del primo nucleo di quello che sarà il “Castello Inferiore” di Busca, appartenuto quasi sempre ai Cuneesi e come tale una spina nel fianco del Marchesato di Busca.
1.4 Dove si nota ancor di più che tutte le famiglie nobili della zona erano imparentate a vario titolo. Manfredo IV era nipote di Manfredo II, a sua volta figlio secondogenito di quel Bonifacio da cui parte tutta la storia dalla prima pagina di questo capitolo.
1.5 Era questa Giovanna I di Napoli, figlia terzo o quartogenita di Carlo di Calabria, primogenito del re di Napoli, Roberto d’Angiò, e di Maria di Valois (1311-1341), sorella del Re Filippo VI di Francia.
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territori piemontesi. Agli Acaia effettivamente apparteneva la maggior parte di quello che potremmo chiamare il territorio attuale del Piemonte, e quando fu stipulata la pace, nel 1363, il Conte Amedeo VI restituì le terre sottratte al proprio congiunto Acaia (compresi i territori di Busca), e da allora i Sindaci e i Procuratori di Busca riconobbero come Signore di Busca il Principe Giacomo di Savoia Acaia. Le relazioni tra Busca e i successivi Principi di Acaia furono confermate, fino all’estinguersi della dinastia con la morte di Lodovico di Savoia- Acaia avvenuta nel 1418. I possedimenti in oggetto passarono quindi direttamente alla dinastia principale con Amedeo VIII (il Pacifico), primo Duca di Savoia. I duchi di Savoia confermarono più volte il legame con il territorio, che era sorretto dai loro vicari e procuratori, e la situazione rimase pressoché stabile sino alle guerre Franco-Spagnole del 1500.
Busca rimase dominio dei Savoia fino al 1536, quando a seguito del conflitto fra Francesco I Re di Francia e l’Imperatore Carlo V di Spagna la situazione si complicò. Il Marchese Francesco di Saluzzo si pose al servizio di Francesco I, ottenendone in cambio il feudo di Busca, insieme a Fossano e a Cuneo (manifestando che l’ambizione di Saluzzo a dominare la vicina Busca non si era sopita dai secoli trascorsi). Ma per motivi di interesse, Francesco I decise in seguito di appoggiare Carlo V, e conseguentemente a questo voltafaccia le truppe francesi assediarono più volte Busca. Durante il primo assedio la città resistette, successivamente il maresciallo Brissac penetrò le mura con circa un migliaio di assedianti, a loro volta scacciati in seguito dalle truppe spagnole nel frattempo sopraggiunte. Nel 1552 i Francesi furono poi definitivamente sconfitti dal Signore di Trinità, vicino a Fossano. A causa delle alleanze presenti all’epoca, il Duca Emanuele Filiberto di Savoia (Testa d’Fer) rientrò quindi in possesso dei possedimenti aviti, comprendenti anche il territorio e la città di Busca1.6. Nel 1588 Carlo
1.6 Purtroppo i conflitti fra Francia e Spagna durarono per molto tempo, e risale all’inizio del ‘500 il detto “Franza o Spagna purché se magna”, attribuito da alcuni al Guicciardini. Questi voleva con la frase sottolineare il qualunquismo dei piccoli e
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Emanuele I, figlio e successore di Emanuele Filiberto, concesse l’uso del sito del cosiddetto Castello Inferiore, che venne demolito per ricavarne una piazza. Di questo castello, che era una roccaforte dei Cuneesi dentro la città e che risaliva alla fine del ‘200, rimase solo la base di un possente torrione, che divenne il sostegno dell’attuale campanile della Chiesa della Confraternita SS. Trinità, anche detta “La Rossa” (Fig. 1.2).
La storia di Busca e del suo contado proseguì per qualche decennio relativamente tranquilla, sino a quando Carlo Emanuele I cedette la città e il feudo al Principe Tomaso di Savoia suo figlio, che diverrà capostipite dei Savoia Carignano. In quel periodo iniziarono i conflitti per la successione del Ducato di Savoia tra Tomaso di Savoia e Maria Cristina di Borbone-Francia, la famosa Madama Reale1.7. Finito il periodo di disordini dovuti a tale lotta interna, si aprì un periodo di relativa tranquillità fino alla guerra provocata dalla Lega di Augusta.
All’epoca il Duca Vittorio Amedeo II (la Volpe Savoiarda) era infatti alleato della Lega, avversaria della Casa dei Borbone di Francia, per cui le truppe francesi invasero, per l’ennesima volta, il territorio piemontese. Si trattava di una guerra imponente (l’esercito comandato dal Generale Catinat inflisse enormi danni in Piemonte) ma anche di esaurimento, in cui le truppe francesi invasero i territori richiedendo
grandi regnanti che si alleavano ora con gli uni ora con gli altri purché si sopravvivesse, mentre il popolo, inerme spettatore colpito direttamente o indirettamente dai conflitti, interpretava la frase in modo più letterale: l’importante era avere cibo per sopravvivere!
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Quando Carlo Emanuele muore, gli succede il figlio primo in ordine di successione, Vittorio Amedeo I. Questi a sua volta avrà come figli Francesco Giacinto, che muore a soli sei anni, e Carlo Emanuele. Questi, legittimo erede del Ducato, ha appena due anni quando il padre Vittorio Amedeo muore, quindi la reggenza viene assunta da Madama Reale. Tomaso di Savoia, zio del bambino, invoca per sé la reggenza (non bisogna inoltre dimenticare che se il piccolo fosse mancato a sua volta, il ducato sarebbe passato al Fratello di Tomaso, il Cardinal Maurizio). Al tutto si sovrappongono le alleanze: i “Madamisti” sono filofrancesi e sostenitori della Madama Reale, i “Principisti” sono sostenitori di Tomaso e delle alleanze filospagnole. Dopo vari eventi, fra cui la fuga in Francia della Madama Reale con il principino, si avrà alcuni anni dopo un rientro e un accordo di riconciliazione. Non prima comunque che truppe spagnole e truppe francesi si scontrino, come al solito, in Piemonte e in Torino.
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alle popolazioni locali vitto e foraggio sia per le truppe che per le bestie da trasporto. Nel 1690, ad esempio, le truppe francesi richiesero a Busca ben 25000 lire dell’epoca (una cifra enorme) 1.8 per evitare il saccheggio. Il riscatto fu pagato con enormi sacrifici. Sembra però che, anche se la guerra durò fino al 1697, il circondario di Busca e la città fossero già relativamente tranquille a partire dal 1693.
Per avere un’idea di come potesse essere strutturato l’abitato cittadino nel XVII secolo si può fare riferimento alla tavola dedicata alla città di Busca del Theatrum Sabaudiae (Fig. 1.3).
Un nuovo periodo di conflitti si aprì con le dispute per la successione al trono di Spagna, che vide da una parte la Francia, la Castiglia e la Baviera (che sostenevano Filippo di Borbone) e dall’altra Inghilterra, Austria e gli stati tedeschi del Sacro Romano Impero che sostenevano Carlo d’Austria. Non sembra però che in tale periodo il territorio buschese sia particolarmente interessato da fenomeni negativi. Questi si ebbero invece, e abbondantemente, nella successiva Guerra di Successione austriaca, con il Re di Sardegna Carlo Emanuele III (Il Laborioso) che sostenne le ragioni di Maria Teresa d’Austria – contro le pretese della Francia e della Spagna.
Nuovamente, eserciti francesi e spagnoli invasero il Piemonte (questa volta uniti, anziché l’un contro l’altro armati), e i francoispanici taglieggiarono Busca nel 1744. Le truppe richiesero, come d’uso, ingenti rifornimenti di farina, foraggio, generi alimentari e ogni altro bene che potesse servire. Le condizioni della città e del territorio erano talmente miserabili che le autorità invitarono la popolazione tutta a pregare la Vergine Maria, radunandosi nella chiesa del Sacro Eremo di Belmonte, allo scopo di ottenere intercessione e grazia. Come la storia vuole, anche questi episodi cessarono. Nel 1762 Busca ebbe infine da Carlo Emanuele III il titolo di Città.
1.8 La lira, all’epoca, era una moneta rarissima e di ingente valore. Veniva coniata in piccolissima quantità, e il suo potere d’acquisto era favoloso. La cifra riportata corrisponde a decine di milioni di euro odierni.
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Alla fine del settecento, i venti della Rivoluzione Francese soffiarono in Italia, e quindi anche sul territorio buschese. Infatti nel 1798 il Consiglio della Città decise l’innalzamento dell’«albero della Libertà», in quella che ora si chiama piazza XX settembre. Ma già nel 1799 fu ristabilita la sovranità Napoleonica sul Piemonte, che invaso dalle truppe francesi era sotto la dominazione della Francia. Busca ebbe il suo Mairie e venne assoggettata al Dipartimento della Stura, amministrato da un Prefetto. Fino al 1814 continuò la dominazione francese, ma la Restaurazione stravolse nuovamente l’assetto politico e territoriale e Re Vittorio Emanuele I Re di Sardegna (detto Il Tenacissimo), entrò in possesso di tutti i vecchi possedimenti in Piemonte.
Da tale momento in poi la città e il circondario seguirono le vicende del Regno di Sardegna prima, e del Regno d’Italia poi, con molti cittadini illustri che si distinsero con sacrifici ed eroismo nei moti e nelle battaglie risorgimentali e nei conflitti successivi. Non bisogna dimenticare che Busca fu fra i centri del Cuneese che subirono pesanti rappresaglie e bombardamenti da parte delle truppe tedesche nel secondo conflitto mondiale, e anzi la città è Medaglia d’Argento al merito Civile1.9.
1.9 L’Intitolazione della medaglia recita: “Piccolo centro cuneese, durante l’ultimo conflitto mondiale, subiva una delle più feroci rappresaglie da parte delle truppe naziste, che trucidarono brutalmente numerosi cittadini inermi e incendiarono una ventina di case rurali. La popolazione, con eroico coraggio e indomito spirito patriottico, partecipava alla guerra di Liberazione e offriva ammirevole prova di solidarietà umana nel dare ospitalità ad alcune famiglie ebree.
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Figura 1.1 – La Cappella di San Martino, risalente al XI secolo, e uno degli edifici piu antichi ancora presenti sul territorio comunale.
Figura 1.2 – Il torrione del Castello Inferiore che oggi costituisce il campanile della Chiesa della Confraternita SS. Trinita di Busca.
Figura 1.3 – La Citta di Busca come appare in una stampa del Theatrum Sabaudiae (XVII secolo). Immagine cortesia Comune di Busca.
L’Alabastro di Busca tra Arte e Scienza
Per un ulteriore approfondimento:
La storia della città e del Marchesato di Busca è una delle più complesse nelle già non facili vicende piemontesi, essendo stato il territorio uno snodo importantissimo durante i secoli. Noi non siamo degli storici, e anzi chiediamo in anticipo scusa per le semplificazioni e omissioni (e probabilmente anche errori) che abbiamo inserito in questo breve capitolo, non per niente definito “appunti”.
Chi volesse conoscere qualcosa di più di tali vicende storiche (si prepari comunque a un carosello di nomi e avvenimenti da far impallidire anche un Pico della Mirandola) può consultare innanzi tutto il Dizionario geografico, storico, statistico, commerciale degli stati di S. M. il Re di Sardegna del Goffredo Casalis (1855) e il volume Busca nei tempi antichi e moderni di Secondo Occelli, ristampato dal Comune di Busca nel 1979. Chi vuole osare molto, può cercare nelle biblioteche locali una copia del primo volume della Storia di Busca di Giuseppe Beltrutti, denso di dottrina e ricchissimo di citazioni bibliografiche. Abbiamo inoltre cercato molte informazioni, sulle grandi dinastie europee sul web. Molto utile anche la lettura del volume I Savoia, di Francesco Cognasso.
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La città di Busca si trova in provincia di Cuneo a circa 60 km dal capoluogo di regione, Torino, in una zona al confine tra le Alpi e la pianura. Le cave di Alabastro di Busca si trovano a metà strada tra l’imboccatura delle valli Maira e Varaita, in una zona appartenente al settore meridionale di quello che i geologi chiamano Massiccio del Dora-Maira (Alpi Cozie); esse sono situate sul pendio della collina definita “Eremo di Belmonte”, in un’area denominata “La Marmorera” proprio in riferimento alle attività estrattive un tempo ivi praticate. Le cave godono di una posizione facilmente accessibile, a breve distanza dal centro abitato di Busca (Fig. 2.1).
Figura 2.1 – Nel riquadro in alto si osserva la posizione geografica della città di Busca rispetto alle valli Maira e Varaita. Nell’immagine satellitare sottostante è invece mostrata la localizzazione delle cave rispetto al centro abitato di Busca (fonte: modificata e adattata da Google Earth).
Le antiche cave di Alabastro
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L’Alabastro di Busca tra Arte e Scienza
Le cave di Alabastro sono impostate su antichi depositi costituiti da concrezioni di grotta, che presentavano uno spessore e una compattezza tale da poter essere estratti, lavorati e utilizzati come pietra ornamentale. Attualmente, della cava rimangono cinque canyon artificiali scavati nel fianco della collina (Fig. 2.2). Questi, al loro interno, hanno una larghezza variabile fra i 2 e i 4 metri, con un’altezza delle pareti di roccia che può raggiungere anche i 35 m, rendendoli dei luoghi molto suggestivi da visitare. La loro estensione entro il fianco della collina varia tra i 50 e i 100 metri. Le fessure sono disposte in modo quasi parallelo e sono orientate lungo la direzione nordovest-sudest (Fig. 2.3). La maggior parte della concrezione carbonatica presente in origine all’interno degli attuali vuoti è stata asportata a causa dell’attività estrattiva, lasciando a vista le pareti costituite dalla roccia incassante (Fig. 2.4), un marmo grigio dolomitico sul quale si possono ancora osservare i segni lasciati dagli utensili e dai macchinari usati per cavare i blocchi di alabastro.
Figura 2.2 – Veduta aerea della Marmorera (immagine acquisita e modificata da: Geoportale Piemonte – ortofoto 2010 http://www.geoportale.piemonte.it)
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Figura 2.3 – Nell’immagine satellitare è indicata la posizione dell’entrata e della fine di ogni canyon. I triangoli rossi segnano invece la posizione delle discariche di detriti (fonte: Google Earth).
Figura 2.4 – Vedute interne dei canyon. La loro morfologia è descrivibile come una situazione intermedia tra una trincea e una galleria, come esemplificato nel disegno in basso a sinistra. Questo è dovuto alla forma irregolare che il deposito di alabastro aveva in origine. Il piano di camminamento è stato livellato e appianato per rendere più agevole lo spostamento dei blocchi di pietra.
Le antiche cave di Alabastro
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L’Alabastro di Busca tra Arte e Scienza
All’interno dei canyon si osserva come le pareti siano sovente bruno- rossastre a causa della presenza di uno strato argilloso. Anche i suoli che ricoprono la superficie della collina nelle zone adiacenti presentano abbondanza di materiale argilloso, tipico delle aree carsiche, chiamato terra rossa; questo è un sottoprodotto del processo di dissoluzione del calcare durante le fasi di formazione delle cavità carsiche2.1. Le impurezze di argille e ossidi di ferro contenute nel marmo si accumulano come residuo, lasciando questi terreni di colore tipico. Il pendio della collina presenta uno spesso accumulo di questo suolo, ed è caratterizzato da una fitta vegetazione che in parte nasconde le caratteristiche topografiche dell’area rendendo difficile un rilevamento preciso. Nel corso delle campagne sul campo condotte negli ultimi anni, l’area della cava è stata mappata e sono state acquisite le coordinate GPS relative alla posizione delle entrate dei diversi canyon2.2. Le dimensioni, l’orientamento e la posizione di ogni canyon sono riportati in Tabella 2.1.
Lungh. (m)
. C1a 27
. C1b 63
. C2 53
. C3 78
. C4 96
Largh. (m)
1.4 – 2.4
0.9 – 3.9 1.8 – 4.2
1.6 – 3.6 1.9 – 4.0
Altitudine (entrata)
688 m slm
700 m slm 704 m slm
689 m slm 660 m slm
Orientaz. (entrata)
315 N
315 N 318 N
320 N 323 N
Coordinate (entrata)
44°31’02,341’’N 7°27’02.120’’W
44°31’01,244’’N 7°27’00,129’’W
44°31’02,178’’N 7°26 ‘9,178’’W
44°31’02,771’’N 7°27’00,170’’W
44°31’01,270’’N 7°27’04,363’’W
Canyon
Tabella 2.1 – Riassunto dei dati morfologici e delle misurazioni ottenuti durante le campagne di rilievo.
2.1 L’insieme dei processi di formazione ed evoluzione delle cavità carsiche (come ad esempio le grotte) è chiamato speleogenesi, e verrà descritto nel capitolo 6.
2.2 La precisione con cui sono state acquisite le misurazioni GPS si attesta intorno ai 20 cm lateralmente e 1 metro verticalmente.
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Le antiche cave di Alabastro
Come si può quindi notare dalle immagini satellitari mostrate nelle pagine precedenti e dalle misurazioni riportate in tabella, i depositi costituivano uno strato sottile da alcuni decimetri a pochi metri, giacente subverticalmente nel fianco della collina. Rispetto ad altre varietà di alabastro-calcareo, formatisi in condizioni simili2.3, la loro estensione è modesta. Queste ridotte dimensioni possono essere dovute al fatto che la roccia in cui si sono sviluppate le grotte originali (poi riempite dal deposito carbonatico) è un marmo dolomitico, più resistente alla dissoluzione e quindi meno adatto per lo sviluppo di cavità carsiche di grande estensione (basti pensare che nel vicino Marguareis, costituito da calcari di maggiore purezza, il reticolo di grotte finora esplorato è di parecchie decine di chilometri).
Dalle osservazioni fatte sul campo e considerando la morfologia della piccola grotta tuttora esistente al termine del canyon C4 (grotta della Marmorera), possiamo ipotizzare che i depositi di Alabastro si addentrino ancor più nel fianco della collina, pur non essendo stati sfruttati. Inoltre si hanno sicuramente depositi di Alabastro anche al di sotto dell’attuale livello di camminamento.
La grotta della Marmorera
Nel 2000, lo Speleo Club Cuneese riferisce del ritrovamento di una grotta al termine di uno dei canyon. Essa è stata quindi parzialmente esplorata, mappata e registrata con il nome di Grotta della Marmorera al Catasto Nazionale delle Grotte al n° PI CN 1195 (Fig. 2.5). Nell’estate del 2015, nell’ambito del progetto di caratterizzazione e valorizzazione delle cave, è stata condotta una seconda breve esplorazione dal Gruppo Speleologico Valli Pinerolesi; anche questa volta è stata visitata solo una parte della grotta, in quanto la dimensione del passaggio, dopo alcuni
2.3 Ad esempio l’Alabastro di Belmonte di Mezzagno (PA), cavato in Sicilia, costituisce degli strati subverticali estesi dentro la roccia incassante per una lunghezza che può toccare il chilometro. Non è detto che gli strati di Alabastro di Busca non proseguano anch’essi addentrandosi (più sottili, più tortuosi) nel fianco della collina, ma semplicemente non sono stati interessati dalla lavorazione perché la loro estrazione non era più conveniente dal punto di vista economico.
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L’Alabastro di Busca tra Arte e Scienza
metri, non era sufficientemente ampia da permettere il transito degli speleologi. Sono state effettuate misurazioni del tratto percorribile, è stata acquisita un’adeguata documentazione fotografica e sono stati prelevati alcuni campioni di concrezione calcarea. Si tratta di una cavità dalla forma allungata (coerentemente ai depositi soprastanti) avente una profondità di circa 10 m rispetto all’attuale ingresso e che si sviluppa per una ventina di metri lungo la direzione nordovest, in perfetto accordo con la direzione del canyon di cui costituisce il prolungamento.
Figura 2.5 – Rilievo approssimato della Grotta della Marmorera (fonte: Mondo Ipogeo n° 15, 2000)
L’accesso alla cavità era difficoltoso poiché parzialmente ostruito da un masso che cadendo si era posizionato in corrispondenza dell’entrata della grotta (Fig.2. 6); recentemente, a seguito dei lavori di sistemazione e pulizia dell’area, l’accesso è stato liberato. Ricordiamo che per calarsi all’interno di tale cavità è assolutamente necessario avere attrezzature adeguate e una preparazione speleologica avanzata.
Gli aspetti più interessanti da considerare a proposito di questa piccola grotta è che costituisce l’unico punto accessibile della cava che non ha subito pesanti modificazioni da parte dell’uomo, e che dimostra come le cave non siano esaurite, in quanto si osserva la presenza di concrezioni che potrebbero essere estratte e utilizzate come roccia ornamentale.
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Le antiche cave di Alabastro
Del resto, a circa 7-8 m al di sotto dell’attuale piano di camminamento, in uno stretto ramo che si ripiega al di sotto del canyon (corrispondente alla linea tratteggiata nell’immagine della mappa), le pareti della cavità sono ricoperte da concrezioni massive (Fig. 2.7) ed è quindi ragionevole ipotizzare che la cava non sia del tutto esaurita come si pensava un tempo ma che l’estrazione sia cessata per altri motivi (probabilmente di convenienza economica). Trattandosi dell’unico settore che ancora preserva molte delle caratteristiche originali, si possono utilizzare le informazioni ricavabili dallo studio di questo ambiente per comprendere come potesse essere strutturata in origine tutta l’area della Marmorera. Questa grotta rappresenta un ramo tuttora relativamente “attivo” dal punto di vista carsico e si possono apprezzare al suo interno, oltre agli strati di concrezione calcarea già citati, anche alcune cristallizzazioni (calcite) di deposizione relativamente recente, mostrati in figura 2.8.
Figura 2.6 – Entrata della grotta al termine del canyon C4.
Figura 2.7 – Interno della grotta, da notare la morfologia stretta e allungata (Foto: Gruppo Speleologico Valli Pinerolesi).
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L’Alabastro di Busca tra Arte e Scienza
Figura 2.8 – Cristalli di calcite formatisi sulle pareti della grotta (Foto: Gruppo Speleologico Valli Pinerolesi).
Altri depositi in zona
In alcuni documenti viene riportata l’esistenza di altri depositi di alabastro calcareo nei pressi della collina dell’Eremo. Il geologo Augusto Stella nei primi anni del novecento studiò, tra le altre, le cave di Alabastro di Busca che descrisse con minuzia di particolari, disegnando una mappa in cui è indicata la posizione dei depositi noti all’epoca. Sul lato nordovest della collina, vengono segnalati corpi mineralizzati minori; purtroppo non è stato possibile risalire con certezza all’ubicazione di questi depositi, sia perché la fitta vegetazione nell’area potrebbe celare interamente i resti della cava, sia perché probabilmente questi si trovavano in corrispondenza della strada, ampliata negli anni seguenti, che risale la collina conducendo al Monastero dell’Eremo. Tale strada potrebbe aver quindi cancellato le ultime tracce residue.
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Le antiche cave di Alabastro
Alcuni autori ottocenteschi segnalano la presenza di una cava attiva nei dintorni di Piasco, a pochi chilometri da Busca. Purtroppo, di queste cave ad oggi non rimangono tracce. Barelli (1835) in un resoconto sulla cava riporta che i depositi di alabastro-calcareo di Piasco hanno la stessa orientazione di quelli di Busca e questo spinge l’autore a ipotizzare (non molto realisticamente) che essi possano costituirne un prolungamento o una diramazione. La roccia estratta in questi depositi era descritta come molto simile all’Onice di Busca ma di varietà meno pregiata e viene riportata la notizia che la cava chiuse già nella prima metà dell’ottocento. De Bartolomeis (1847) a tal proposito scrive: “Riceve tale alabastro, detto marmo di Piasco, una fine pulitura; e pochi anni or sono serviva per piccoli lavori, come calamai, mortai, lastre per tavolini e simili. È difficile scavarne grossi pezzi, per non essere stata la cava, sino al giorno d’oggi, esplorata oltre la superficie, e questa trovasi attraversata e divisa per ogni verso da fessure e fili: ora è abbandonata”.
Nel 2015, su indicazione di un residente del luogo che ricordava vecchie segnalazioni a proposito di una cava sul versante sud della collina dell’Eremo, è stata effettuata una ricerca sul campo durante la quale abbiamo notato dei blocchi sbozzati non distanti da una strada comunale. Risalendo per pochi metri nella boscaglia ci siamo ritrovati in quello che aveva tutta l’aria di essere un sito di cava abbandonato da parecchio tempo (Fig. 2.9). Questo si trova a mezzo chilometro circa in linea d’aria dal sito della “cava principale”; sfortunatamente riguardo ad esso negli archivi municipali non sono state ritrovate molte informazioni. La cava preserva alcune caratteristiche molto interessanti: diversamente agli altri canyon, la concrezione non è stata rimossa totalmente dalle pareti di roccia incassante, quindi è tuttora visibile la giacitura originale dell’alabastro calcareo. Questo nuovo sito è stato indicato con la dicitura C5, proseguendo la numerazione della cava principale. La vegetazione in quest’area è molto fitta e le pareti di roccia sono quasi interamente ricoperte di licheni crostosi di colore nero che impediscono l’osservazione di caratteristiche superficiali della roccia. Da quanto è però possibile osservare, il deposito C5 presenta
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L’Alabastro di Busca tra Arte e Scienza
alcune differenze rispetto al sito principale, sia per la diversa morfologia complessiva del deposito (sembra che il materiale fosse estratto da un primitivo camerone anziché da una cavità allungata), sia per il fatto che i lavori di coltivazione sono stati interrotti prima di trasformare il sito in una trincea che non conserva più i tratti morfologici originali, così come è accaduto negli altri casi. Molte informazioni sulle tecniche di estrazione e di lavorazione dei blocchi sono fornite dalla presenza di tracce di lavorazione (ad esempio l’inizio dello scavo di una trincea come mostrato in Fig. 2.10) e dalla presenza di blocchi sbozzati lasciati in loco.
Figura 2.9 – Veduta dell’area C5 recentemente ritrovata.
Figura 2.10 – Trincea parzialmente scavata seguendo la vena di alabastro calcareo.
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L’attività estrattiva
A causa del prolungato stato di abbandono dell’area e delle scarse testimonianze pervenute, osservando ciò che rimane dalle attività estrattive un tempo praticate, è possibile conoscere e caratterizzare meglio il sito. Sulle pareti dei canyon e nei dintorni rimangono ancora riconoscibili alcune tracce caratteristiche legate ai differenti processi conseguenti l’attività della cava. Gli elementi principali tuttora osservabili possono essere ricondotti a tre tipologie: quelli conseguenti alle attività legate alla produzione (ci si riferisce quindi all’estrazione e alla lavorazione della roccia), al trasporto dei blocchi, dei lavoratori e del materiale, e alle infrastrutture (edifici e servizi presenti in cava o nelle vicinanze).
Le osservazioni sul campo, insieme alle poche (ma utili) informazioni provenienti dagli archivi, nonché ad alcune preziose testimonianze delle persone che ancora ricordano fatti e aneddoti legati all’attività della cava, rendono possibile la ricostruzione di una panoramica sul volume e sulle modalità di esercizio, sulle tecnologie utilizzate, sulla logistica, e così via. Nei paragrafi successivi sono raccolte le informazioni principali riguardanti appunto l’attività estrattiva.
Produzione e trasporto
Il primo passo del processo di produzione in una cava è guadagnare l’accesso al materiale d’interesse rimuovendo la roccia incassante e procedendo con l’estrazione del blocco di roccia. In un momento successivo la dimensione dei blocchi viene ridotta sul posto a un formato più agevole da trasportare, eventualmente il materiale risultante veniva sbozzato sul luogo di estrazione. L’Alabastro di Busca è un materiale piuttosto eterogeneo che presenta zone meccanicamente poco resistenti, di conseguenza i blocchi non superavano la dimensione di uno o due metri; questo può essere dedotto sia dalle immagini storiche dei blocchi sbozzati lasciati in loco come ad esempio mostrato
Le antiche cave di Alabastro
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L’Alabastro di Busca tra Arte e Scienza
in figura 2.11 sia dalle ridotte dimensioni dei prodotti finali della lavorazione: principalmente oggetti decorativi, colonnine e lastre di rivestimento. È noto che molti dei blocchi presentavano difetti che li rendevano poco adatti alla lavorazione. Tra le varie imperfezioni riscontrabili riportiamo ad esempio le mandorle (aree poco compatte caratterizzate da un’alta concentrazione di ossidi e idrossidi di ferro), le case (vuoti presenti all’interno del blocco che vengono alla luce solo al momento del taglio) e le intronature (fratture anch’esse presenti all’interno del blocco)
Per quanto riguarda l’aspetto logistico, vale a dire sia il trasporto dei materiali nei vari siti di produzione che il trasposto dei blocchi al di fuori dell’area di cava possiamo affermare che il sistema di trasporto era di tipo piuttosto rudimentale e di dimensioni ridotte, adeguato alla taglia relativamente piccola dei blocchi di alabastro e all’estensione limitata dell’area di cava. Strade sterrate venivano usate per il trasporto dei blocchi e per il transito di lavoratori e animali da soma. Le strade carrabili erano collegate a brevi rampe da cui venivano fatti scivolare i blocchi per trasportarli più velocemente verso la strada principale che portava in città2.4, per fare ciò potevano essere utilizzate delle slitte in legno, di uso comune in ambito alpino. Le strade utilizzate maggiormente per il trasporto del materiale al di fuori della cava erano quindi quella che portava in città, la via attraverso la colletta di Rossana (che veniva sfruttata grazie alla presenza in zona di cavapietre) e la colletta Busca-Dronero. Il materiale di scarto, veniva impiegato come materia prima per la produzione di una calce dolomitica (purtroppo di scarsa qualità) ed era trasportato alla fornace di Santo Stefano, frazione buschese non lontana dal sito delle cave.
2.4 Una notizia documentata testimonia che nel 1824 si decise di ricostruire e ampliare la strada di collegamento tra la cava di Alabastro e la città in modo da implementarne l’attività.
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Figura 2.11 – Blocco sbozzato di Alabastro di Busca lasciato in situ e ancora parzialmente adeso alla formazione rocciosa; la larghezza del blocco è di circa 1 metro (C5).
Nei tempi più recenti, dei binari collegavano gli ingressi dei canyon C3 e C4, le discariche degli scarti e un piccolo edificio in prossimità di questi due canyon, di fianco al quale si conservavano blocchi e lastre. Il materiale estratto veniva caricato su dei vagoncini tipo decauville e spinti manualmente lungo il percorso (Fig. 2.12).
Figura 2.12 – Sistemi di trasporto in cava. Sinistra: binari che connettevano i vari canyon, foto 1960 circa. Destra: resti di una strada che portava a una delle rampe.
Le antiche cave di Alabastro
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L’Alabastro di Busca tra Arte e Scienza Infrastrutture di supporto e altre testimonianze
Con la definizione infrastrutture di supporto ci si riferisce agli edifici e ai servizi utili a sostenere i lavoratori. Un esempio ne è l’edificio in pietra mostrato in figura 2.13 di cui ad oggi rimangono alcuni resti tra l’ingresso dei canyon C3 e C4; questo capanno veniva usato come deposito per gli attrezzi o per il ristoro dei lavoratori.
Ritrovamenti non insoliti nelle cave sono le iscrizioni lasciate dai cavatori a testimonianza della loro presenza2.5. Nel deposito C5 se ne ritrova una riportante delle iniziali e una data, che risulta ancora chiaramente leggibile (Fig. 2.14).
Figura 2.13 – Piccolo edificio adibito a magazzino davanti al quale si trovano dei binari, che si snodano (come si può notare in basso a destra) in almeno due direzioni. Immagine cortesia Sig. G. Monge.
2.5 Da sempre gli operai e i cavatori lasciano tracce personali nei luoghi di lavoro. Esempi di tale abitudine si possono ritrovare nelle cave di granito e di alabastro calcareo dell’Antico Egitto.
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Le antiche cave di Alabastro
Figura 2.14 – Iscrizione incisa su una porzione di concrezione ancora adesa alle pareti della cava riportante delle iniziali e una data, non è certo se l’anno sia il 1949 o il 1849, essendo entrambi plausibili.
Tecniche estrattive
Generalmente, la morfologia dell’affioramento (o dei depositi) impone le condizioni di lavoro in cava e di conseguenza determina la scelta dei metodi di estrazione. Nel nostro caso, data la morfologia filoniana dei depositi, l’estrazione avveniva dal basso seguendo appunto il filone con degli scavi “a pozzo” eseguiti con utensili manuali e dall’alto disgaggiando la roccia incassante. L’identificazione e la ricostruzione delle singole tecniche di lavorazione impiegate è stata possibile grazie all’analisi delle tracce lasciate da vari utensili manuali e meccanici. Le tecniche che con ogni probabilità sono state utilizzate nelle cave di Busca sono essenzialmente di tre tipi:
•La prima tecnica solitamente non lascia tracce distintive. Essa consiste nel fare leva in fratture preesistenti espandendole
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L’Alabastro di Busca tra Arte e Scienza
inserendo barre o leve per separare i blocchi dalla roccia incassante. Solitamente venivano utilizzati ceppi e tronchi di dimensioni crescenti a mano a mano che la fessura tra il blocco e la parete si allargava. A seconda delle esigenze, al posto dei tronchi potevano venir usati dei cunei di legno. Data la scarsa coerenza della concrezione di Busca è ragionevole supporre che questo metodo fosse molto utilizzato, anche per il basso rischio di danneggiare il materiale estratto.
•La seconda tecnica era utilizzata soprattutto nel caso in cui la concrezione non presentasse fratture naturali o vuoti. In questo caso era necessario applicare tecniche di separazione dei blocchi più invasive. Esse consistevano nel creare zone di debolezza praticando fori in cui venivano inseriti a forza dei cunei, oppure più recentemente usando deboli cariche esplosive posizionate nei fori praticati mediante barramine. In particolare l’utilizzo di queste ultime è ancora ben riconoscibile sulle pareti dei canyon (Fig. 2.15).
Figura 2.15 – Esempi delle tracce lasciate dall’uso delle barramine e dagli esplosivi (campo inquadrato 1,5 m circa).
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Le antiche cave di Alabastro
•La terza tecnica, certamente più adatta per una roccia tenera e fragile come l’Alabastro di Busca, era l’isolamento mediante scavo di intercapedine, che permetteva un’estrazione più precisa garantendo il minor danno possibile al blocco. Dei solchi venivano scavati nella roccia mediante martello e scalpello (potevano anche essere usati picconi o seghe). In questo caso, la morfologia delle tracce può aiutare a fornire la corretta attribuzione dello strumento utilizzato. Le incisioni da scalpello generalmente lasciano tracce dritte e parallele mentre l’uso del piccone è suggerito dal ritrovamento di linee vagamente curve (Fig. 2.16). Entrambi i tipi di strumenti erano molto comuni sia prima che dopo la rivoluzione industriale. Si tratta di un metodo di estrazione più faticoso poiché praticato a mano e certamente richiedeva più tempo, ma permetteva l’estrazione di blocchi coesi di maggiori dimensioni.
Figura 2.16 – Risultato dell’isolamento manuale dei blocchi: è un motivo di solchi paralleli sulle pareti di roccia.
Le tracce riconducibili invece all’estrazione meccanizzata dei blocchi si distinguono per la maggiore regolarità dei solchi e dalla minore distanza che intercorre tra una scanalatura e l’altra (Fig. 2.17), con questo metodo potevano venir lavorate aree più ampie in tempi ridotti rispetto alle tecniche manuali.
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L’Alabastro di Busca tra Arte e Scienza
Figura 2.17 – Risultato dell’isolamento dei blocchi mediante l’utilizzo di macchinari: si osservano scanalature parallele particolarmente fitte e con andamento regolare.
Dall’osservazione delle tracce di lavorazione e delle caratteristiche delle infrastrutture presenti nell’area, risulta abbastanza chiaro che, per l’arco di tempo in cui la cava è stata attiva, l’estrazione è stata eseguita prevalentemente a mano senza l’uso di macchinari. Questo è inoltre confermato in un documento datato 1908 in cui Augusto Stella (geologo di una certa fama all’epoca) descrive la conduzione della cava come “rozza e primitiva” in riferimento proprio all’assenza di macchinari che verranno introdotti solo negli ultimi decenni di attività della cava, ovvero nella prima metà del 1900. I macchinari, come ad esempio martelli pneumatici, vennero introdotti per velocizzare e facilitare l’estrazione. Nelle adiacenze del canyon C4 esiste ancora una platea in cemento che dalle notizie raccolte poteva fungere da supporto per il relativo compressore.
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La storia delle cave di Alabastro
Tracciare una storia delle Cave è abbastanza difficile, perché la maggior parte del loro sfruttamento è avvenuta in periodi storici in cui l’attenzione al documento scritto e alla raccolta archivistica delle informazioni non era particolarmente sviluppata. Senza contare che si è trattato sempre di un’attività “di nicchia”, che coinvolgeva poche persone e probabilmente avveniva con scarsa continuità temporale. Anche i siti di cavatura furono diversi nel tempo: alcuni sono stati probabilmente cancellati dall’evoluzione del territorio, altri più antichi sono stati completamente vegetati e sono di difficile identificazione.
Riguardo ai tempi più remoti, nulla è certo fino al diciassettesimo secolo. Vero è che nella zona è possibile vi siano state attività di cava già in epoca romana. A Piasco, secondo quanto riportato da Vincenzo Barelli nel suo volume “Cenni di statistica mineralogica degli stati di S. M. il Re di Sardegna” del 1835, erano stati trovati in una cavità di roccia alabastrina “…tre scheletri umani, una moneta eroso-mista, coniata nell’anno 260 dell’era nostra, coll’impronto dell’Imperatore Galieno: il che induce a credere che sino da quel tempo si fosse intrapresa l’estrazione di quel marmo.” Forse gli affioramenti di Piasco, portati alla luce dall’erosione accentuata del vicino torrente Varaita, erano stati scoperti in epoca antecedente a quelli di Busca.
Goffredo Casalis, nel suo Dizionario (1830), affermava che nel territorio buschese si cavava una “Calce carbonata alabastrina, d’apparenza stalattitica, di colore lionato-scuro, che passa talvolta al chiaro, superbamente macchiata; sovente vi si scorgono delle vene e gruppi diafani, e per questa ragione offre l’aspetto dell’agata, e spesse volte vi sono unite delle altre vene di calce carbonata pura. E’ capace di ottimo pulimento e bella levigatura, ed è conosciuta in commercio sotto nome d’Alabastro di Busca. Nello scorso secolo si coltivò assaissimo questo alabastro, e si pose ad ornamento di moltissime chiese e palazzi, tanto
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L’Alabastro di Busca tra Arte e Scienza
della Capitale3.1 che delle province, ed è assai ricercato anche dagli stranieri. Trovasi a guisa di filone della spessezza dai due ai tre metri circa, in una calcaria grossolana, bigia e durissima. La cava è discosta dalla citta di Busca circa un miglio, e nella montagna detta dell’Eremo (ove appunto stava sulla vetta un ampio eremo, ora ridotto a deliziosa villa), e nel fianco volto a levante in un terreno terziario. E’ di proprietà demaniale, e viene coltivata, a seconda dei bisogni e delle richieste che ne fanno i marmorai. Si crede che le prime escavazioni abbiano incominciato dall’anno 1640 al 1650, quantunque non si abbia intorno a ciò sicuri indizi (omissis)”.
Risale al 1696 il primo riscontro documentato, una “Capitolazione” tra l’amministrazione patrimoniale della Real Casa dei Savoia e il Prefetto di Busca per la regolamentazione dell’estrazione e delle forniture d’alabastro. In questo manoscritto vengono menzionati alcuni progetti architettonici in cui l’Alabastro di Busca avrebbe dovuto essere utilizzato. Viene ad esempio citata “la Chiesa nuova […] della Congregatione dell’Oratorio di S. Filippo Neri di questa città [Torino]”. Si tratta quindi del primo progetto della chiesa torinese di S. Filippo Neri, realizzato poi solo in parte. Questo dimostra che alla fine del 1600 l’esistenza della cava era già nota e fu presa in considerazione nella progettazione di più di un edificio di particolare importanza.
Nel suo sopracitato volume anche Vincenzo Barelli riporta né più né meno quanto affermato in precedenza dal Casalis aggiungendo un particolare interessante: “Osservansi nei fianchi di quel monte varie altre buche praticatesi da coloro che andarono in cerca di altre vene o filoni d’alabastro, ma in nessun luogo si rinvenne di qualità migliore di quella della cava maggiore aperta.”
3.1 Il volume II del suo monumentale “Dizionario geografico, storico, statistico, commerciale degli stati di S. M. il Re di Sardegna” in XXVIII volumi è stato pubblicato nel 1830 dall’editore Maspero in Torino, e bisogna ricordare che si parlava, al tempo della pubblicazione, del Regno di Sardegna con capitale Torino.
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La storia delle cave di Alabastro
Secondo Occelli, autore nel 1930 di un pregevole libro storico su Busca, fornisce qualche notizia in più appoggiandosi ai lavori dello Stella e del Bonadè-Bottino: “Questa cava nel 1696 fu dalla città di Busca ceduta al Principe Emanuele Filiberto di Carignano3.2. Durante l’impero di Napoleone I fece parte dei beni della Corona (omissis)… le cave passarono poi nel 1814 al Regio Demanio, il quale le affittava fino al 1° gennaio 1875. Cessato tale affittamento ne stabilì la vendita la quale ebbe luogo addì 4 maggio 1879 al Senatore Carlo Brunet di Cuneo. Gli eredi nel 1902 vendevano le cave di Busca unitamente alle cave di bardiglio bianco di Valdieri e relativa segheria di marmi in Borgo S. Dalmazzo al Sig. Carlo Boffa”.
Dai resoconti d’epoca si può quindi presumere che dopo un periodo di fervente attività, durato all’incirca un secolo e mezzo, ha inizio il declino economico e operativo che si protrae fino alla metà del 1900.
Una notevole fonte di informazioni è costituita dalla raccolta edita nei “Documenti minerari degli Stati Sabaudi” (Pipino, 2010) dove vengono citati i documenti relativi al passaggio di proprietà delle cave del 1696, quelli dell’avvenuta consegna del carico di alabastro per la costruzione dell’altare maggiore di San Filippo Neri (1698) e altri relativi a concessioni e permessi. Un documento interessante, datato 1756, riporta un ordine della Camera dei Conti che proibisce lo scavo di marmi e alabastri nelle miniere di Busca in quanto ancora appannaggio del Principe di Carignano.
3.2 Mazzo 52, fasc. 66. II 25 settembre 1696: «Havendo S.A.S. il Signor Prencipe di Carignano destinato di far escavare delle miniere de marmi, o sian alabastri esistenti ne monti di Busca proprie di detta S.A. la quantità de suddetti marmi, o sia alabastri, necessaria per la costrutione dell’Altare maggiore, ch’intende far costruer nella Chiesa nuova de Molto Reverendi Padri della Congregatione dell’Oratorio di S. Filippo Neri di questa Città, e per altri suoi servitij, si è proposto al Signor Preffetto Gioanni Allodio … di attendere al partito per l’escavazione de sudetti marmi, o sian alabastri». La concessione di scavo imponeva all’Allodio di fornire nel termine di tre anni ibidem fasc. 66«carri Cento ottanta di detti alabastri di rubbi sessanta per caduno carro, e sbozzati al vivo, secondo le sagome che le verranno rimesse per parte di detta Serenissima Altezza, e farle condurre, o sia transportare sovra il posto, dove si possano far caricare sovra i carri».
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L’Alabastro di Busca tra Arte e Scienza
Fortunatamente, del periodo successivo al 1874 abbiamo anche le testimonianze documentali conservate negli archivi storici del Comune, che narrano una vicenda complessa e ricca di sfumature storiche. Vi proponiamo un piccolo estratto di quanto da noi ritrovato.
– 8 agosto 1874: il più antico documento consultato negli Archivi Comunali. Si tratta di una lettera dalla Prefettura della Provincia di Cuneo al Sindaco di Busca in cui si evidenzia come l’affitto trentennale della cava stia per scadere, e si voglia indire un pubblico incanto per trovare nuovi affittuari. La Prefettura richiede però una nuova perizia per valutare il valore della Cava, e l’Ing. Bonelli (perito incaricato) non dispone dei piani topografici delle cave. La lettera è riportata integralmente nella Fig. 3.1, è interessante In tale lettera si cita testualmente lo stato di abbandono delle cave, il che darebbe una spiegazione alla scarsità di documenti risalenti ai decenni precedenti al 1874.
– 18 settembre 1879: Il verbale della Seduta del Consiglio Comunale di Busca ricorda che con l’entrata in vigore della legge 12 luglio 1864, n° 1801, bisogna censire ogni cava sui territori comunali. Si specifica che la cava di alabastro era stata “solo di recente venduta all’Avv. Brunetti”. A votazione viene nominato perito il Geometra Giuseppe Viglione.
– 19 aprile 1880: in una lettera dell’Intendenza di Finanza al Sindaco di Busca si riportano le lamentele dell’Avv. Brunetti, che denuncia delle difficoltà per l’iscrizione della cava al Catasto, in quanto la zona non si trova nelle mappe censuarie del Demanio. Il Brunetti chiede perché il Viglione non abbia ottemperato all’incarico di svolgere la perizia, e chiede che questa sia fatta (e di averne una copia) al più presto.
– 22 luglio 1892: Una lettera interessante indirizzata al Sindaco, proveniente da Montevideo (Uruguay), dove i Sigg. Marengo e Bollentini, rappresentanti della World’s Exposition Exhibitors Representing Company di Chicago chiedono di esportare il “marmo colorato di Busca” in Sudamerica. Richiedono campioni
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La storia delle cave di Alabastro
e prezzi e affermano di poter fornire referenze di prim’ordine dall’estero. Tale lettera è riportata integralmente come figura 3.2. Purtroppo non abbiamo trovato copie di eventuali risposte e non sappiamo con certezza se siano stati stipulati degli accordi riguardanti l’esportazione in Sudamerica.
12 settembre 1892: Una lettera del Cav. Arnaudon, fondatore e Direttore del Museo Merciologico [sic] di Torino3.3, che chiede al Sindaco dei campioni di Alabastro poiché “sarebbe utile e desiderabile possederne qualche bell’esemplare da porsi in evidenza ai numerosi visitatori”. Anche questa lettera viene riportata integralmente in Fig. 3.3.
Purtroppo, il 18 settembre 1893 una lettera proveniente dal Segretario del sopracitato Museo annuncia che Arnaudon è morto. Riordinando la corrispondenza del defunto direttore ci si accorge sia della vecchia richiesta, sia che comunque i campioni di Alabastro precedentemente richiesti non sono mai arrivati. Si insiste sull’invio dei campioni dichiarandosi disposti a pagare in via straordinaria le spese di trasporto. Anche in questo caso non abbiamo certezze sul fatto che i campioni siano stati effettivamente inviati in quanto l’archivio non contiene il documento di risposta da parte dell’allora Sindaco.
A partire da tale data si ha una notevole lacuna nella mole di documenti conservata. I primi materiali ritrovati partono cronologicamente dal 1940, e si tratta soprattutto di comunicazioni tra il Corpo Reale delle Miniere al Podestà prima, e ai Sindaci poi, di domande di ricerca o di concessione da parte di vari privati. Interessante una lettera di un commerciante romano che, ancora nel 1960, chiede al Sindaco del paese
3.3 Fondatore in Torino del primo museo merceologico italiano (1860) è Gian Giacomo Arnaudon (Torino, 1829-Vico Canavese, 1893). Chimico, si forma prima da autodidatta e poi a Parigi presso le Manifactures des Gobelins a Parigi. Uomo dalla cultura notevole, collaborò anche con Ascanio Sobrero (altro piemontese illustre, inventore della nitroglicerina, precursore di Nobel e della dinamite) all’Arsenale di Torino.
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L’Alabastro di Busca tra Arte e Scienza
se e quali ditte esercitino sul territorio l’estrazione di quello che lui chiama “Onice del Piemonte”.
L’ultima lettera ritrovata risale al 1961, ed è semplicemente una comunicazione del Sindaco dell’epoca al Corpo delle Foreste, dove si specifica come esista una unica cava attiva all’interno del territorio comunale, estraente “onice”. In conclusione, l’estrazione dell’Alabastro si può considerare terminata alla fine degli anni ’50 – inizio anni ’60 del 1900, sia perché i costi di estrazione del materiale erano diventati nel tempo sempre più ingenti, sia perché il materiale è diventato più raro (i giacimenti si stavano esaurendo3.4) sia perché anche l’utilizzo delle pietre ornamentali segue anch’esso delle mode – e l’Alabastro era purtroppo passato di moda.
Le cave rimangono a testimonianza dell’attività dell’uomo, nonché come possibile sorgente di informazioni storiche, sociali e scientifiche di grande importanza.
3.4 Questo era ciò che comunemente si pensava all’epoca, solo a seguito degli studi effettuati di recente abbiamo potuto appurare che sotto il piano di camminamento attuale i depositi sono ancora presenti.
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Figura 3.1 – Lettera della Prefettura della Provincia di Cuneo risalente all’8 agosto 1874 in cui si richiedono informazioni sulle cave. A seguito la seconda facciata e il testo integrale della lettera.
Trascrizione della lettera di cui all’immagine precedente:
Prefettura della Provincia di Cuneo
Cuneo, addì 8 agosto 1874
Sig. Sindaco Busca
OGGETTO: Cave demaniali
L’affidamento trentennale delle Cave di marmo di Valdieri e di alabastro di Busca di proprietà Demaniale sta per scadere collo spirare del corr.te anno.
Essendo intenzione del Ministero di rinnovare l’affidamento col mezzo dei pubblici incanti, questo Uff.o fu incaricato di compilare una perizia donde desumere il nuovo valore locativo delle cave sudd.e – Delegato a questo scopo si recherà tra pochi giorni in Valdieri ed in Busca l’Ingegnere A. Borello, il quale, stante lo abbandono in cui si trovano le cave in questione, e la mancanza di documenti e piani topografici che facciano conoscere la loro consistenza, avrà probabilmente bisogna della compiacenza delli Sigg Sindaci di Valdieri e di Busca sia per le indicazioni che riguardano le località, sia per l’ispezione delle mappe catastali. S’interessa il Sig. Sindaco di Busca ad accordare il suo appoggio all’Ing.re Governativo soprannominato.
(firmato)
Il Prefetto
La storia delle cave di Alabastro
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Figura 3.2 – Lettera del Prof. Cav. Gian Giacomo Arnaudon, datata 12 settembre 1892, con cui si richiedono campioni di Alabastro di Busca per il Museo Merciologico di Torino; il testo integrale della lettera e riportato a seguito
Trascrizione della lettera di cui all’immagine precedente:
Ill.mo Signor Sindaco
Di Busca
Questa Mostra permanente e gratuita da me istituita ed aperta al pubblico fin dal 1860, auspice il Municipio di Torino, ancor non comprende tra le sue numerose collezioni alcun campione del pregiato Alabastro di Busca. Sarebbe utile e desiderabile possederne qualche bell’esemplare da porsi in evidenza ai numerosi visitatori. La raccolta in questo Museo Municipale delle materie prime delle nostre Valli gioverà ad eccitare il capitalista nostro ed il foresto altresì, a visitarle e coltivarne le cave e le miniere, con proprio lucro e profitto del Paese.
Il nome degli Espositori-Donatori vengono inscritti su apposito albo all’ingresso del Museo e su cataloghi speciali, siccome pure su ogni etichetta colle maggiori notizie attendibili circa la produzione, il commercio, la statistica e la storia. Confidando che la S.V.Ill.ma vorrà validamente coadiuvarmi nel promuovere questa utilissima patria istituzione coll’invio di qualcuno dei sopraccennati campioni, La ringrazio vivamente e La prego di gradire i miei distinti ossequi. Dev.mo,
(firmato)
il Direttore del Museo,
Professore G.G. Arnaudon
Consigliere Comunale di Torino
La storia delle cave di Alabastro
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Figura 3.3 – Lettera della Ditta “Marengo e Bollentini”, spedita da Montevideo (Uruguay) il 22 luglio 1892, con la richiesta di spedire dei campioni di Alabastro di Busca. Il testo inte- grale della missiva recita:
Trascrizione della lettera di cui all’immagine precedente:
Montevideo, 22 luglio 1892
Al Signor Sindaco della Città di Busca
Il nostro socio Sig. Bertone viene’ potrà dare informazione, il Sig. Viglione geometra della Vs Città ci informa che nel territorio della medesima hannovi cave di marmo fino di vari colori che potrebbero benissimo esportarsi nei nostri paesi. Ci permettiamo interessare la Vs cortesia per avere campioni, prezzi ed indirizzi circa tali marmi e crediamo che quale amministratore della città avrete a cuore la ns domanda come quella che potrà forse, se secondata, portare un lucro ed un progresso a qualche amministrato vostro. Sulla nostra casa potremo darvi referenze di I ordine sia in Italia che Francia, Belgio ed altri Stati. In attesa di essere favoriti, vi salutiamo con tutta stima e considerazione.
(Firmato)
Marengo e Bollentini
La storia delle cave di Alabastro
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L’Alabastro e altre “pietre ornamentali”
I materiali lapidei naturali che sono impiegati in arte e in architettura, per la decorazione di edifici o per la produzione di oggetti artistici, vengono definiti pietre ornamentali; le varietà commerciali di questi materiali sono innumerevoli perché quello dei materiali lapidei è un ambito fiorente sin dall’antichità. Le categorie con cui sono classificate queste varietà lapidee (nonché le loro denominazioni) sono ben lontane dalle classificazioni di tipo geologico e petrografico che vengono usate in ambito scientifico. Per chi volesse saperne di più esistono testi di riferimento4.1 molto esaustivi e completi (sia in lingua italiana che inglese) che forniscono un punto di vista scientifico sulle pietre ornamentali, senza però tralasciare la loro storia e i loro utilizzi. In questo capitolo ci occuperemo soltanto di quelle categorie di lapidei che hanno in qualche modo a che fare con l’Alabastro di Busca.
Un aspetto interessante legato allo studio dei materiali lapidei è che essi sono sovente oggetto di collezione, e il fenomeno non è limitato ai tempi recenti. Le rocce utilizzate in arte e in architettura sono state oggetto di raccolte di notevole interesse, già a partire dalle Wunderkammern (letteralmente stanze delle meraviglie) del XVI secolo. Basta del resto pensare alla realizzazione risalente alla metà del ‘500 del famoso Tavolo Farnese, una sorta di preziosissimo catalogo di marmi e pietre pregiate (una foto del quale è posta alla fine di questo capitolo). La lenta evoluzione di questi “gabinetti delle curiosità” in vere e proprie raccolte organiche e sistematiche di esemplari botanici, zoologici e geologici ha portato alla specializzazione degli interessi dei collezionisti, e alla formazione, nel XVIII e XIX secolo, di vere collezioni dedicate alle pietre ornamentali, favorita da un risveglio dell’attenzione da parte degli
4.1 Fra i testi disponibili citiamo:
Lazzarini L., 2004, Pietre e marmi antichi, CEDAM.
Price M. T., 2008, Atlante delle pietre decorative: guida tecnica illustrata, HOEPLI.
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L’Alabastro di Busca tra Arte e Scienza
studiosi dell’epoca nei confronti dell’archeologia e dei materiali usati dagli antichi architetti e scultori.
L’importanza delle collezioni litologiche antiche e moderne è notevole, poiché i campioni diventano oggetto di riferimento per gli studiosi di varie discipline come geologia, architettura, beni culturali e restauro. Spesso, campioni di piccole dimensioni conservati in varie istituzioni, costituiscono l’unica testimonianza utilizzabile come oggetto di studio di materiali non più estratti poiché le cave (come nel caso di Busca) non sono più attive, o sono state cancellate dal territorio a causa dello sviluppo urbano o di altre modificazioni del paesaggio.
In Italia si conservano molte raccolte importanti di materiali lapidei, ad esempio le collezioni Pescetto e De Santis presso l’ISPRA (sede di Roma), la collezione di “Marmi ed Alabastri di Roma e sue adiacenze” del Cav. Rocchi conservata al Museo di Scienze Naturali dell’Accademia dei Fisiocritici (Siena) e tante altre ancora (raccolte Gismondi, Antonelli, Scalzi) conservate nei Musei italiani. Alcune, importantissime, sono state acquisite da musei esteri: un illustre esempio è la collezione dell’avvocato romano Faustino Corsi, che vanta più di mille esemplari tagliati in lastrine, ora conservata all’Oxford University Museum of Natural History, ed in cui è presente l’Alabastro di Busca.
Nell’immagine seguente (Fig. 4.1) è visibile uno dei due campioni di Alabastro di Busca conservato nella Collezione Corsi (ora Corsi Collection of Decorative Stones); le dimensioni della lastrina lucidata sono 14 x 7 centimetri.
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L’Alabastro e altre “pietre ornamentali”
Figura 4.1 – Campione di Alabastro di Busca (cat. N° 359) appartenente alla Corsi Collection – ©Oxford Museum of Natural History – Per gentile concessione del Museo, esclusivamente a scopo di divulgazione. http://www.oum.ox.ac.uk/corsi/stones/view/359
Una collezione che merita una menzione particolare è conservata nel Museo di Mineralogia e Petrografia dell’Università di Torino (Fig. 4.2): si tratta della “Collezione Marmi Onice e Alabastri” attualmente in comodato d’uso presso il Museo Regionale di Scienze Naturali di Torino. Il progetto di caratterizzazione degli alabastri calcarei intrapreso dai ricercatori del Dipartimento di Scienze della Terra di Torino nasce proprio a seguito della costituzione e dello studio di questa collezione. Essa è una raccolta di varietà di alabastri calcarei, marmi e travertini attualmente in commercio come pietre ornamentali. In questa collezione manca l’Alabastro di Busca, non essendo più un materiale coltivato, ma molti esemplari della collezione sono stati utilizzati come materiali di confronto durante il progetto di caratterizzazione.
Gli alabastri calcarei (così come altre pietre ornamentali) hanno un’aspetto molto variabile a seconda della porzione di cava da cui sono
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L’Alabastro di Busca tra Arte e Scienza
stati estratti o dalla direzione con cui vengono tagliati e lavorati i blocchi, e poter studiare e confrontare campioni tagliati lungo diverse direzioni, o in epoche diverse, è una opportunità molto importante nella caratterizzazione dei materiali. Bisogna ad esempio considerare che un frammento di Alabastro di Busca estratto nel settecento può essere differente da un altro estratto all’inizio del novecento, dato che probabilmente, nei diversi periodi, vennero sfruttate due diverse zone della cava.
In conclusione, campioni antichi, oggetti artistici d’epoca e campioni aventi litologie simili permettono di acquisire una maggiore conoscenza dell’aspetto del materiale lavorato e delle sue variazioni nel tempo.
Nella pagina seguente:
Figura 4.2 – Veduta d’insieme dei campioni che compongono la “Collezione Marmi Onice e Alabastri” appartenente al Museo di Mineralogia e Petrografia del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università degli Studi di Torino (numeri di catalogo progressivi da MU 16701 a MU 16769). La collezione attualmente si trova in comodato d’uso presso il Museo Regionale di Scienze Naturali di Torino. Si tratta di una raccolta di circa 70 lastrine lucidate di dimensioni 14x8x1,5 cm, le cui località di provenienza sono principalmente Pakistan, Iran, Afghanistan, Messico, Egitto, Tanzania, Argentina, Turchia, Tunisia e Italia.
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L’Alabastro di Busca tra Arte e Scienza
La terminologia: Marmi, Alabastri, Onici e Travertini
Sia nella letteratura scientifica che nell’ambito del commercio dei materiali lapidei, capita che lo stesso materiale venga definito in modi diversi. Ad esempio l’Alabastro di Busca è anche conosciuto come “Onice di Busca” o “Onice Piemonte”, e in alcune descrizioni è stato chiamato anche marmo o addirittura marmo onice, creando una discreta confusione nel lettore. Innanzitutto bisogna distinguere tra i due diversi campi di utilizzo di questi termini, le cui definizioni sono contrastanti. Da un lato si hanno i nomi scientifici utilizzati nel campo della geologia e della petrografia, dall’altro le denominazioni commerciali. Per quest’ultimo caso esistono delle linee guida dettate da alcune normative UNI. In particolare la norma EN 12670:2001 (Natural stone – Terminology) definisce la categoria dei “marmi onice” come: “Varietà di travertino compatta e di aspetto bandato che consiste di strati colorati o trasparenti di calcite e/o aragonite, adatta a essere lucidata”.
Dal punto di vista petrografico però la denominazione “marmi onice” è sostanzialmente impropria e riferibile a diverse litologie: non tutte le pietre ornamentali commercializzate come “marmi onice” sono alabastri calcarei, nonostante il fatto che in ambito non scientifico questi due termini vengano usati in qualità di sinonimi. Risultato di questa confusione è che diversi autori, in presente come in passato, indicano lo stesso tipo di roccia con differenti definizioni: alabastro (Stella 1907), marmo onice (Merrill 1895), alabastro calcareo (Compagnoni et al. 1974), alabastrite, travertino (Price 1997), alabastro orientale (Romano 1996), deposito calcareo (calcareous sinter, Weiss 2009).
Tentiamo quindi di fare un po’ di ordine specificando le motivazioni per cui, per la “nostra pietra”, preferiamo il termine alabastro calcareo. In figura 4.3 sono mostrate delle porzioni lucidate delle categorie di rocce descritte nei paragrafi successivi.
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L’Alabastro e altre “pietre ornamentali”
Alabastro
Nella recente letteratura scientifica questo termine viene usato per indicare una roccia sedimentaria evaporitica composta da gesso. Come suggerito dalla sua classificazione petrografica, questo tipo di roccia si forma dalla deposizione di cristalli di gesso a seguito dell’evaporazione di acque contenenti solfato di calcio. Alcuni autori utilizzano il suffisso “calcareo” per indicare invece la roccia sedimentaria ortochimica deposta in ambiente ipogeo (grotte), composta essenzialmente da calcite (o aragonite) e con il tipico aspetto bandato. La roccia si forma perché l’acqua, in particolari condizioni, forma concrezioni a strati sovrapposti costituiti da cristalli di carbonato di calcio. Come vedremo nel capitolo 6, è proprio questo il meccanismo di formazione dell’Alabastro di Busca.
Travertino
Nell’uso corrente il termine indica rocce deposte in ambiente sub-aereo, e quindi non in una grotta, anche se il meccanismo è per certi versi simile a quello dell’alabastro-calcareo. Nella letteratura scientifica, soprattutto americana, il termine comprende tutte le rocce derivanti dalla deposizione per precipitazione di carbonato di calcio da soluzioni acquose, includendo anche le deposizioni avvenute in ambiente ipogeo e quindi gli “alabastri calcarei”. La maggior parte delle varietà di travertino del mondo si deposita da acque leggermente tiepide, ricchissime di CO2 perché sature di gas derivanti da quello che i geologi chiamano “vulcanesimo secondario”, come fumarole o zone a elevata temperatura all’interno della crosta terrestre4.2. La deposizione e
4.2 Uno dei travertini più famosi (anzi il travertino per antonomasia perché il suo nome deriva proprio da Lapis Tiburtinus, cioè pietra di Tivoli) è quello estratto nei dintorni di Tivoli e impropriamente detto “travertino Romano”. Le acque circolanti ai margini delle antiche caldere vulcaniche (Monti Albani, Vulcano Laziale) ricche in anidride carbonica sciolgono il calcare delle formazioni rocciose calcaree vicine, e ridepositano il carbonato di calcio sotto forma di Travertino a velocità elevata (geologicamente parlando). Pietra relativamente resistente e facile da lavorare, è diffusissima nell’Italia
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L’Alabastro di Busca tra Arte e Scienza
stratificazione della concrezione calcarea all’interno della Marmorera di Busca è un processo diverso da quello appena descritto, scegliamo quindi, per chiarezza di non usare questo termine per descrivere la nostra roccia.
Marmo
Roccia metamorfica, non foliata, derivante dalla ricristallizzazione di calcari. Quando una roccia composta da carbonato di calcio viene sottoposta a sconvolgimenti geologici (ad esempio forti pressioni e alte temperature), i cristalli di calcite si trasformano, ricristallizzano e la roccia diventa, o può diventare, molto omogenea e compatta. Un esempio tipico è il marmo bianco di Carrara. L’Alabastro di Busca (depositatosi in tempi geologicamente recenti) non ha mai subito processi metamorfici con variazioni di temperatura o pressione tali da trasformarlo in marmo.
Onice
Il termine onice spesso viene usato in modo improprio per indicare un materiale dal tipico aspetto a bande che presentano alcuni lapidei. In mineralogia con il termine onice s’intende una varietà di calcedonio, a sua volta una varietà di quarzo, e quindi un materiale completamente diverso dall’Alabastro di Busca. Il termine onice era stato probabilmente usato in passato per sottolineare (come ancora capita nel commercio) la forte variazione di tonalità tra uno strato e l’altro poiché l’onice vero e proprio è a bande bianche e nere.
Per i motivi elencati in questo paragrafo, riteniamo che il nome più corretto per il materiale estratto nelle cave della Marmorera di Busca debba essere proprio “Alabastro di Busca”, tenendo in considerazione il fatto che esso è un alabastro, di tipo calcareo.
centrale e a Roma; con essa è stato edificato ad esempio l’Anfiteatro Flavio, più noto come Colosseo.
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L’Alabastro e altre “pietre ornamentali”
Figura 4.3 – Un esempio dei quattro materiali citati nel testo, a. alabastro calcareo (Alabastro Egiziano), b. travertino, c. marmo e infine d. onice.
Nella pagina seguente:
Figura 4.4 – Il “Tavolo Farnese” è stato creato seguendo i disegni di Jacopo Barozzi da Vignola tra il 1560 e il 1570. Molti dei materiali lapidei usati per la sua realizzazione sono stati prelevati dalle molto più antiche Terme di Caracalla e risalgono quindi all’epoca romana. Il supporto è costituito da una lastra di marmo bianco in cui sono inseriti tasselli di lapidei ornamentali e di cosiddette pietre dure. Al centro si trovano due lastre rettangolari di alabastro egiziano. Inoltre, da notare i tasselli giallo-bruni agli angoli e le tessere ovali disposte lungo i lati sono di una varietà di alabastro calcareo molto simile all’Alabastro di Busca. Per gentile concessione (usi divulgativi) del Metropolitan Museum of Art – New York.
© The Metropolitan Museum of Art http://www.metmuseum.org/toah/works-of-art/58.57/
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L’Alabastro di Busca nei Beni Culturali
In tempi antichi così come in epoca recente, materiali come gli alabastri calcarei hanno riscosso un discreto successo sia come pietre decorative che come materia prima per la realizzazione di oggetti e suppellettili. Fra le varietà più conosciute, utilizzate e tuttora cavate citiamo l’Onice del Pakistan e l’Alabastro Egiziano (Fig. 5.1).
Figura 5.1 – Due esemplari della collezione “Marmi Onici ed Alabastri”. In alto: il campione MU 16737 (nome commerciale: Onice miele) rappresenta un tipico esempio di Alabastro Egiziano. In basso: lastrina relativa al campione MU16762 (nome commerciale: Onice verde persiano), questa particolare varietà chiamata Onice del Pakistan, deve la sua diffusione all’insolita colorazione verde.
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L’Alabastro di Busca tra Arte e Scienza
Anche l’Alabastro di Busca ha conosciuto un discreto successo nell’ambito dei lapidei ornamentali e nel presente capitolo vogliamo mostrarne alcuni esempi. Nel periodo compreso tra il 1700 e la seconda metà del 1800 fu utilizzato in decine di chiese (soprattutto piemontesi ma non solo). In particolare, come roccia ornamentale è stato impiegato per gli apparati decorativi di edifici sacri, per la realizzazione di balaustre, altari, colonne, lesene e altri manufatti. Purtroppo la scarsa coesione che caratterizza l’Alabastro non permetteva la cavatura di blocchi monolitici di grandi dimensioni, e quindi quasi sempre i particolari in questo materiale sono formati da aggregati di frammenti artisticamente collegati, con gli spazi vuoti colmati da malte pigmentate che richiamano le tonalità della roccia. Le maggiori eccezioni sono i pilastrini delle balaustre in molte chiese, le grandi urne nella Cripta dei Re (Basilica di Superga a Torino) e lastre di varie dimensioni (ma di modesto spessore) la Cattedrale di San Donato a Mondovì.
Sono molte le chiese, anche di minore importanza, in cui è stato inserito almeno un particolare (magari anche solo un’acquasantiera) in Alabastro, senza che questo sia stato riportato nella documentazione artistica e storica. Le pagine che seguiranno non vogliono assolutamente dare una visione completa degli usi o dei siti in cui l’Alabastro buschese è stato utilizzato, ma solo fornire qualche esempio di particolare interesse o attrattiva.
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L’Alabastro di Busca nei Beni Culturali
Basilica di Superga, Torino
La Basilica di Superga, realizzata negli anni 1717-1731 su progetto di Filippo Juvarra, è dedicata alla Natività di Maria. Fu eretta per volontà di Vittorio Amedeo II a compimento di un voto dopo la vittoria del 1706 sui francesi. La chiesa, a pianta circolare, è sovrastata dalla cupola alta 75 metri e affiancata da due campanili alti 60 metri. È sede delle tombe reali situate nella cosiddetta Cripta dei Savoia, o Cripta Reale, la cui costruzione, posteriore a quella della Basilica, risale al 1778. L’Alabastro di Busca è stato utilizzato ampiamente per rivestimenti murali e per opere scultoree di piccole dimensioni come urne e piedistalli.
Figura 5.2 – La Basilica di Superga da più di trecento anni domina dalla collina torinese la Città. Foto scattata nell’infrarosso da Corso Regio Parco in Torino.
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L’Alabastro di Busca tra Arte e Scienza
La Sala dei Re è la prima sala della Cripta Reale. Al centro di questa si erige il sarcofago di Carlo Alberto di Savoia, e si può osservare dietro di esso l’altare della Deposizione. Sulla tomba si notano le urne e il panneggio in Alabastro di Busca, che è stato anche utilizzato nella Cripta anche per pannelli di rivestimento alle pareti e alla volta.
Figura 5.3 – Tomba di Carlo Alberto all’interno della Sala dei Re.
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L’Alabastro di Busca nei Beni Culturali Chiesa di San Filippo Neri, Torino
Si tratta della chiesa più vasta di Torino, misurando 69 metri in lunghezza e 37 in larghezza. La sua costruzione iniziò nella seconda metà del ‘600 sul progetto di Antonio Bettino, ma il crollo della cupola nel 1714 ne impose la riedificazione che fu affidata a Filippo Juvarra5.1, il quale utilizzò anche in questa sede l’Alabastro di Busca. Sono infatti formati o rivestiti con questo materiale diversi particolari architettonici, come le sei grandi colonne tortili dell’altare maggiore, le colonnine delle balaustre degli altari minori e soprattutto le 12 imponenti colonne che inquadrano gli accessi alle cappelle laterali.
Figura 5.4 – Altare maggiore della Chiesa di S. Filippo. Le colonne tortili in Alabastro hanno decorazioni in bronzo dorato. Nell’inserto è mostrato un dettaglio delle colonne e della loro decorazione.
5.1 Il successo dell’Alabastro di Busca potrebbe essere in gran parte attribuibile a Filippo Juvarra che fece un grande utilizzo di questo materiale in quasi tutte le sue opere.
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L’Alabastro di Busca tra Arte e Scienza
Figura 5.5 – L’imponente navata centrale della Chiesa. Si osservano -al fondo- l’Altare Maggiore con le sei colonne tortili rivestite in Alabastro di Busca e ai lati alcune delle grandi colonne anch’esse interamente rivestite di Alabastro (di quasi sei metri in altezza, esclusi capitelli e basi) che inquadrano le cappelle laterali.
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Figura 5.6 – Dettaglio di una delle colonne laterali, dove si puo ammirare la no- 61
tevole abilita dei maestri lapicidi nel far combaciare vari frammenti di Alabastro.
L’Alabastro di Busca tra Arte e Scienza
Figura 5.7 – Balaustra che separa il presbiterio dalla navata centrale. Si possono apprezzare i pilastrini in Alabastro, molto elaborati e con sezione ottagonale, alcuni ricavati da blocchi monolitici.
Figura 5.8 – Una porzione di una delle balaustre che separano gli altari delle cappelle laterali dalla navata centrale. Anche in questo caso i pilastrini, seppure di sezione meno elaborata, sono ricavati il più possibile da blocchi monolitici.
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L’Alabastro di Busca nei Beni Culturali Cattedrale di San Donato, Mondovì
La Cattedrale di Mondovì è un edificio settecentesco, opera del grande architetto monregalese Francesco Gallo. Fondata nel 1743, la sua costruzione si protrasse per decenni, e vide sul cantiere la presenza di importanti architetti come Bernardo Antonio Vittone ed il Primo architetto del re Benedetto Alfieri; nell’Ottocento l’edificio fu oggetto, con il cambiamento di gusto, di una serie di critiche che portarono all’esecuzione di nuovi progetti decorativi, fra cui la decorazione delle lesene ad imitazione del pregiato Alabastro di Busca.
Figura 5.9 – La decorazione interna della Cattedrale di Mondovì è tutta ad imitazione dell’alabastro di Busca, considerato all’epoca molto pregiato e quindi degno della Cattedrale stessa. I costi proibitivi delle pietre ornamentali portarono sovente i committenti, nel settecento e nell’ottocento (ma anche oltre), a dipingere le lesene o altri elementi architettonici ad imitazione di marmi pregiati.
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L’Alabastro di Busca tra Arte e Scienza
Figura 5.10 – Come si può osservare in questo dettaglio l’abilità dei decoratori nell’imitare l’Alabastro di Busca era notevole. Anche gli altri marmi pregiati (Giallo di Siena, Verde Alpi) nella foto sono delle imitazioni su stucco.
Mentre le grandi dimensioni della Cattedrale rendevano improbabile l’utilizzo dell’Alabastro su pareti di grandi dimensioni ed estensioni notevoli, le cappelle laterali, più modeste e ridotte, potevano essere decorate con maggiore sfarzo. È il caso della Cappella del Suffragio, dove tutti i dettagli sono stati realizzati con pietre naturali e molti particolari delle pareti e delle decorazioni, ma soprattutto la croce del grande crocifisso, sono stati realizzati in Alabastro di Busca.
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Figura 5.11 – La Cappella del Suffragio nella Cattedrale di Mondovì. Tutto e
realizzato in pregiati marmi ornamentali quali Alabastro di Busca, Grigio di
Frabosa, Giallo di Siena, Verde Alpi, Mischio di Francia e altri ancora, arricchi-
ti da stucchi dorati.
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L’Alabastro di Busca tra Arte e Scienza
Figura 5.12 – Cristo a grandezza naturale, in marmo bianco, sulla croce in Alabastro di Busca. Lo sfondo è in marmo Grigio di Frabosa, mentre la croce è piantata su un simbolico Golgota in Verde Alpi. Incorniciano la nicchia in cui si trova l’opera marmo Grigio di Frabosa, Giallo di Siena e Rosso di Francia. Nell’inserto un dettaglio del Cristo sulla Croce che permette di apprezzare la realizzazione di quest’ultima e di osservare come la croce sia in realtà scolpita in marmo grigio (più resistente e meno fragile), e come l’Alabastro costituisca un rivestimento spesso pochi centimetri teso a imitare le tonalità del legno. Si osservano anche le limitate dimensioni delle lastrine di rivestimento, abilmente accostate per simulare una continuità non ottenibile altrimenti.
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L’Alabastro di Busca nei Beni Culturali Santuario della Natività di Maria, Vicoforte (Cuneo)
La Basilica della Regina Montis Regalis, che deve la sua costruzione essenzialmente al genio dell’architetto Francesco Gallo (incoraggiato dallo Juvarra), venne terminata nel 1730 circa. Famosa per la sua cupola ellittica (la più grande al mondo) presenta sei cappelle laterali, dove l’Alabastro di Busca fu utilizzato come materiale decorativo, a volte in modesta quantità. In particolare, la cappella di San Bernardo, realizzata alla fine del settecento e che contiene il Mausoleo di Carlo Emanuele I, possiede un notevole panneggio interamente realizzato in Alabastro di Busca.
Figura 5.13 – Cappella di San Bernardo in cui si trova il panneggio scolpito in Alabastro di Busca. Foto Wikimedia Commons, autore Marco Plassio, rilasciata sotto licenza CC BY-SA 3.0 .
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L’Alabastro di Busca tra Arte e Scienza San Francesco di Assisi, Torino
Già eretta in epoca medievale, venne completamente ricostruita alla fine del XVII secolo (anche se la facciata è ottocentesca). All’interno la navata centrale è caratterizzata dalla presenza di pilastri le cui lesene presentano un’interessante particolarità: il terzo inferiore è realizzato con un’autentica lastra di Alabastro di Busca, mentre i due terzi superiori (meno visibili) sono dipinti a imitazione dello stesso e in continuità di disegno.
Figura 5.14 – Una visione d’insieme del pilastro con la lesena caratterizzata dalla lastra di Alabastro di circa 40 x 100 cm e la parte superiore dipinta, con evidenti segni di degrado. Nel riquadro: dettaglio della Lastra di Alabastro con in evidenza la continuità voluta dal decoratore tra il motivo naturale delle venature (in basso) e la prosecuzione pittorica (in alto).
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L’Alabastro di Busca nei Beni Culturali Confraternita della SS. Trinità, Busca
La chiesa fu costruita tra il 1652 e il 1660 sulle rovine del Castello Inferiore di epoca medievale (XIII secolo), di cui rimane la torre quadrata trasformata in campanile. Di notevole pregio è la balaustra che delimita il presbiterio, realizzata dallo scultore Antonio Bionda nel 1738. Nonostante la Città di Busca sia il luogo di provenienza dell’Alabastro, questo era comunque raro e prezioso tanto che le colonne della navata centrale non sono state rivestite, ma dipinte a imitazione.
Figura 5.15 – Panoramica della zona dell’altare, in evidenza la balaustra in Alabstro si Busca. Nell’inserto, una delle colonne dipinte ad imitazione dell’Alabastro.
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L’Alabastro di Busca tra Arte e Scienza Confraternita della SS. Annunziata, Busca
L’attuale costruzione, progettata dall’architetto Francesco Gallo, fu realizzata tra il 1728 e il 1735. In alabastro i pilastrini della balaustra e pochi altri particolari.
Figura 5.16 – A sinistra la balaustra che delimita l’accesso all’altare i cui pilastrini sono realizzati in Alabastro. A destra una delle due acquasantiere presenti.
Chiesa Parrocchiale Maria Vergine Assunta, Busca
Venne eretta nel 1717 sul sito della precedente chiesa. Anche in questo caso il progetto è dell’architetto Francesco Gallo. La balaustra è l’unico elemento a essere realizzato in Alabastro, mentre altri particolari sono stati rozzamente dipinti a imitazione.
Figura 5.17 – A sinistra i pilastrini della balaustra e a destra un riquadro dipinto a imitazione.
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L’Alabastro di Busca nei Beni Culturali Caminetto del Sanatorio Fenaille (Severac Le Chateau, Francia)
Maurice Fenaille5.2, pioniere dell’industria petrolifera francese ma anche amatore d’arte e grande collezionista, nonché mecenate e filantropo, costruì a partire dal 1912 un grande sanatorio a Severac le Chateau, nel distretto dell’Aveyron. Durante la Prima Grande Guerra è stato utilizzato anche come ospedale per i feriti nelle operazioni militari, e donato infine allo Stato nel 1938. Tuttora, dopo vari rimaneggiamenti, il sanatorio Fenaille è adibito a struttura di lungo e medio degenza.
All’epoca della sua costruzione il sanatorio era stato dotato di una grande sala di riunione, adornata da un notevole caminetto rivestito in Alabastro di Busca. Tale caminetto, di fattura tardo ottocentesca, è abbellito da teste di leone e ornamenti in bronzo dorato e si ispira ai caminetti antichi situati nel Salone di Ercole nella Reggia di Versailles. Probabilmente nella sua costruzione sono stati utilizzati alabastri calcarei provenienti da diverse località, tra cui anche quello di Busca.
Il caminetto è, al momento in cui scriviamo questo testo, in vendita presso la casa d’aste “1stdibs” (www.1stdibs.com) a cui dobbiamo la cortesia e il permesso di utilizzare le immagini che vi presentiamo.
5.2 Nacque il 12 giugno 1855 a Parigi, morì nel 1937. Insieme a suo padre iniziò nel 1853 un commercio in oli e combustibili per motori a scoppio, che dopo varie vicissitudini venne a sfociare nell’industria petrolifera “Esso Standard”.
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L’Alabastro di Busca tra Arte e Scienza
Figura 5.18 – Due viste del grande caminetto dell’ex salone del Sanatorio Fenaille, in Francia. Alto 141 cm, largo 175 cm, arricchito con particolari in bronzo dorato.
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L’Alabastro di Busca nei Beni Culturali
Figura 5.19 – La collocazione originale del grande caminetto.
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L’Alabastro di Busca tra Arte e Scienza Caminetto della Casa di Napoleone, Ajaccio
Nella casa natale di Napoleone Bonaparte, ad Ajaccio in Corsica, (attualmente Musée Nationale Maison Bonaparte) sono conservati due caminetti in Alabastro di Busca, probabilmente fatti installare attorno al 1799 nel quadro di un rinnovamento architettonico della dimora. In tali camere Napoleone I ha sicuramente dormito al ritorno dalla sua campagna d’Egitto, nell’ottobre del 1799.
Figura 5.20 – Il caminetto in Alabastro di Busca nella “Chambre a l’alcôve”. Foto © RMN-Grand Palais (maison Bonaparte)/Gerard Blot – per gentile concessione.
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L’Alabastro di Busca nei Beni Culturali
Statua di Ballerina, Demetre Chiparus
Demétre Haralamb Chiparus era uno scultore rumeno di origine5.3, ma attivo e residente a Parigi, attivo fra diciottesimo e diciannovesimo secolo. È considerato uno dei maggiori esponenti dell’Art Deco. Creò nel 1928 una delle sue sculture in bronzo più famose (e anche una delle più conosciute dell’intero movimento Art Deco), la “Danseuse au cerceau” (Ballerina con cerchio). Cercando sulla rete esempi di opere in Alabastro di Busca, ci siamo imbattuti in questa sua opera in bronzo e avorio, con basamento in Alabastro di Busca. Al momento della stesura di questo volume l’opera fa parte della Collezione Antiquaria della Casa d’Aste Gogna (www.GognaBros.it) alla cui cortesia dobbiamo la possibilità di utilizzo delle seguenti immagini.
Foto
Figura 5.21 – La Ballerina in bronzo e avorio con basamento in Alabastro di Busca e inserti in onice verde e marmo Portoro (altezza 40 cm).
5.3 Demétre H. Chiparus, anche conosciuto come Dumitru Chipăruş, nacque a Dorohoi, Romania, nel 1886. Durante il 1909 si trasferì in Italia, per apprendere la scultura sotto la guida di Raffaello Romanelli. Nel 1912 emigrò a Parigi, alla “Ecole des Beaux Arts” per perfezionarsi sotto Antonin Mercie e Jean Boucher. Morì a Parigi nel 1947.
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L’Alabastro di Busca tra Arte e Scienza
foto + foto
Figura 5.22 – Dettagli del basamento della scultura, in Alabastro di Busca, e della firma dello scultore D.H. Chiparus sulla parte superiore del basamento stesso.
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L’Alabastro di Busca nei Beni Culturali
Caffè Mulassano, Torino
Uno dei posti più noti ai turisti che visitano il centro di Torino, il Caffè Mulassano è sito dal 1907 in piazza Castello. Capolavoro dell’ ebanisteria e dell’Art Nouveau, con influenze dell’Art Decò, è anche una galleria di ottoni, bronzi, cuoi pregiati e vari particolari in pietre ornamentali di pregio, progettato dall’Ingegnere Antonio Vandone. In Alabastro di Busca sono i tavolini rotondi all’interno del locale, di cui possiamo ammirare un dettaglio nell’immagine seguente.
Figura 5.23 – Un tavolino in Alabastro di Busca del Caffè Mulassano, Piazza Castello, Torino.
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L’Alabastro di Busca tra Arte e Scienza Curiosità d’oltreoceano
Nella continua ricerca di esemplari di Alabastro sparsi per il mondo, ci siamo imbattuti in alcune curiosità che vale la pena di menzionare brevemente.
La chiesa di St Mary a Rochester, NY (USA)
Nella chiesa della cittadina di Rochester è stato eretto nel 1952 un altare laterale (in onore del Vescovo George F. Kettell che della Chiesa era stato pastore negli anni precedenti). Tale altare è citato nel trafiletto preso dal “The Catholic Courier Journal” del venerdì 5 ottobre del 1952, e nel testo si afferma che tale altare conteneva degli inserti in “Onice Piemonte”, uno dei tanti modi in cui è stato conosciuto l’Alabastro di Busca.
Figura 5.24 – Estratto dal quotidiano locale “The Catholic Courier Journal”. 78
L’Alabastro di Busca nei Beni Culturali
Bowmanville, Ontario, Canada
In un vecchio numero del “Canadian Statesman” pubblicato nel 1905 nella cittadina di Bowmanville, Ontario (che all’epoca aveva una popolazione di circa 2800 abitanti, e quindi il giornale locale riportava i più minuti avvenimenti), si racconta come durante un importante matrimonio (era quello della figlia dell’Editore del giornale) fra i regali più apprezzati ci fosse proprio un orologio da tavolo in “Onice Piemonte”.
Figura 5.25 – Estratto dal giornale locale “Canadian Statesman”.
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Formazione ed evoluzione dell’Alabastro di Busca
L’Alabastro di Busca si è formato in un ambiente complesso che purtroppo non esiste più, poiché i lavori in cava hanno irrimediabilmente alterato la morfologia del sito, rimuovendo il materiale costituito dalle concrezioni alabastrine. Una ricostruzione dell’ambiente originale, basata sulle evidenze tuttora osservabili e sull’analogia con ambienti geologici simili, è fondamentale per la comprensione delle dinamiche di formazione di tale materiale ornamentale.
Strutture tipiche degli ambienti carsici6.1 sono ancora osservabili nell’area (Fig. 6.1) e le analisi petrografiche di campioni ottenuti sia dal materiale estratto in passato sia dai campioni raccolti recentemente in cava confermano la sua natura di deposito di grotta. Questo significa che in passato, al di sotto dell’attuale superficie topografica, esisteva un sistema carsico (formato da grotte, pozzi, fessure e depositi) ormai quasi totalmente obliterato dall’attività di estrazione, fatta eccezione per una residua cavità (Grotta della Marmorera) che costituisce testimonianza di un antico sistema molto più esteso. Le concrezioni che formano i depositi, vale a dire gli speleotemi6.2, hanno caratteristiche che dipendono strettamente dalle condizioni ambientali esistenti al tempo della loro deposizione. Questo è il motivo per cui lo studio approfondito dell’Alabastro di Busca e del suo sito di estrazione
6.1 Il Carso è un altopiano al confine tra Italia e Slovenia, nelle Alpi Giulie, caratterizzato proprio dall’intensa formazione di grotte e di strutture superficiali legate ad esse e alla circolazione dell’acqua. Per questo motivo si definiscono “ambiente carsico” un ambiente caratterizzato dalla formazione di grotte e di strutture correlate, e “carsismo” l’insieme dei fenomeni che portano al loro sviluppo. Un eccellente esempio di ambiente carsico (in Provincia di Cuneo) è costituto dal settore del Monte delle Carsene e della Punta Marguareis.
6.2 I materiali che si depositano in grotta, come stalattiti, stalagmiti e crostoni calcarei sono definiti speleotemi.
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L’Alabastro di Busca tra Arte e Scienza
una migliore conoscenza delle condizioni ambientali locali al momento della sua formazione.
Figura 6.1 – Strutture carsiche tuttora riconoscibili nell’area delle cave a dispetto dell’azione antropica che ha modificato la maggior parte delle caratteristiche originali del sito. Sinistra: concrezione stalattitica “a velo”. Destra: porzione di colonna stalattitica distaccatasi e incastrata in una fessura al fondo del canyon C4.
Idealmente, uno studio adeguato dovrebbe spiegare nel modo più completo possibile come e quando il complesso di grotte si è originato e sviluppato, e quali fattori hanno influenzato questo processo. Nel nostro caso, sfortunatamente, un tale studio non è realizzabile a causa dello stato di conservazione dell’area. In questo capitolo vi presentiamo quindi un ipotetico, probabile scenario, aderente alla realtà così come suggerita dalle indicazioni in nostro possesso. I dati ottenuti sono sufficienti a disegnare una ragionevole evoluzione del sistema. Future ricerche potranno ulteriormente precisare quali fenomeni di trasformazione siano avvenuti nel settore.
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Formazione ed evoluzione dell’Alabastro di Busca
Speleogenesi
Lo studio della “speleogenesi” in una determinata area non comprende solo (come suggerito dall’etimologia) l’indagine dei meccanismi di formazione del sistema carsico ma anche della sua intera storia comprensiva degli inevitabili fenomeni di decadimento e riempimento (o obliterazione6.3).
La formazione di cavità sotterranee deriva da un complesso insieme di fattori e di processi fisici e chimici, che determinano l’evoluzione della morfologia carsica. La dinamica e la geometria del sistema di condotti e grotte che si formerà (reticolo carsico) dipende ad esempio dall’idrologia e dall’idrogeologia locale, dalle litologie presenti, dalle loro caratteristiche fisiche e meccaniche, dalla geochimica delle acque, dalla topografia, nonché dalla meteorologia locale (clima a breve e lungo periodo) e dalle caratteristiche della vegetazione presente in superficie.
La speleogenesi comporta quindi il verificarsi di processi complessi e un unico modello non è sufficiente a descrivere universalmente i diversi tipi di sistemi carsici che si possono ritrovare in natura. Noi ci atterremo a uno dei modelli più studiati e perciò meglio compresi, che si adatta in maniera piuttosto accurata alla nostra situazione: si tratta del modello dell’ origine per dissoluzione.
In questo modello il meccanismo di carsificazione deriva dalla dissoluzione della roccia ospite, da parte dell’acqua o meglio di sostanze disciolte nell’acqua. Le grotte così formate sono definite grotte da
6.3 Non bisogna dimenticare che una grotta è un ambiente, per definizione, temporaneo ed instabile, in disequilibrio con le rocce e le montagne che la circondano. Una cavità formata all’interno di un complesso roccioso è inevitabilmente destinata a sparire, ad esempio per fenomeni di crollo (la roccia, in corrispondenza della cavità, si indebolisce) e la forma della cavità si modifica nel tempo fino ad essere riempita da blocchi franati. Oppure può essere interamente colmata da sabbia, ghiaia e detriti provenienti dall’esterno e trasportati dall’acqua.
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L’Alabastro di Busca tra Arte e Scienza
dissoluzione6.4. Si originano quindi nel caso in cui acque superficiali e sub-superficiali circolino in quantità sufficiente a rimuovere mediante dissoluzione una quantità adeguata di roccia. Questo tipo di carsificazione è soprattutto dipendente dalle caratteristiche idrogeologiche e climatiche dell’area. Il processo principale, negli stadi iniziali, è costituito dall’allargamento delle porosità e delle microfratture presenti nella roccia ospitante. Queste piccole cavità ampliandosi formano un reticolo (sovente organizzato lungo linee di debolezza già presenti nella roccia) che a sua volta facilita ancor più la mobilità delle acque e lo spostamento di queste verso il basso, seguendo un gradiente idraulico.
Questo modello sembra adattarsi piuttosto bene, come vedremo, alla situazione di Busca. Alla fine di questo capitolo è presente un mini- glossario contenente la spiegazione di alcuni termini utilizzati nella descrizione di un sistema carsico.
Il grafico in figura 6.2 riassume la storia evolutiva di una tipica “grotta da dissoluzione”, dal raggiungimento di una prima soglia critica che favorisce la formazione di tutto il complesso fino al suo inevitabile decadimento.
6.4 Esistono grotte nei gessi, minerale piuttosto solubile, e anche nelle formazioni di salgemma (si tratta del comune sale da cucina, molto solubile).
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Formazione ed evoluzione dell’Alabastro di Busca
Figura. 6.2 – Nel grafico si osserva l’evoluzione temporale di un sistema carsico a partire da una fase iniziale, della durata di alcune migliaia di anni in cui le dimensioni delle microfratture originali aumentano fino a raggiungere la cosiddetta soglia critica, oltre la quale si trasformano in veri e propri condotti. Nella successiva fase di allargamento dei condotti si assiste a un notevole aumento del flusso idrico nel sistema che porta alla creazione di ambienti di dimensioni sempre maggiori (gallerie, pozzi). Questi ambienti nella fase di transizione possono svilupparsi a dimensioni tali da non essere più sostenibili e crollare per limiti strutturali, oppure raggiungere delle condizioni di temporanea stabilità. La fase successiva, in genere conseguente ad un mutamento climatico, viene definita stagnazione e può durare anche centinaia di migliaia di anni. In questa fase la dimensione dei condotti non aumenta ulteriormente; se questi sono caratterizzati da opportune condizioni (limitata circolazione idrica, adeguata ventilazione) sono definiti condotti attivi e al loro interno si possono formare degli speleotemi. Quando le condizioni adatte alla deposizione di concrezioni non sussistono, il condotto si dice inattivo. Inevitabilmente, ogni condotto e ogni sistema carsico, essendo in realtà un’anomalia strutturale all’interno della formazione rocciosa, subirà fenomeni di distruzione a causa di un collasso, di riempimento e/o di rimozione tramite erosione superficiale. Quest’ultima fase può durare anche milioni di anni.
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L’Alabastro di Busca tra Arte e Scienza
Stadi iniziali della formazione del sistema carsico in Busca
In questo e nei paragrafi successivi saranno esaminate nel dettaglio le fasi evolutive schematizzate nel grafico precedente.
Inizialmente, in un periodo climatico caratterizzato da forte piovosità, acque meteoriche (di pioggia o di scioglimento nivale) cominciano a infiltrarsi in punti di debolezza o in discontinuità all’interno di una formazione rocciosa di tipo carbonatico (calcari, marmi, dolomie etc., nel caso di Busca abbiamo a che fare con un marmo dolomitico). Fratture, piani di sedimentazione e discontinuità da deformazione meccanica sono fra le strutture che più controllano lo scorrimento e l’infiltrazione dell’acqua determinando la forma e la dimensione dei protopassaggi. L’esistenza nel settore di un sistema di faglie orientate approssimativamente NE-SO e l’orientazione coerente degli attuali canyon con queste faglie supportano l’ipotesi che le deformazioni strutturali preesistenti abbiano fortemente influenzato la struttura carsica iniziale.
Forme carsiche superficiali (come doline, imbuti e inghiottitoi) si sono quindi sviluppate in corrispondenza degli affioramenti superficiali o sub-superficiali del marmo dolomitico. Il passaggio delle acque meteoriche attraverso le doline è un processo che può coprire ampi intervalli temporali, a scala geologica, e dipende ovviamente dalla disponibilità di acque superficiali e dal clima locale. Le acque infiltranti sviluppano lentamente sottili canali nella roccia incassante, e nel momento in cui questi superano una certa dimensione critica (pochi mm in larghezza o diametro) si ha una improvvisa accelerazione dei fenomeni di dissoluzione ed erosione. Le cavità diventano abbastanza grandi da supportare un moto turbolento delle acque al loro interno, e conseguentemente il tasso di dissoluzione è incrementato dalla portata più elevata. Una maggiore velocità ha anche influenza sul chimismo locale delle acque e sulla velocità di dissoluzione dei carbonati nella roccia.
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Formazione ed evoluzione dell’Alabastro di Busca
Le acque raggiungono la zona freatica attraverso questi condotti, che quando arrivano ad avere dimensioni centimetriche si può propriamente parlare di “grotte da dissoluzione”6.5. L’attività carsica intensa, portava contemporaneamente alla formazione di condotte e canyon sotterranei e all’abbassamento per erosione della superficie topografica esterna (il piano campagna delle attuali colline non è quello che esisteva 300.000, 500.000 o un milione di anni fa, quando probabilmente le colline stesse erano più alte) (Figura 6.3).
Figura 6.3 – Stadi iniziali della formazione del sistema carsico di Busca. (a) si può osservare la paleosuperficie della collina (altimetricamente più in quota) e le probabili linee di debolezza nella massa del marmo dolomitico. (b) successivamente iniziano a svilupparsi delle strutture carsiche come doline e inghiottitoi in superficie, e al di sotto di essa passaggi, pozzi e cavità. Da notare l’abbassamento della superficie topografica a causa dei processi di erosione.
6.5 Ovviamente nessuno speleologo può passare attraverso condotti o fessure larghi pochi centimetri, ma ciò non vuol dire che condotti del genere non siano parte integrante di un sistema carsico. Negli ultimi i condotti più stretti sono esplorati con sistemi di telecamere montate su supporti flessibili, per verificare se oltre una “strettoia” la grotta si allarga abbastanza da permettere il passaggio di un essere umano, nel qual caso si procede con l’allargamento del passaggio con mezzi meccanici.
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L’Alabastro di Busca tra Arte e Scienza
Evoluzione a lungo termine del sistema carsico in Busca
In un clima temperato come quello che si ritrova alle nostre latitudini si ha un’alternanza climatica tra periodi con scarsa piovosità (minore infiltrazione e ricarica nel sistema carsico) e periodi più umidi (alta infiltrazione, alto apporto idrico). Questo può avvenire a scala temporale annuale (alternanza stagionale) e ripetersi, a meno di forti mutamenti climatici globali, per molte migliaia o decine di migliaia di anni.
L’imponente apporto idrico crea un reticolo di cavità estese a volte per decine di chilometri, e che occupano o possono occupare uno spessore di roccia di diverse centinaia di metri.
Quando avvengono modificazioni climatiche a lungo termine, la piovosità media può diminuire, e nelle grotte si infiltra solo una piccola parte dell’acqua che le percorreva un tempo. Quindi il sistema di cavità viene ora percorso soprattutto dall’aria. Infatti, le grotte sono connesse in diversi punti alla superficie, e l’aria accede facilmente al sistema (alcune grotte hanno al loro interno correnti d’aria molto forti a causa di un “effetto camino”). L’acqua che si infiltra in queste cavità ormai libere si trova a contatto con l’atmosfera e si degassa della quantità di CO2 in eccesso che aveva assorbito inizialmente nel suolo. Per questo motivo l’acqua comincia a depositare cristalli di carbonato di calcio, e a formare le concrezioni e che si possono ammirare in molte grotte turistiche (ad esempio stalattiti e stalagmiti).
I passaggi sotterranei cominciano quindi a riempirsi di concrezioni, che ne riducono via via il lume (Figura 6.4 a). Oltre a questo riempimento di tipo “chimico”, si può avere anche un riempimento di tipo fisico: nelle fasi precedenti le gallerie erano percorse da imponenti quantità d’acqua, che trascinava la maggior parte dei detriti al di fuori del sistema. Ma con un mutamento climatico (principalmente s’intende una quantità di precipitazioni diversa) si possono verificare dei fenomeni di tipo torrentizio e di trasporto di piena anche all’interno delle grotte:
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Formazione ed evoluzione dell’Alabastro di Busca
una precipitazione breve e intensa trasporta dall’esterno dei detriti (sabbia, ciottoli, blocchi) che si depositano nelle cavità colmandole gradualmente. L’insieme di concrezioni e di detriti accumulati può, alla fine, riempire completamente una grotta. Non bisogna inoltre dimenticare, come già menzionato in nota 3, che i fenomeni di crollo all’interno delle grotte possono contribuire al riempimento delle stesse.
La fase finale dell’intera vita di una grotta (che si sviluppa durante qualche milione di anni) è quindi caratterizzata dalla sua obliterazione. I depositi riempiono tutte le cavità, siano essi chimici, detritici o di crollo. All’interno della grotta si infiltra sempre meno acqua, fino a fossilizzarsi completamente, e nessun processo attivo avviene più al suo interno. Nel frattempo l’erosione in superficie può portare alla luce cavità che prima erano nascoste da spessori di alcune decine o centinaia di metri di roccia, e questo è quello che è probabilmente successo nel caso di Busca, dove la superficie topografica delle colline ha intersecato le grotte portando alla luce le concrezioni (l’alabastro-calcareo) che le riempivano, e che sono state successivamente cavate (Figura 6.4 b).
L’Alabastro di Busca ci può quindi raccontare molto sulle alternanze di periodi climatici più umidi o più aridi che si sono susseguiti sul territorio, proprio grazie alle sue caratteristiche. Ad esempio strati più ricchi in detriti significano un maggiore trasporto dovuto a flussi più intensi e turbolenti (probabile maggiore piovosità). Oppure strati caratterizzati cristalli di calcite particolarmente allungati e limpidi possono significare lunghi periodi di accrescimento in condizioni climatiche con piovosità scarsa ma diffusa durante tutto l’anno. Altri spunti a proposito della ricostruzione paleoambientale si troveranno nel capitolo 8.
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L’Alabastro di Busca tra Arte e Scienza
Figura 6.4 – Evoluzione del sistema carsico di Busca. (a) in una successiva fase di minore infiltrazione all’interno delle cavità si sviluppano speleotemi che tendono a riempire tutti gli spazi vuoti. (b) situazione attuale: il forte abbassamento per erosione della superficie della collina ha intersecato i condotti delle grotte con le concrezioni al suo interno. Questi “depositi” sono stati cavati originando gli attuali canyon.
La formazione degli speleotemi
Le rocce come i calcari e i marmi sono formate da carbonato di calcio (CaCO3), relativamente puro. Questo carbonato ha una caratteristica particolare: è leggermente solubile in acqua, soprattutto se questa contiene una piccola quantità di anidride carbonica (CO2). Tanta più CO2 è contenuta nell’acqua, tanto più questa è in grado di dissolvere le rocce carbonatiche. La reazione chimica corrispondente è:
CaCO3 + H2O + CO2 Ca(HCO3)2 (bicarbonato di calcio, solubile) 90
Formazione ed evoluzione dell’Alabastro di Busca
Nell’atmosfera esiste una piccola quantità di anidride carbonica (circa lo 0,04 %), che da sola non sarebbe sufficiente a dissolvere tutto il carbonato che effettivamente viene dilavato dall’azione delle acque. L’acqua meteorica prima di infiltrarsi nelle rocce attraversa in realtà uno strato di suolo, ricco di sostanze organiche e di vita (batteri, funghi, insetti e radici). Lo spessore del suolo può variare da pochi centimetri ad alcuni metri e può contenere CO2 in quantità fino a 100 volte maggiore rispetto alle normali condizioni atmosferiche. Quindi durante il processo di infiltrazione dell’acqua nel suolo, questa si “carica” di anidride carbonica aumentando la sua capacità di dissolvere il carbonato di calcio e di mantenerlo in soluzione sotto forma di bicarbonato.
Qualora si verifichino le opportune condizioni, la reazione inversa rispetto a quella descritta dall’equazione precedente porta alla formazione di stalattiti, stalagmiti e altri tipi di concrezioni. Gli speleotemi carbonatici in genere si originano a seguito della riprecipitazione del carbonato di calcio dissolto nell’acqua, depositandosi sotto forma di cristalli, in questo caso di calcite. Due sono i principali fenomeni che portano alla deposizione: primo, la solubilità dei gas nell’acqua aumenta quanto più l’acqua è fredda; secondo, la solubilità dei gas è proporzionale alla loro concentrazione nell’aria.
Per quanto riguarda il rapporto tra solubilità della CO2 e temperatura, un esempio calzante è quello di un bicchiere d’acqua lasciato di notte sul comodino: questo viene ritrovato al mattino con l’interno costellato di bolle. La spiegazione è che quando si preleva l’acqua dal rubinetto, questa contiene dei gas disciolti (essenzialmente aria) alla temperatura media di circa 15 gradi. Durante la notte la temperatura dell’acqua è aumentata, quindi i gas si sono parzialmente depositati, sotto forma di bolle, sulle pareti del bicchiere. Analogamente, la grotta è un ambiente
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L’Alabastro di Busca tra Arte e Scienza
più caldo che non l’esterno6.6, quindi l’acqua ricca di CO2 che arriva dall’esterno è più fredda, e scaldandosi (aumentando la propria temperatura anche solo di un paio di gradi) rilascia l’anidride carbonica contenuta al suo interno. Se è presente meno anidride carbonica nell’acqua, il bicarbonato solubile deve ri-trasformarsi in carbonato insolubile e depositarsi. La reazione è la stessa di prima, ma letta al contrario:
Ca(HCO3)2 CO2 (si libera nell’aria) + H2O + CaCO3 (si deposita)
Per quanto riguarda invece la solubilità dell’anidride carbonica in acqua bisogna considerare che si tratta di un fenomeno leggermente più complesso e che dipende dalla pressione. Un buon esempio in questo caso può essere una bottiglia di acqua gassata: essa contiene molta anidride carbonica sotto pressione (quando si svita il tappo, la pressione diminuisce e la CO2 comincia a fuoriuscire sotto forma di bolle. Se si lascia la bottiglia aperta, si “sgasa” del tutto). In analogia, l’acqua che si infiltra nelle grotte attraversa una zona dove la pressione della CO2 era maggiore ovvero il suolo. Quando l’acqua si ritrova nei vasti spazi vuoti delle gallerie, la pressione dell’anidride carbonica bruscamente diminuisce, e la CO2 fuoriesce dall’acqua che deposita particelle di carbonato di calcio.
Ogni goccia d’acqua deposita forse un millesimo di milligrammo di CaCO3, ma l’azione di milioni di gocce d’acqua, per una durata di migliaia di anni da origine a concrezioni, speleotemi e al nostro prezioso Alabastro.
6.6 Fenomeno che si manifesta soprattutto in inverno, considerando che la temperatura di una grotta è fondamentalmente costante durante tutto l’anno e corrisponde alla temperatura media annuale dell’aria al suo ingresso.
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Il progetto di caratterizzazione
L’obiettivo di questo capitolo è far conoscere una parte del lavoro di ricerca svolto in Università. Che cosa significa quindi caratterizzare un materiale? Vedremo in che modo si studia una roccia ornamentale come l’Alabastro di Busca, quali sono i passaggi necessari, quali sono le tecniche analitiche che si possono utilizzare, e quali informazioni derivano dai diversi tipi di indagine. Data la natura divulgativa di questo volume necessariamente semplificheremo alcuni concetti e salteremo alcune parti. Chi si occupa di queste cose ci perdonerà, speriamo, le omissioni. Chi non si occupa di investigazioni scientifiche ci perdonerà, speriamo, alcune inevitabili complicazioni.
Per poter effettuare uno studio completo dell’Alabastro di Busca è stato necessario affrontare un percorso multidisciplinare, prendendo a prestito alcune discipline dalle scienze Geologiche (come Mineralogia e Petrografia, Geologia, Geochimica e Scienze Ambientali), ma anche utilizzando gli strumenti messi a disposizione delle discipline umanistiche, come Storia (essenzialmente locale) e Storia dell’Arte (poiché il nostro materiale è stato utilizzato soprattutto per scopi di tipo ornamentale e artistico). Una disciplina scientifica che deriva dalla combinazione di quelle sopracitate è la Conservazione dei Beni Culturali, in cui si integrano diversi tipi di conoscenza per comprendere al meglio il materiale indagato allo scopo di valorizzarlo, ottimizzarne un eventuale intervento di restauro e di preservarlo nel tempo, e a conti fatti, è proprio questo l’obiettivo principale della nostra indagine.
Ovviamente, volendo anche approfondire tutto ciò che è possibile sulle origini stesse del materiale e del luogo da dove veniva estratto, diventa necessario affiancare a tutte le tecniche di laboratorio e di studio anche l’indagine sul campo, con rilievi, misurazioni, campionamento di esemplari e via discorrendo.
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L’Alabastro di Busca tra Arte e Scienza
Uno schema riassuntivo di quanto è stato necessario intraprendere in un progetto come questo è riportato a seguito, nella Fig. 7.1 e in quella immediatamente successiva mostra uno schema delle discipline legate al presente studio (Fig. 7.2).
Figura 7.1 – Schema riassuntivo delle azioni da intraprendere per lo studio della roccia
È fondamentale, nella caratterizzazione di una roccia ornamentale, acquisire anche informazioni storiche riguardanti i luoghi di estrazione, oltre che dati di tipo prettamente geologico. Grazie a questo tipo di informazioni è possibile stabilire se il materiale sia stato utilizzato o meno in un dato ambito geografico o in un dato periodo storico. Ad esempio, anche se non è totalmente escludibile a priori, è improbabile che l’Alabastro di Busca possa essere stato impiegato per la realizzazione di un altare del 1500 dato che le prime notizie relative all’estrazione risalgono a un periodo successivo.
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Il progetto di caratterizzazione
Figura 7.2 – Le principali discipline che entrano nello studio di una roccia come l’Alabastro di Busca.
Ci dedicheremo ora brevemente a descrivere le varie fasi del progetto, dalla preparazione dei campioni per le indagini, all’analisi dei campioni stessi, alla presentazione dei risultati che abbiamo ottenuto .
Preparazione del campione
In linea di massima, prima di esaminare un campione di roccia appena prelevato da un affioramento è necessario sottoporlo ad alcune operazioni di preparazione del campione, diverse a seconda delle tecniche che si vorranno utilizzare. Esistono molti protocolli di preparazione che devono venire opportunamente scelti valutando le caratteristiche del campione, del tipo di analisi da intraprendere e di quali informazioni si desidera ottenere. Alcune tecniche analitiche non comportano il danneggiamento del campione (tecniche non-
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L’Alabastro di Busca tra Arte e Scienza
distruttive), altre invece necessitano che l’esemplare venga totalmente distrutto, o perché bisogna ridurlo in polvere, o perché bisogna disgregarlo completamente con particolari sostanze chimiche (tecniche distruttive). In particolari casi si può prelevare o utilizzare una superficie minuscola o una porzione nascosta e minima del campione ed agire solo su di essa, facendo un danno molto piccolo e nascosto (tecniche micro-distruttive)7.1. A prescindere dall’esame del campione tal quale, i metodi più comuni per la preparazione sono:
Sezioni lucide:
Si preparano sottili blocchetti di roccia, grandi da pochi mm a qualche centimetro (tagliati lungo opportune direzioni), aventi almeno una superficie piana e lucidata. Questi permettono di ottenere una buona documentazione fotografica e indagini preliminari al microscopio ottico o con altre tecniche più sofisticate, come ad esempio la microscopia elettronica o la fluorescenza a raggi X;
Incorporazione in resina:
Questa preparazione è adatta per materiali poco coesi, che necessitano una matrice solida in cui venire fissati; ad esempio alcune porzioni dell’Alabastro di Busca tendono a sbriciolarsi: in questo caso si immerge il campione in una resina indurente. I blocchetti così ricavati vengono tagliati e la superficie di taglio viene lucidata. I campioni così ottenuti hanno utilizzi analoghi a quelli delle sezioni lucide.
7.1 Nel nostro caso, esaminando un pezzo di roccia prelevato in cava e avente scarso valore, si può anche decidere di danneggiarlo o distruggerlo. Se si considera invece un oggetto d’arte, qualsiasi prelievo costituisce un danno irreparabile. Questo è il motivo per cui sono state inventate (e usate soprattutto nel campo dei Beni Culturali) delle tecniche di analisi che limitando il contatto con il campione non apportano alcun tipo di danno. Purtroppo non sempre queste tecniche sono sufficienti a ottenere tutte le informazioni necessarie alla ricerca intrapresa. Quando si sviluppa un protocollo analitico per la caratterizzazione di un bene culturale o di un pezzo d’arte è buona norma privilegiarne l’utilizzo. Fortunatamente, negli ultimi anni, le strumentazioni necessarie a questo tipo di analisi hanno subito dei notevoli miglioramenti, rendendo, in molti casi superflua l’esigenza di prelevare campioni.
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Il progetto di caratterizzazione
Figura 7.3 – Un campione di Alabastro inglobato in resina e successivamente tagliato per metterne in evidenza le superfici (già lucidate in questa immagine).
Dissolvimento del campione:
Tipica del laboratorio chimico, si tratta di una preparazione specifica necessaria per tutte quelle tecniche analitiche in cui sia utile avere il campione in forma liquida (la dissoluzione può anche essere selettiva). Si usano in genere acidi forti come cloridrico e nitrico concentrati, ma anche sistemi più complicati come fusioni con sostanze opportune ad alta temperatura.
Campione in polvere:
Per alcune tecniche, come la diffrattometria a raggi X, è necessario avere una polvere proveniente dal campione. In questo caso il materiale viene macinato, generalmente in un mortaio d’agata che rilascia pochi contaminanti.
Sezioni sottili:
Si tratta di una preparazione specifica per analisi mineralogiche e petrografiche. Un frammento di minerale o di roccia, incollato su un vetrino, viene assottigliato per abrasione fino a diventare spesso 30
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micron7.2. La maggior parte dei minerali, una volta raggiunto il giusto spessore, diventa trasparente e l’osservazione al microscopio ottico in luce trasmessa permette di ricavare una quantità notevole di informazioni. La sequenza di preparazione di una sezione sottile è rappresentata alla figura seguente (Fig. 7.4).
Figura 7.4 – Fasi di preparazione di una sezione sottile. 7.2 30 μm=0,03mm
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Le tecniche di laboratorio
Per l’analisi dei campioni così preparati si possono usare diverse tecniche. Alcune hanno l’obiettivo di fornire una panoramica delle caratteristiche della roccia (la struttura, le deformazioni, i componenti principali, le fasi minerali, le alterazioni e via dicendo), altre permettono di ottenere analisi chimiche di insieme, alcune permettono indagini chimiche più dettagliate relative a singoli componenti, altre ancora identificano le fasi che costituiscono una determinata sostanza, infine alcune possono addirittura, misurando delle proprietà che si definiscono “isotopiche” arrivare a determinare – dopo una complessa fase di elaborazione dei dati– la temperatura a cui si è formato il campione in esame (analisi isotopiche). Esaminiamo brevemente alcune delle tecniche analitiche utilizzate nell’ambito del progetto di caratterizzazione.
Microscopia ottica
Il microscopio da petrografia si usa generalmente su sezioni sottili. Può essere dotato di diversi dispositivi come ad esempio due dispositivi detti polarizzatore e analizzatore, di una lente aggiuntiva per osservazione in luce fortemente convergente e di accessori vari per la determinazione del segno ottico o degli angoli di estinzione (queste sono caratteristiche particolari utili per l’identificazione dei diversi minerali). Può arrivare fino a mille ingrandimenti, e richiede un certo addestramento per essere utilizzato, ma permette l’identificazione della maggior parte dei minerali più comuni. Sovente è accoppiato a una fotocamera digitale per l’acquisizione delle immagini.
È molto utile anche per l’individuazione delle aree di campione da sottoporre a ulteriori analisi, nonché per analizzare la struttura della roccia e la presenza di deformazioni, inclusioni o impurezze. Nella pagina seguente vi mostriamo alcune immagini acquisite, a diversi ingrandimenti, con il microscopio da petrografia che mostrano degli
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esempi di quali informazioni si possono ottenere da questo tipo di osservazione (Figg. 7.5; 7.6; 7.7).
Figura 7.5 – In questa serie di immagini si osserva l’effetto di ingrandimenti crescenti sulla stessa sezione sottile ricavata da un campione di Alabastro di Busca. Nella prima immagine si osserva una banda ricca di detriti che corrisponde alle bande bruno rossastre visibili a occhio nudo. Il campo inquadrato è di circa 8 mm. L’immagine centrale mostra come aumentando l’ingrandimento si cominciano a distinguere diverse componenti nella banda detritica, in questa immagine il campo inquadrato è di circa 2 mm. Nell’immagine a destra, a ingrandimento ancora maggiore, si possono distinguere i singoli frammenti dei diversi minerali che sono inglobati nella roccia (campo inquadrato 0,8 mm circa).
Figura 7.6 – In queste immagini si osserva la stessa area di una sezione sottile ricavata dal marmo dolomitico in cui si trova racchiuso l’Alabastro di Busca. L’immagine a sinistra è acquisita in luce naturale. Per acquisire la seconda immagine sono state inseriti dei particolari dispositivi chiamati polarizzatori, che determinano l’apparire di colori che possono aiutare nell’identificazione delle natura e dell’orientazione delle fasi minerali presenti nella roccia.
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Figura 7.7 – Analogamente all’immagine precedente, sono messe a confronto le due modalità principali di osservazione tramite microscopio ottico da petrografia (definite rispettivamente a polarizzatori paralleli e a polarizzatori incrociati). In queste immagini si osserva una banda di calcite pura (chiara) tra due livelli detritici nell’Alabastro di Busca. I polarizzatori incrociati permettono distinguere i differenti cristalli di calcite, che assumono tonalità più o meno scure di grigio a seconda della loro orientazione.
Microscopia Elettronica – Microsonda a raggi X
Il microscopio elettronico7.3 (normalmente abbreviato in SEM, Scanning Electron Microscope7.4) è uno strumento sofisticato, che anziché utilizzare la luce visibile (come nel microscopio ottico tradizionale) usa un fascio di elettroni per visualizzare un oggetto molto piccolo. La luce visibile ha una lunghezza d’onda compresa nell’intervallo 380-720 nm (un nanometro [nm] equivale a un miliardesimo di metro, per cui la luce ha una lunghezza d’onda di poco meno di un micron) e quindi permette di osservare con una certa definizione oggetti non più piccoli, per l’appunto, di un micron. Gli elettroni possiedono una lunghezza d’onda associata minore, circa un
7.3 Parlare di microscopio elettronico è come parlare di automobili. Si va dall’utilitaria fino alle fuoriserie costruite su misura in pochi esemplari. Anche in questo caso, maggiore il costo migliori le prestazioni e crescente la difficoltà d’uso, nonché la specializzazione nell’utilizzo.
7.4 Scanning Electron Microscope significa letteralmente microscopio elettronico a scansione, perché il suo funzionamento si basa sulla presenza di un fascio di elettroni che percorrendo il campione, ne scansiona la superficie.
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millesimo, della luce visibile. Quindi questi strumenti permettono di vedere oggetti molto più piccoli.
La microscopia elettronica a scansione viene utilizzata per applicazioni geologiche principalmente con campioni solidi, comunemente su sezioni sottili o sezioni lucide, anche se alcuni campioni con caratteristiche particolari possono venir utilizzati tal quali (cioè senza essere sottoposti a preparazione). Fornisce informazioni di diverso tipo, essenzialmente morfologiche e, se accoppiato ad una microsonda (vedi oltre) anche analisi chimiche. In figura 7.8 è visibile la strumentazione SEM-EDS del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Torino, con cui sono state effettuate molte delle analisi riguardanti lo studio dell’Alabastro di Busca.
Figura 7.8 – Il Microscopio elettronico del Dipartimento di Scienze della Terra.
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Figura 7.9 – In questa sequenza di immagini è mostrata la stessa porzione di Alabastro di Busca, in sezione sottile, osservata dapprima al microscopio ottico e poi al microscopio elettronico con ingrandimento sempre crescente.
La Microsonda elettronica a dispersione di energia (EDS)7.5, è utile per le analisi chimiche; questa microsonda sfrutta il fenomeno dell’emissione di radiazioni X7.6 da parte degli atomi colpiti da un fascio di elettroni. Questi hanno una determinata energia e frequenza caratteristica dell’ atomo che li emette. Un rivelatore all’interno del dispositivo EDS cattura queste radiazioni X, ne misura l’energia (da cui il nome), le identifica come provenienti da un determinato atomo (di ferro piuttosto che di calcio o di silicio) e con opportune calibrazioni calcola la quantità degli elementi presenti nell’area analizzata, il tutto nel giro di poche decine di secondi.
7.5 Energy Dispersion Spectrometry, Spettrometria a dispersione di energia
7.6 Si tratta dei comunemente detti raggi X, cioè radiazioni elettromagnetiche aventi lunghezza d’onda molto più piccola di quella della luce visibile
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Nell’analisi effettuata tramite la microsonda EDS, un software elabora il segnale acquisito dal rilevatore, il cui risultato finale viene visualizzato sotto forma di spettro. Si tratta di un grafico che riporta sull’asse x (ascisse) l’energia delle radiazioni X emesse dagli atomi (misurate in keV, kiloelettronvolt) e sull’asse y (ordinate) l’intensità del segnale, che corrisponde approssimativamente alla quantità di quel dato elemento (Fig. 7.10).
Figura 7.10 – Un tipico spettro risultante da un’ analisi EDS; si tratta in questo caso di un minerale contenente, oltre all’ossigeno (O), soprattutto silicio (Si), alluminio (Al), potassio (K) e magnesio (Mg). Dalle loro quantità è possibile identificare il minerale come una muscovite ricca di magnesio (minerale una volta conosciuto con il nome di fengite), presente sia nel marmo dolomitico che costituisce la roccia incassante che nei livelli detritici dell’Alabastro.
In certi casi l’EDS non fornisce tutte le informazioni necessarie. Se infatti si esamina lo spettro in Fig. 7.11 si vedrà che il minerale analizzato è composto di carbonio (C), ossigeno (O) e calcio (Ca). Questa composizione è tipica del carbonato di calcio (CaCO3), ma con la sola informazione fornita da questo spettro non è possibile indentificare la fase minerale analizzata, poiché sia la calcite che l’aragonite hanno la stessa composizione chimica ed è plausibile ritrovare entrambi i minerali in una concrezione di grotta. In casi come questo è necessario usare altre tecniche analitiche in grado di fornire informazioni complementari, come ad esempio le spettroscopie molecolari (spettroscopia infrarossa o la spettroscopia Raman).
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Figura 7.11 – Lo spettro EDS del carbonato di calcio. In questo caso, potrebbe trattarsi sia di calcite sia di aragonite, entrambi i minerali sono presenti nelle grotte e hanno composizione chimica identica ma struttura cristallina diversa7.7.
Spettroscopia Raman
La spettroscopia Raman prende il nome dal suo scopritore, il fisico indiano Chandrasekhara Venkata Raman, premio Nobel per la fisica nel 1930. Questa tecnica si basa sull’osservazione dello spostamento della frequenza della luce diffusa da una determinata sostanza7.8. Dei particolari dispositivi ottici misurano questa radiazione eliminando la radiazione primaria originale, e valutano lo spostamento rispetto a questa. Lo scostamento è legato alla presenza di particolari legami chimici tra gli atomi di una determinata sostanza, e quindi si possono identificare particolari gruppi atomici piuttosto che la composizione chimica elementare come con la microsonda EDS. Anche in questo caso
7.7 Minerali e sostanze in genere aventi identica composizione chimica ma diversa struttura cristallina vengono dette polimorfe. Uno dei casi più conosciuti di polimorfismo è quello della grafite e del diamante, entrambi composti da carbonio puro, ma i cui atomi sono disposti in maniera differente (e di conseguenza presentano caratteristiche chimiche e fisiche totalmente diverse).
7.8 La quantità di radiazione diffusa che ha subito uno spostamento di frequenza è molto piccola (si parla di una parte su centomila) rispetto a quella incidente, e quindi è necessario che la sorgente di luce sia molto intensa, in genere un laser, che può avere lunghezze d’onda varie, ad esempio nel rosso, nel verde o nell’infrarosso.
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si ottengono degli spettri che hanno in ascissa la lunghezza d’onda corrispondente allo scostamento dovuto all’effetto Raman, e in ordinata la sua intensità. Tabelle di lunghezze d’onda tipiche di alcuni gruppi, e database computerizzati, permettono di identificare le sostanze analizzate confrontandole con spettri già esistenti. In Fig. 7.12 si possono osservare, messi a confronto, gli spettri Raman della calcite e dell’aragonite. Si notano le differenti posizioni dei picchi che permettono di distinguere agevolmente i due minerali dalla medesima composizione chimica.
Figura 7.12 – Negli spettri Raman della calcite e dell’aragonite la differente posizione dei picchi indicati dalle frecce permette di distinguere in modo relativamente facile i due polimorfi.
Nel caso dello studio di uno speleotema, distinguere tra calcite e aragonite è molto importante, in quanto la presenza di una fase piuttosto che dell’altra implica diverse condizioni deposizionali e
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influisce sulla possibilità di poter effettuare o meno analisi relative alla ricostruzione paleoambientale (di cui al capitolo 8).
Spettroscopia infrarossa
La spettroscopia infrarossa (IR, dall’inglese InfraRed), consiste nell’esaminare il campione mediante radiazioni infrarosse7.9 e nell’individuare quali lunghezze d’onda vengono assorbite. Gli assorbimenti corrispondono a gruppi molecolari piuttosto distinti, esistono quindi tabelle e database che associano particolari assorbimenti alla presenza di anioni o gruppi funzionali. Nella figura sottostante è visibile uno spettro infrarosso tipico, che riporta i picchi di assorbimento in funzione delle lunghezze d’onda. Uno dei vantaggi della spettroscopia infrarossa è quello di permettere l’identificazione di sostanze organiche (la tecnica è usata soprattutto per queste) e di distinguere la presenza di gruppi molecolari inusuali, altrimenti difficili da individuare con altre tecniche. Nella figura successiva (Fig. 7.13) si
può osservare lo spettro infrarosso della calcite.
Figura 7.13 – Spettro infrarosso della calcite.
7.9 Le radiazioni infrarosse si estendono dal limite del visibile, corrispondente al rosso più cupo (circa 750 nm) fino alle onde radio. Nel campo delle applicazioni geologiche per la spettroscopia infrarossa si usa generalmente quello che viene definito il “vicino infrarosso”, con lunghezze d’onda comprese tra 800 e 4000 nm.
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L’Alabastro di Busca tra Arte e Scienza Spettroscopie elementari
Questa categoria di tecniche permette di ottenere la composizione chimica di una sostanza, e soprattutto permettono di identificare elementi presenti in piccolissima quantità (detti tracce) che possono fornire informazioni essenziali riguardo all’ambiente di formazione dei minerali o ad altre loro caratteristiche. Ne esistono molte, e fra quelle usate nello studio dell’Alabastro di Busca citiamo la Spettroscopia ottica al Plasma (ICP-OES) e la microfluorescenza a raggi X (-XRF).
La Spettroscopia ottica di emissione al Plasma (ICP-OES) è una tecnica distruttiva, per analizzare il campione bisogna infatti che questo sia liquido, cioè dissolto in soluzione acquosa (questo si ottiene mediante l’uso di acidi). Essa permette di esaminare la presenza di elementi in quantità veramente molto piccole, anche inferiori al mg per kg di peso (ppm, parti per milione). L’analisi risultante è mediata sulla quantità di campione (da alcuni grammi ad alcune decine di milligrammi) che sono stati dissolti per ottenere il dato analitico.
Anche la microfluorescenza a raggi X (-XRF) permette di ottenere l’analisi degli elementi in traccia (per quanto con un limite di rivelabilità più alto, si parla di poche decine di ppm). Il vantaggio però della microfluorescenza è che l’analisi non è distruttiva, può essere addirittura effettuata direttamente su opere d’arte e può essere puntuale. Questo inoltre permette di ottenere delle mappe di concentrazione di determinati elementi all’interno del campione. Si effettua in genere su un provino lucidato, anche se si può analizzare un campione non preparato. Un esempio di mappatura degli elementi utilizzando la microfluorescenza è riportata a seguito, nella Fig. 7.14.
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Figura 7.14 – Nella figura si osservano le mappe in falsi colori relative a singoli elementi. In questo caso troviamo rispettivamente le mappe di Alluminio (Al), Silicio (Si) e Ferro(Fe) che sono state sovrapposte all’immagine della sezione di Alabastro di Busca sottoposta ad analisi.
La caratterizzazione
In questo paragrafo e nei seguenti vorremmo fornire le informazioni conclusive di parte del nostro studio. Vi proponiamo un riassunto di quanto scoperto usando le tecniche elencate prima (anche qualche altra) che aiuti a comprendere meglio cos’è l’Alabastro di Busca e quali sono le sue caratteristiche principali
Marmo dolomitico (roccia incassante)
Figura 7.15 – Campione di marmo dolomitico prelevato in cava.
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L’Alabastro di Busca tra Arte e Scienza
Anche lo studio della roccia incassante, quella cioè in cui si è sviluppato il sistema di grotte che, riempito dalle concrezioni ha poi originato il nostro Alabastro, ha una sua importanza. Infatti alcune sue caratteristiche (come ad esempio la composizione mineralogica) hanno influenzato sia la morfologia del sistema di grotte che la crescita dell’Alabastro. Si tratta di un marmo dolomitico a grana fine di colore bianco-grigiastro (Fig. 7.15). Ha composizione omogenea, fatta eccezione per la presenza di alcuni settori caratterizzati da cristalli sub- millimetrici di muscovite e da individui micrometrici di ematite (Fig. 7.16).
MUS HEM
Figura 7.16 – A sinistra: marmo dolomitico (campo inquadrato 1,5 cm). A destra: l’area evidenziata dal riquadro, ingrandita al microscopio elettronico, mostra la presenza di impurezze di minerali come la muscovite (MUS – un alluminosilicato, cristalli di forma allungata grigio scuro) e l’ematite (HEM – un ossido di ferro, cristalli bianchi). Immagine acquisita in elettroni retrodiffusi.
Al contatto fra il marmo dolomitico e la concrezione esiste quasi sempre un sottile strato che costituisce l’interfaccia (Fig. 7.17). Questa è caratterizzata dalla presenza di uno strato di spessore variabile di minerali argillosi, tipici di molti ambienti carsici. La sua presenza è dovuta alla stessa acqua che scavava il marmo per ricavarne i vuoti, che man mano depositava anche detriti e argille sulle superfici su cui scorreva, determinando appunto l’accumulo di tali materiali.
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Figura 7.17 – Una porzione lucidata dell’interfaccia marmo (sinistra) – alabastro (destra). Si nota bene l’accumulo di minerali argillosi rossastri con andamento sottolineato dalla linea tratteggiata. A partire da una certa distanza dall’interfaccia, in corrispondenza della freccia, si possono osservare i cristalli allungati di calcite che crescono “a raggiera” formando i tipici strati a bande alternate (campo inquadrato 2 cm circa).
Alabastro calcareo
Veniamo ora a parlare del protagonista di questo libro: l’Alabastro di Busca. Le caratteristiche macroscopiche, visibili cioè a occhio nudo, che lo contraddistinguono sono l’ eterogeneità e l’aspetto “bandato”. Questa roccia è costituita da concrezioni dalla struttura tipica degli speleotemi, ed è composto essenzialmente da calcite, con alternanza di strati chiari e bruno-rossastri il cui spessore varia da pochi millimetri ad alcuni centimetri. La roccia è definita come eterogenea proprio perché si tratta di un agglomerato composto da diverse strutture aggregate. Si possono riconoscere ad esempio, in una lastra di alabastro tagliato, le forme delle stalattiti o delle stalagmiti e delle flowstone7.10. Il suo aspetto è fortemente influenzato dalla direzione di taglio, perché una stalattite
7.10Con il termine flowstone si intende un tipo di concrezione sub-orizzontale o sub- verticale costituite da strati pressoché paralleli ad andamento non concentrico (a differenza di stalattiti e stalagmiti).
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tagliata, ad esempio, perpendicolarmente alla sua direzione di allungamento mostrerà una serie di anelli concentrici di accrescimento, mentre qualora venisse tagliata lungo la direzione di allungamento mostrerà delle strutture di crescita (Fig. 7. 18); esattamente come la venatura del legno che assume aspetti diversi a seconda di come vengono tagliate le tavole che provengono dal tronco.
L’aspetto “bandato” è dovuto al fatto che i livelli concrezionali sono accresciuti lentamente nel tempo, formandosi in periodi molto diversi per piovosità, clima e quant’altro. Le caratteristiche e la composizione delle singole bande sono influenzate dalle condizioni climatiche e ambientali presenti al momento della deposizione degli strati.
Figura 7.18 – Immagini di lastre lucidate di Alabastro di Busca provenienti da settori diversi della cava e tagliati secondo varie direzioni.
Esaminando a elevato ingrandimento la struttura delle bande, soprattutto quelle chiare composte quasi esclusivamente da calcite, si possono fare delle osservazioni interessanti: la morfologia e le
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dimensioni dei cristalli di calcite all’interno di questi livelli sono piuttosto variabili. Ad esempio esistono dei livelli contenenti cristalli di calcite fittamente affiancati, lunghi anche diversi centimetri, mentre in altri livelli i cristalli non arrivano al millimetro e sono ricchi in accumuli detritici. Possiamo quindi ipotizzare che i primi si siano formati durante periodi molto lunghi, caratterizzati da un apporto di acqua lento e costante (probabilmente anche per migliaia di anni), mentre i secondi si siano formati in periodi più brevi e caratterizzati da flussi turbolenti e grandi apporti detritici, potrebbe quindi trattarsi di intervalli temporali caratterizzati da elevata piovosità (Fig. 7.19).
Figura 7.19 – Si osservano a sinistra cristalli millimetrici di calcite allungati e cresciuti parallelamente l’uno all’altro (la morfologia di uno dei cristalli è evidenziata dalla linea tratteggiata), a destra cristalli più corti e fittamente interconnessi, separati da strati di materiale detritico bruno rossastro (immagini acquisite al microscopio ottico a polarizzatori incrociati).
Quindi, bande subparallele di calcite si alternano a bande più scure del tipico colore rosso – bruno; la cui colorazione è dovuta (in parte) dalla presenza di strati di minerali detritici, tra cui ossidi di ferro e minerali argillosi.
In Fig 7.20 si può osservare come la struttura a bande si ripeta a diverse scale di ingrandimento: all’interno delle grandi fasce colorate ci sono dei sottolivelli, ulteriormente divisi in settori, a loro volta con una microzonazione.
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L’Alabastro di Busca tra Arte e Scienza
Figura 7.20 – Dalla struttura a grandi bande centimetriche dell’alabastro (sinistra) si passa a osservare come all’interno della singola banda ci siano zonature più sottili (centro), e come anche a scala micrometrica si osservi poi la deposizione di livelli di materiale organico e detritico sulle facce dei cristalli di calcite, sottolineandone le terminazioni indicate dalle frecce (destra).
Gli strati di materiale detritico a grana fine derivano dall’erosione delle diverse litologie presenti nelle aree limitrofe (strati bruno-rossastri). Questi frammenti furono trasportati nelle grotte dall’acqua a seguito di fenomeni come alluvioni o piogge abbondanti. Quindi settori di Alabastro ricchi in detriti possono corrispondere a eventi climatici caratterizzati da piogge intense e forte dilavamento, erosione e trasporto. Inoltre è possibile analizzare (al microscopio elettronico e con altre tecniche) la composizione mineralogica dei minuscoli frammenti inglobati nell’Alabastro stesso mentre questo si accresceva all’interno delle grotte. I risultati sono interessanti poiché ci possono informare ad esempio sulla presenza nel settore di rocce ora non più esistenti, perché eliminate dall’erosione o rimosse da altri eventi. La figura 7.21 mostra come in uno strato detritico, osservato a sempre maggiore ingrandimento, siano presenti i piccoli frammenti di diversi minerali.
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Figura 7.21 – Osservando a sempre maggiore ingrandimento un livello detritico, si arriva a identificare i singoli frammenti di minerale (in genere delle dimensioni di qualche micron) e a osservarne caratteristiche peculiari come la morfologia dei frammenti e la loro distribuzione.
I più comuni minerali identificati, caratterizzanti questi livelli, sono elencati nella tabella 7.1.
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Specie minerali Formula
Muscovite KAl2(SiAl)3O10(OH,F)2
Ematite Fe2O3
Quarzo SiO2
Rutilo TiO2
Fluorapatite Ca5(P5O4)3F
Paragonite NaAl2(Si3Al)O10(OH)2
Zircone ZrSiO4
Kaolinite Al2Si2O5(OH)4
Monazite-(Ce) CePO4
Tabella 7.1 – Elenco dei minerali maggiormente presenti nei livelli detritici identificati tramite SEM-EDS e spettroscopia Raman
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L’Alabastro di Busca tra Arte e Scienza
Inoltre sono stati identificati anche altri ossidi e idrossidi di ferro e ossidi e idrossidi di manganese. Questi minerali si trovano abbondanti nelle rocce che circondano la zona in cui si trovano le cave.
Un problema che è stato affrontato con una certa curiosità è quello della presenza di bande scure che però non contenevano in quantità apprezzabile ossidi o minerali di ferro e manganese ne tantomeno argille, che sono normalmente i principali responsabili della colorazione (Fig. 7.22).
Questo fenomeno ci ha portato a indagare l’alabastro con una tecnica particolare, la fluorescenza in luce ultravioletta.
Figura 7.22 – Le frecce nere su questo campione sottoposto ad analisi in fluorescenza di raggi X evidenziano le bande dove non ci sono elementi in traccia come ferro e manganese, e che quindi hanno una causa diversa per la colorazione. Si nota come in corrispondenza di alcune bande scure sia alta la concentrazione di minerali silicatici contenenti alluminio e ferro (argille, ossidi di ferro, fillosilicati e miche). Queste zonature presentano quindi un chiaro carattere detritico, in quanto contengono frammenti di rocce diverse dal carbonato di calcio che costituisce la parte preponderante dell’Alabastro. Tali frammenti sono stati trasportati e depositati all’interno della roccia dall’azione dilavante e di trasporto delle acque. In altre bande non si ha la presenza di minerali contenenti ferro, nonostante la colorazione intensa (vedi frecce rosse), e questo ha portato a delle ricerche interessanti di cui si parlerà più avanti.
La fluorescenza è un caso particolare di luminescenza di cui molti hanno avuto esperienza quando in una discoteca si accendono le luci dette “nere” o viola”, e alcuni oggetti si illuminano e sembrano brillare
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di luce propria (tipicamente camicie bianche, unghie, denti e plastiche colorate).
Questo fenomeno avviene per “eccitazione”, cioè un corpo può assorbire una radiazione elettromagnetica fortemente energetica (come i raggi ultravioletti, da ora in poi detti UV) e a sua volta riemettere luce avente energia minore, cioè luce di diversa lunghezza d’onda ed in genere, a differenza degli UV, visibile a occhio nudo.
Sono stati effettuati degli esperimenti di luminescenza su lastre di Alabastro di Busca con radiazioni ultraviolette, non solo su campioni di modeste dimensioni in laboratorio, ma grazie alla cortesia della Ditta Cristellotti e Maffeis, che aveva in restauro il Duomo di Mondovì (vedi capitolo 5) decorato ampiamente con l’Alabastro, abbiamo potuto illuminare con luce UV sul posto lastre decorative di discrete dimensioni.
Il risultato è stato notevole, e in fig. 7.23 si possono osservare diverse porzioni di lastre nelle due versioni, in luce naturale e in luce ultravioletta. In UV si possono apprezzare delle zone fortemente luminescenti in blu e in giallo. Le zone fluorescenti in giallo sono ricche di sostanza organica, dispersa nella calcite, che è anche l’origine della colorazione brunastra in assenza di ferro o argille. La fluorescenza bluastra è invece tipica dei carbonati (calcite) e i livelli detritici non emettono alcuna fluorescenza.
Nella pagina seguente:
Figura 7.23 – Lastre di Alabastro di Busca (altezza circa un metro) riprese in luce normale (in alto) e in luce ultravioletta (in basso). Si nota come in alcune zone la fluorescenza giallastra, derivante dalla materia organica dissolta nella calcite, sia particolarmente intensa. La fluorescenza bianco-azzurrastra è invece tipica della calcite pura, mentre i livelli detritici o ricchi in ossido di ferro non presentano alcuna fluorescenza.
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L’Alabastro di Busca tra Arte e Scienza
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Il progetto di caratterizzazione
Avendo quindi utilizzato le radiazioni UV per identificare i livelli che presentavano un fenomeno di luminescenza gialla più accentuato, da questi stati prelevati dei campioni da sottoporre a ulteriori analisi. Come accennato in un paragrafo precedente, la tecnica più adatta per accertare la presenza di sostanze organiche è la spettroscopia IR. Lo scopo di questo particolare tipo di analisi è quello di ottenere una conferma all’ipotesi riguardante l’esistenza di sostanze organiche in alcuni strati bruno arancio dell’Alabastro. Dopo una preparazione del campione piuttosto lunga e complessa, atta all’estrazione di queste sostanze dalla matrice carbonatica, abbiamo sottoposto i campioni all’analisi. I risultati mostrano che sono presenti principalmente due tipi di acidi organici: l’acido umico e l’acido fulvico. Queste sostanze, con formula chimica variabile e complessa, derivano dalla decomposizione della materia vegetale presente nel suolo. L’acqua meteorica, infiltrandosi nel suolo, oltre a disciogliere CO2 (come visto in precedenza), ha dissolto anche queste sostanze che sono state poi trasferite all’interno della grotta e depositate contestualmente ai cristalli di calcite. Queste due classi di composti sono quindi responsabili della colorazione brunastra che caratterizza alcune bande dell’Alabastro.
Da un’approfondita analisi del rapporto delle quantità di questo genere di sostanze, è possibile conoscere quale fosse il tipo di vegetazione all’epoca della formazione dell’Alabastro (per approfondimenti vedi capitolo 8)
In conclusione, l’Alabastro di Busca è uno tra i pochi materiali lapidei italiani, tra quelli appartenenti alle rocce ornamentali, che faccia parte della categoria degli speleotemi, cioè rocce che si sono formate allo stato di concrezioni carbonatiche all’interno di un reticolo carsico7.11. È formato essenzialmente da calcite, a volte pura, a volte ricca di livelli
7.11 In Italia, tra i pochi giacimenti che hanno riscosso un discreto successo come pietre ornamentali citiamo quelli di Alabastro di Belmonte Mezzagno (Palermo, Sicilia), quelli di Iano di Montaione (Firenze, Toscana) e quelli della “Stalattite del Carso” di Fornace di Aurisina (Trieste, Friuli-Venezia Giulia).
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detritici o di sostanza organica, l’alternanza di calcite pressoché pura (bianca), di livelli detritici ricchi in argilla e ossidi di ferro (tonalità del rossastro e dell’ocra), e di materia organica (dal bruno al giallastro) conferisce al nostro materiale quell’aspetto “lionato” che era stato notato e apprezzato da importanti architetti del passato e che ne aveva decretato il successo.
Gli alabastri calcarei non solo sono molto belli e ricercati come materiali da ornamento e abbellimento, ma possono anche fornire, proprio per il meccanismo con cui si sono formati, importantissime e dettagliate informazioni paleoambientali, questo sarà infatti oggetto del prossimo capitolo.
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L’Alabastro e le indagini paleoambientali
L’Alabastro di Busca è importante non solo come roccia ornamentale, ma anche perché, a causa del suo particolare meccanismo di formazione, costituisce un vero e proprio record delle condizioni climatiche che si sono succedute sul territorio dal momento della sua deposizione. È possibile quindi ottenere dati ambientali sulla piovosità, sulla temperatura media locale e sul tipo di vegetazione che copriva le colline al momento in cui il materiale si è depositato. Ma qual è stato il “momento della sua deposizione”? Come si fa a capire qual era la temperatura proprio in quel breve periodo?
Per poter spiegare meglio quale tipo di analisi fornisce informazioni al riguardo, è necessario introdurre un altro modico quantitativo di scienza, più precisamente bisogna parlare di atomi e di isotopi. Siamo in una terra di confine che appartiene sia al mondo della chimica tradizionale, sia a quello della fisica nucleare.
In un qualunque corso scolastico di chimica si apprende che gli atomi possiedono un nucleo, e che questo è composto da protoni e neutroni. I protoni costituiscono in un certo senso l’identità stessa dell’atomo: tutti gli atomi che hanno un protone sono di idrogeno, tutti quelli che ne hanno otto sono di ossigeno, tutti quelli che ne hanno, ad esempio, 26 sono di ferro. Quello che magari non è stato specificato è che il numero dei neutroni in un atomo può, entro certi limiti, variare. Per esempio esistono atomi di idrogeno con uno o due neutroni (normalmente non ne hanno) ma tutti, essendo idrogeno, hanno un protone solo. Atomi dello stesso tipo (stesso numero di protoni) ma con numero di neutroni diverso si definiscono isotopi (Fig. 8.1). Il loro comportamento chimico è praticamente identico, ma esistono delle sottili differenze fisiche che possono essere sfruttate per delle indagini molto sofisticate8.1.
8.1 L’idrogeno, che possiede solo un protone, ha anche altri due isotopi che contengono rispettivamente un neutrone (deuterio, molto raro, circa una parte su diecimila di tutti
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L’Alabastro di Busca tra Arte e Scienza
Figura 8.1 – Rappresentazione dei tre isotopi dell’idrogeno: l’idrogeno, il deuterio e il trizio che possiedono rispettivamente zero, uno e due neutroni. (Immagine modificata da: BruceBlaus – Opera propria, CC-BY-3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=33041239)
Anche l’ossigeno, che ha sempre otto protoni, ha tre differenti isotopi stabili che contengono rispettivamente otto, nove e dieci neutroni (chiamati ossigeno 16, 17 e 18, in simbolo16O, 17O e 18O – dove si intuisce che la cifra che si trova in alto a sinistra del simbolo, il numero di massa, non è altro che la somma dei protoni e dei neutroni di un atomo). Questa premessa per chiarire che le molecole d’acqua (ad esempio acqua di mare, acqua piovana, acqua dei ruscelli) contengono, anche se la loro formula chimica e il loro comportamento chimico sono uguali, differenti quantità di tali isotopi, che hanno quindi massa leggermente diversa. Immaginate che dall’acqua che si infiltra nelle grotte (stiamo parlando delle vecchie grotte in cui si è originato l’Alabastro di Busca) si depositi un piccolissimo cristallino di carbonato di calcio, la cui formula è CaCO3 (calcite).
A parità di altre condizioni, il contenuto relativo degli isotopi dell’ossigeno nella calcite (che ha tre atomi di ossigeno in formula, e uno lo ricava proprio dall’acqua) dipende dalla temperatura dell’acqua
gli atomi di idrogeno) e due neutroni (trizio, estremamente raro e instabile). Quando beviamo un bicchier d’acqua, beviamo in realtà una miscela di tutti e tre gli isotopi (uniti ovviamente all’ossigeno a formare H2O, l’acqua appunto).
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L’Alabastro e le indagini paleoambientali
al momento della cristallizzazione. Cioè, se la grotta era relativamente fredda (per esempio con una temperatura di 8/10 gradi centigradi) la calcite avrà un determinato segnale isotopico dell’ossigeno, se la grotta era tiepida o calda (ad esempio 20/25 gradi) il segnale isotopico sarà diverso8.2. La grotta è rimasta sempre grossolanamente dov’era e non ha cambiato, nel corso dei millenni, né la sua posizione né la sua quota. Se analizzando i sottili strati di calcite che compongono alcuni tipi di speleotemi, troviamo delle temperature di deposizione diverse da strato a strato, questo implica che a cambiare è stato il clima nei dintorni della grotta! Quindi in determinati periodi storici la zona attorno a Busca era mediamente più calda, o in altri (periodi glaciali) era molto più fredda rispetto all’attuale. Uno studio accurato dell’Alabastro può fornire una sorta di registrazione del clima passato, il “paleoclima”.
Anche il carbonio (C) può aiutare a ricostruire le caratteristiche paleoambientali. Il carbonio ha due isotopi stabili, il carbonio 12 e il carbonio 13 (12C, 13C) e uno radioattivo, il 14C noto per le “datazioni al carbonio”. Se osservate di nuovo la formula della calcite, vi accorgerete che contiene un atomo di carbonio. Questo proviene dal l’anidride carbonica del suolo che a sua volta deriva dalla materia vegetale che lo ricopre e dalla roccia incassante. Il carbonio ci può fornire quindi informazioni sulla paleovegetazione, sulla velocità di percolazione dell’acqua all’interno della grotta, sulla piovosità. Piante di tipo diverso (erbacee, foresta a latifoglie, conifere) hanno contenuto isotopico del carbonio differente che si riflette in ultima analisi sulla composizione isotopica del carbonio della calcite del nostro speleotema8.3.
8.2 La temperatura all’interno di una grotta è all’incirca la temperatura media annua della località in cui si trova la grotta stessa. Grotte in Liguria, al livello del mare, hanno temperature interne sui 14-16 gradi, mentre la Grotta di Rio Martino, ad esempio, che si apre a circa 1500 metri di quota in Valle Po, ha una temperatura interna di appena 5 gradi. Con alcuni strumenti sofisticati a disposizione dei geochimici, la differenza che possiamo ragionevolmente discriminare al giorno d’oggi con le analisi è di circa 0,2°C. 8.3 Questo tipo di informazioni riguardanti la paleovegetazione possono venire integrate dall’analisi degli acidi umici e fulvici presenti nei livelli di calcite.
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Quindi, analizzando il rapporto isotopico del carbonio e dell’ossigeno nella calcite dei livelli dell’Alabastro di Busca, potremmo arrivare ad affermare che in un certo periodo i dintorni di Busca erano caratterizzati da un clima fresco e da vegetazione di conifere e in altri da clima caldo e vegetazione di tipo prevalentemente arbustivo. Potremmo quindi ricavare informazioni di tipo paleoambientale. Se uniamo a tutto questo il fatto che lo studio dell’abbondanza dei livelli detritici ci fornisce anche informazioni sulla copiosità e la distribuzione degli eventi di forte pioggia (forte trasporto da parte dell’acqua, molti detriti negli strati) possiamo avere delle indicazioni piuttosto precise di quali fossero le condizioni climatiche e ambientali nel passato.
Quanto tempo fa?
Una volta che si è appurato che un dato strato corrisponde a un periodo caldo e secco, mentre un altro corrisponde a uno caldo e umido, è fondamentale anche sapere quando questi periodi si sono succeduti. In questo ci vengono in aiuto altri isotopi, quelli instabili.
Esistono atomi col nucleo piccolo, con pochi protoni e neutroni (li abbiamo appena citati: idrogeno, ossigeno, carbonio…) ma esistono anche atomi che nel nucleo hanno un gran numero di protoni e neutroni (ad esempio il piombo ha 82 protoni e circa 124 neutroni). Se i neutroni e i protoni sono troppi, il nucleo diventa instabile e si trasforma più o meno lentamente in atomi più piccoli perdendo alcune particelle (è il fenomeno del decadimento radioattivo). Dalla fisica nucleare si conosce bene quanto tempo impiega, ad esempio, un isotopo radioattivo come 238U per trasformare metà dei suoi atomi: quattro miliardi e mezzo di anni (tempo di dimezzamento). Un tempo del genere è adattissimo ai geologi per datare le rocce antiche del pianeta Terra, e infatti in geologia i metodi basati sul decadimento dell’uranio 238 e altri isotopi a lungo periodo sono molto usati, ma per i nostri scopi è un lasso di tempo troppo grande.
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L’Alabastro e le indagini paleoambientali
Fortunatamente esiste un altro isotopo dell’uranio, il 234U, che ha un tempo di dimezzamento di circa 250.000 anni. Quando lo speleotema si era formato, una piccolissima quantità di uranio era comunque presente nelle acque circolanti (veramente molto piccola, si parla di un atomo ogni 1012-1015 molecole d’acqua o anche meno) ed è stato catturato nella calcite che si stava depositando negli speleotemi stessi. Da quel momento, gli atomi intrappolati hanno cominciato a trasformarsi in un altro elemento, il torio (230Th) la cui concentrazione attuale nei depositi è proporzionale al contenuto iniziale di uranio, e alla quantità di tempo intercorso dal momento della deposizione. Con altri sofisticati strumenti è possibile analizzare il contenuto di uranio e torio nei livelli del nostro speleotema, e sapere quindi, confrontando le quantità relative degli isotopi dei due elementi (e se altri fenomeni non interferiscono) con una certa precisione quanto tempo fa il livello di calcite è stato depositato. Facendo questa determinazione per più livelli contigui, è possibile ottenere una datazione assoluta radiometrica di tutta la successione dei livelli del campione preso in esame, e correlando poi le date ricavate con i segnali paleoambientali di cui si parlava prima si ottiene una ricostruzione paleoclimatica abbastanza accurata dell’evoluzione dell’ambiente e del clima nella regione.
Qual è l’età dell’Alabastro di Busca?
Finora abbiamo analizzato in via preliminare solo alcuni campioni, prelevati in punti diversi del sistema di canyon delle cave. I risultati ottenuti spaziano da circa 350.000 anni fa fino a circa 55.000 anni fa (Fig. 8.2), il che rende l’Alabastro di Busca ancora più interessante, in quanto copre un intervallo temporale di almeno 300.000 anni (e non è detto che in altri punti del sistema carsico non si trovino campioni ancora più antichi). Tale intervallo si estende su più cicli glaciali, e non interessa solamente l’ultimo di questi (che ricordiamo per inciso è terminato “appena” dodicimila anni fa circa) (Fig. 8.3). Questo costituisce un aspetto da indagare ulteriormente, in quanto i dati che riguardano condizioni climatiche di periodi così antichi sono ancora
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L’Alabastro di Busca tra Arte e Scienza
scarsi per il Piemonte. Le indagini stanno infatti proseguendo presso il Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Torino.
Figura 8.2 – I tre campioni finora datati con il metodo della spettrometria alfa hanno fornito i dati visibili in figura. Alcune porzioni dell’Alabastro di Busca possono essersi formate anche 350.000 anni fa circa, e non è detto che non esistano concrezioni ancora più antiche. Si noti che assieme all’età stimata si riporta anche l’errore relativo possibile della misurazione.
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L’Alabastro e le indagini paleoambientali
Figura 8.3 – Il periodo di formazione dell’Alabastro di Busca è di particolare interesse in quanto comprende almeno tre periodi glaciali e due periodi interglaciali.
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L’Alabastro e le potenzialità geoturistiche
Il volume che state leggendo vuole essere un contributo alla diffusione della conoscenza di questo materiale particolare e delle caratteristiche del sito in cui si è formato. L’importanza di questa roccia non è solo storica, artistica, economica e sociale ma anche e soprattutto scientifica. La consapevolezza della quantità di informazioni che si possono ricavare dallo studio accurato dell’Alabastro di Busca è secondo noi un primo e fondamentale passo per la sua valorizzazione.
Una delle strategie migliori per far conoscere al grande pubblico le caratteristiche uniche di questo materiale potrebbe essere quella di inserire i suoi luoghi di estrazione, che saranno dotati di pannelli illustrativi e didattici, in un progetto di valorizzazione turistica che potrebbe avvalersi anche della creazione di itinerari geoturistici. Questi itinerari potrebbero comprendere non solo le Cave, ma anche altri punti di interesse nel Comune e nei dintorni, in modo da attrarre molte persone, aventi differenti priorità di interesse.
Per questo motivo abbiamo deciso di includere nel volume un capitolo conclusivo riguardante proprio il possibile sviluppo dell’aspetto geoturistico del territorio Buschese e delle Cave.
Per tale compito ci siamo rivolti al nostro collega e amico Ferruccio Vergamini che ha lunga esperienza nel settore.
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L’Alabastro di Busca tra Arte e Scienza
a cura del Dott. Geol. Ferruccio Vergamini
L’aumento del tempo dedicato alle vacanze e il maggior interesse per l’ambiente spingono attualmente i turisti a ricercare un sempre maggior contatto con la natura. Ciò ha direttamente comportato una maggiore diversificazione delle destinazioni e conseguentemente, a fianco delle tradizionali mete prevalentemente culturali, sempre più si va diffondendo un turismo outdoor.
In Italia e più in generale in tutto il mondo, si sta assistendo perciò a un generalizzato uso dell’attività all’aria aperta per valorizzare zone turisticamente poco attraenti o senza sufficienti capitali per investimenti in infrastrutture tradizionali o soggette a vincoli di protezione. Come dicevamo si sta quindi fortunatamente registrando un interesse sempre maggiore verso la natura e i beni culturali ad essa connessi. In tal senso sono da leggere anche le iniziative promosse dalle istituzioni o dai privati per rendere fruibile il patrimonio naturale che ci circonda. In questo particolare contesto, quello delle Cave di Alabastro di Busca, possiamo fare il passo successivo. Stiamo sempre parlando di un turismo outdoor ma in questo caso possiamo iniziare a discutere di GeoTurismo.
Il GeoTurismo nasce con l’individuazione, lo studio e la conoscenza di quello che viene normalmente definito Patrimonio Geologico. In questo particolare tipo di attività il fenomeno geologico e l’evidenza di terreno vengono utilizzati come beni turistici, cercando di rendere comprensibile ed interessante per tutti un particolare elemento geologico, geomorfologico o paleontologico – al di fuori del puro contesto scientifico.
Una caratteristica fondamentale di questo peculiare approccio turistico è individuabile in una netta e chiara componente, quella culturale. L’elemento culturale rende il GeoTurismo tale; senza questo taglio parleremo di una semplice escursione, di semplice turismo outdoor. Il fenomeno geologico, che identifica un sito ove si possa sviluppare il
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L’Alabastro e le potenzialità geoturistiche
GeoTurismo, deve essere certamente studiato, ma è anche necessario rendere facilmente comprensibile a tutti il fenomeno geologico stesso. La corretta individuazione e la capacità di proporre questo particolare tipo di attività necessita o di operatori competenti (che descrivano in modo scientifico ma facilmente fruibile a tutti quei concetti geologici che possono non fare parte della cultura generale di un turista) o di elementi grafici, quali ad esempio una cartellonistica semplice e chiara che vada ad integrare le eventuali informazioni reperite dal fruitore.
Un altro elemento fondamentale e assolutamente necessario per costruire del buon GeoTurismo è stimolare la curiosità, la voglia di sapere, di conoscere e di confrontarsi su concetti che magari, sino a quel giorno, non sono mai stati realmente approfonditi, ed una volta assimilati, renderli propri.
Ultimo ma indispensabile elemento è il sostegno che i privati e le amministrazioni comunali devono fornire per far sì che questa particolare tipologia di turismo possa svilupparsi. Nel caso in esame, quello delle Cave di Alabastro di Busca, il mio plauso va a quello che hanno già fatto, stanno facendo (e mi auguro faranno), il sindaco Marco Gallo, l’assessore Ezio Donadio e l’amministrazione tutta di Busca. Una chiara presa di coscienza e un impegno vero per la promozione geoturistica e sostenibile della zona collinare del buschese.
Busca ha deciso di investire sul suo patrimonio più grande: il territorio con tutto ciò che ne concerne: la natura, la storia, la geologia e la storia degli uomini che nei secoli hanno lasciato traccia del loro vissuto buschese. Negli ultimi anni sono stati fatti grandi passi in avanti, vi è stato il ripristino di molto sentieri, sono in fase di ultimazione una serie di cartelloni e brochure e si è ridato lustro a luoghi unici come “La Marmorera”.
La ricerca di nuove mete spinge i turisti verso nuove possibilità ed è parso naturale presentare ai futuri viaggiatori anche la Valle Maira, che viene sempre definita come stretta, nascosta e selvaggia, che per molti
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L’Alabastro di Busca tra Arte e Scienza
anni è rimasta isolata dai grandi flussi turistici e che conserva ancora le atmosfere rurali di un tempo; essa deve la sua bellezza ai grandiosi panorami naturali e dunque geologici delle sue montagne e delle sue colline.
Il progetto di promozione geoturistica della zona delle Cave nasce quindi con lo scopo di “allargare” la valle, renderla per quanto possibile meno nascosta e cercare di aprire la stessa ai medi e grandi flussi di turismo ecosostenibile. Quelli che seguono sono solo alcuni esempi di itinerari che possono eventualmente essere sviluppati.
Esempi di itinerari
A. Cave di Alabastro
Difficoltà: Adatta a tutti
Durata: 2 h
Partenza/Arrivo: imbocco da strada comunale
Il percorso delle cave di Alabastro di Busca si presta ad essere affrontato da tutti gli escursionisti, anche dai meno esperti, dato l’esiguo dislivello da affrontare e lo sviluppo di pochi chilometri.
In questa escursione si potranno osservare le peculiarità dell’Alabastro di Busca, studiare il contesto geologico all’interno del quale esse si sono sviluppate, e analizzare i metodi con cui veniva cavato.
B. L’Alabastro e Busca
Difficoltà: Escursionisti mediamente allenati Durata: 5 h
Partenza: Chiesa Parrocchiale di Busca Arrivo: Cave di Alabastro
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L’Alabastro e le potenzialità geoturistiche
Escursione con partenza da Busca ed in particolar modo dalla Balaustra della Chiesa della Confraternita della SS. Trinità. Durante l’escursione si toccheranno anche Via Fornaca, il Castellaccio, la Chiesa di Santo Stefano per poi concludere la gita alle cave di alabastro… sì, un filo conduttore c’è…
C. Chiese, Rocce e Pellegrini
Difficoltà: Escursionisti mediamente allenati Durata: 5 h
Partenza: Eremo di Belmonte
Arrivo: Cave di Alabastro/Eremo
Classica escursione sulla collina di Busca con partenza dall’Eremo, tappa alla cascina Abello e ritorno sulle Cave di Alabastro.
In questo viaggio si potrà parlare e discutere dell’evoluzione geologica e geomorfologica della collina buschese. Analizzeremo i rapporti tra la Chiesa e questi luoghi, meta di passaggio di molti uomini, quasi mai meta di arrivo….
D. Evoluzione Geomorfologica della Bassa Valle
Difficoltà: Escursionisti allenati Durata: 8 h
Partenza: Cave di Alabastro Arrivo: Riserva dei Ciciu del Vilar
Partendo dalle Cave di Busca, passando per la Colletta di Rossana, il Colle della Liretta, terminando nella Riserva dei Ciciu del Villar. In una giornata cercheremo di riassumere la complessa storia evolutiva dell’ambiente collinare che ci circonda. Anche in questo caso
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L’Alabastro di Busca tra Arte e Scienza
cercheremo di capire le differenti condizioni di formazioni di diversi elementi e caratteristiche di terreno, che poi così diversi forse non sono…
Molte altre possono essere le proposte di Geoturismo in relazione a Busca, alla sua magnifica collina ed alle Cave di Alabastro; riprendendo un concetto espresso prima, l’elemento fondamentale deve essere la curiosità, la voglia di capire cose nuove e la voglia di guardare con occhi nuovi Busca, la nostra Busca.
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“Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare Terre nuove ma nell’avere nuovi occhi” Marcel Proust
Bibliografia di Riferimento
Sono molti i testi che è necessario consultare per potersi adeguatamente informare sui numerosi aspetti di quello che è un materiale complesso come l’Alabastro di Busca, soprattutto se si vuole estendere il discorso al campo dei Beni Culturali e inserire il materiale in un contesto storico. Purtroppo, per alcuni argomenti è difficile trovare dei buoni testi in lingua italiana, per cui in questa breve lista di riferimento abbiamo inserito anche alcuni volumi in lingua inglese.
Per quanto riguarda la Storia di Busca, abbiamo già indicato alcuni libri utili direttamente nel capitolo primo, in quanto esso è basato esclusivamente su ricerche bibliografiche. Citiamo comunque di seguito i volumi già indicati:
– Eandi, G. (1833) Statistica della Provincia di Saluzzo (Lobetti-Bodoni, Saluzzo) vol. I
– Casalis, G. (1846) Dizionario geografico, storico, statistico, commerciale degli Stati di S.M. il Re di Sardegna (Maspero e Marzorati, Torino) vol. XIV
– Occelli S. (1979, ristampa) Busca nei tempi antichi e moderni (Comune di Busca)
– Beltrutti G. (1981) Storia di Busca, Vol. 1 (Comune di Busca)
La storia delle cave e dell’estrazione è poco documentata, ma qualche informazione si può trovare in un numero del bollettino del Regio Comitato Geologico d’Italia, nonché su un volume compilato con enorme pazienza da Giuseppe Pipino:
– Stella, A. (1908) Le cave di alabastro e di altri materiali calcarei del Saluzzese in: Bollettino del Regio Comitato Geologico d’Italia, vol. IV (Tipografia Bertero, Roma)
– Pipino G. (2010) Documenti minerari degli Stati Sabaudi (Tipografia Pesce, Ovada)
Per quanto riguarda lo studio delle rocce ornamentali, o anche solo per saperne di più sulle loro varietà e sui loro utilizzi, consigliamo la consultazione dei volumi sotto indicati:
– G.A.L. Mongioie, (2004) Marmi e Pietre del Cebano-Monregalese
– Lazzarini L. (2004) Pietre e marmi antichi, CEDAM
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– Price M. T. (2008) Atlante delle pietre decorative: guida tecnica illustrata, (Hoepli)
La parte di descrizione degli speleotemi e dei sistemi carsici risente della mancanza di buoni testi in italiano, anche se il volume del CAI è molto valido:
– White W.B. (1988) Geomorphology and Hydrology of Karst terrains. (Oxford University Press, Oxford)
– Scuola Nazionale di Speleologia – CAI (2003) Manuale di Speleologia
– Fairchild I.J. & baker A. (2012) Speleothem Science – From process to past
environments, (Wiley-Blackwell, Chichester)
Altre informazioni, di carattere geologico, scientifico e altro ancora le abbiamo reperite su diversi volumi e articoli fra i quali citiamo:
– Di Saluzzo, A. (1845) Le Alpi che cingono l’Italia considerate militarmente così nell’antica così come nella presente loro condizione (ed. Mussano, Torino)
– Compagnoni R., Sandrone R., Zucchetti S. (1974) – Il giacimento di alabastro calcareo di Belmonte Mezzagno nei “Monti di Palermo” – Atti del 1o Convegno Internazionale sulla Coltivazione di Pietre e Minerali litoidi (Torino)
– Griseri A., Romano G. (1989) Filippo Juvarra a Torino. Nuovi progetti per la città (Cassa di risparmio di Torino, Torino)
– Sandrone R., Cadoppi P., Sacchi R., Vialon P. (1993) The Dora-Maira Massif. In: Pre-Mesozoic Geology in the Alps. (Springer-Verlag)
– Comoli Mandracci V., Palmucci L. (2000) Francesco Gallo 1672-1750 Un architetto ingegnere tra Stato e Provincia (Celid, Torino)
– Manutchehr-Danai M. (2009) Dictionary of Gems and Gemology (Springer)
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Per chi infine volesse approfondire le tematiche scientifiche legate ai metodi di analisi di materiali lapidei, o comunque di oggetti legati ai beni culturali, consigliamo i seguenti volumi:
Dickin A.P. (2005) Radiogenic dating methods (Cambridge University Press)
Artioli G., (2010) Scientific method and Cultural Heritage (Oxford University Press)
Varella A.E. (2013) Conservation Science for the Cultural Heritage: Applications of Instrumental Analysis (Springer)