Dipinto olio su tela opera di Luigi Napoleone Gradì
su retro reca ancha l’annotazione:
“Alla Spettabile Fabbricieria di San Giovanni Busto Arsizio”
Misure: 201 x 143 cm + cornice 215 x 159 cm
(0518009)
Luigi Napoleone GRADY (o Gradi)
Santa Cristina (Pv) 1860 – Brusimpiano (Va), 1949. Studia all’Accademia di Brera con Francesco Hayez, Giuseppe Bertini e Raffaele Casnedi. Esordisce giovanissimo nel 1881 all’Esposizione nazionale di Belle Arti a Milano, con un paesaggio (Luogo abbandonato), uno studio di figura (Pensosa) e tre quadri di genere (Bel mattino, Nel parco e Ritrovo d’amore). Nella prima parte della sua intensa attività si dedica soprattutto ai quadri di figura e ai ritratti (L’odalisca vincitrice, La bella dei fiori, Graziosa contemplazione, Amelia, per citarne alcuni), dimostrandosi sapiente disegnatore di romantiche figure femminili e maestro nella resa della luce sugli incarnati. Espone con grande successo a Torino, Roma, Genova, Venezia e naturalmente a Milano, dove ha uno studio in via Rossini. Nel 1885 espone all’Accademia di Brera uno dei suoi quadri più famosi, Volle morir così, una dama languidamente riversa su un letto cosparso di fiori; deve la sua fama in particolare al dipinto La capinera (1894), una melodrammatica raffigurazione della manzoniana monaca di Monza, che all’Esposizione internazionale di Bruxelles (1897) ottiene la grande medaglia d’oro. In pochi anni diventa il pittore della migliore società lombarda: Belgioioso d’Este, Emma Turati, Carlotta Mazzucchelli-Gianni, il tenore Francesco Tamagno, sono solo alcuni dei personaggi famosi che si fanno ritrarre da Napoleone Grady. Ma proprio intorno agli anni novanta abbandona questo tipo di pittura (che egli stesso definisce “la mia prima maniera”) per dedicarsi al paesaggio, dove si mostra pittore dalla fattura larga, di getto, estraneo all’innovativa tecnica divisionista. Predilige scorci della riviera ligure, scene di pescatori e marine (Paranze da pesca, 1887, Quiete marina, 1888, Plenilunio: alla pesca, 1904), e paesaggi delle valli tra Lombardia e Piemonte; uno di questi dipinti, Mattino in Val di Scalve, è premiato all’Esposizione internazionale di Colonia del 1889 con una medaglia d’oro. Il suo ultimo quadro (S. Andrea,1947), è conservato nella chiesa di S. Maria Nascente a Brusimpiano, presso Varese, dove si era trasferito nei tardi anni venti. (mb49)
La Basilica di San Giovanni Battista di Busto Arsizio, una delle più importanti opere barocche della provincia di Varese, sorge sui resti di una cappelletta longobarda. Il campanile a base quadrata, in muratura a vista, risalente al periodo tra il 1400 e il 1418, costituisce la parte più antica dell’edificio attuale, iniziato nel 1609 e ultimato nel 1635. La facciata, imponente e scenografica, è ornata da porte di rame e bronzo (opera di Enrico Astorri, come la Via Crucis, 1908), e bassorilievi raffiguranti la vita di San Giovanni Battista (Giovanni Pozzi,1703-05); la parte superiore, completata fra il 1699 e il 1701, è opera di Domenico Valmagini, con la bella statua centrale del Battista opera di Siro Zanelli. L’interno, caratterizzato da grandiose volte a botte e a vela, contiene grandi tele (fine 600/inizio 700), due delle quali attribuite a Carlo Preda, e due affreschi coevi alla costruzione originaria attribuiti ad Antonio Crespi Castoldi. Recenti (1904-1923) gli affreschi della cupola, dei pennacchi, delle volte, opera di Carlo Grossi. Le opere del presbiterio e dell’abside si devono per lo più a Biagio Bellotti (realizzate fra il 1757 e il 1765), mentre le sei cappelle laterali sono opera di vari artisti: affreschi settecenteschi di Francesco Maria Bianchi, quelli secenteschi di Giovan Francesco Lampugnani (1622), il Cristo morto con san Domenico di Daniele Crespi (1623). Nella cappella di S. Giuseppe un bell’altare tardo-neoclassico di Pietro Olgiati (1856) e in quella della Madonna (chiusa da un cancelletto in ferro battuto di Biagio Bellotti), una statua lignea dell’Immacolata di Ambrogio Moioli (1905). Sulle due cantorie ai lati dell’altare maggiore si trova l’organo a canne Mascioni costruito nel 1912. (mb49)
Enrico Astorri, San Lazzaro Alberoni (Pc) 1859 – Milano, 1921, scultore di larga fama e richiestissimo all’epoca, in Italia e all’estero. Infaticabile, padrone sicuro del mestiere, è, nei suoi limiti, un grande artefice che mostra nelle sue opere una notevole abilità tecnica improntata a un realismo eclettico. La sua opera spazia dai monumenti di personaggi storici alle sculture funerarie, alle figure di genere, sia in marmo che in bronzo. Studia a Parma, Genova e Milano. Esordisce a soli vent’anni, col monumento a Vittorio Emanuele II a Parma; nel 1884 partecipa all’Esposizione di Torino con Serenata e con un busto di Umberto I, notevole per i tempi, nell’86 a quella di Milano (Compagni di sventura), nell’87 a quella di Venezia (Rondinella pellegrina). Del 1889 è il monumento a Garibaldi di Piacenza, cui seguono quelli di Volta, del Generale Santos, del Generale Fara; numerosi anche i ritratti e i monumenti funebri, sia al Monumentale di Milano (Mascardi, Clerici, Isolabella, Ronchi, Cammeo, Castelli, ecc.) che a quello di Staglieno (Schmidt, Parodi, Pelas, Bianconi, Magalli, ecc.). Vanno poi ricordati i quattordici altorilievi in bronzo della Via Crucis e la porta in bronzo del duomo di Busto Arsizio. Fra le sue sculture di genere, la Filatrice araba ottiene nel 1901 la medaglia d’oro all’Esposizione di Monaco di Baviera (mb49)
Siro Zanelli scultore, originario di Pavia. Incerte le date di nascita e morte (quest’ultima forse nel 1724). Intagliatore e scultore, Zanelli è molto attivo sul Verbano: suo un tondo ligneo dorato rappresentante la predicazione di San Carlo nella Sala delle Medaglie di Palazzo Borromeo sull’Isola Bella. Deve però la sua notorietà in zona alla la statua di San Carlo Borromeo (San Carlone), realizzata ad Arona nel 1698, con lo scultore Bernardo Falconi e su disegno del pittore Giovan Battista Crespi detto il Cerano (1573 – 1632). Nominato statuario del Duomo di Milano, è autore di uno dei sei riquadri in marmo ad altorilievo nelle lesene che contornano la cappella di san Giovanni Bono, dove è narrata la vita del Santo; l’opera che risale al 1696 illustra l’episodio in cui san Giovanni e il vescovo di Bergamo scacciano dalla città gli Ariani. E’ autore di una pregevole statua di S. Agostino nella Certosa di Pavia (1697), e della bella statua centrale di S. Giovanni Battista sulla facciata della Basilica di San Giovanni in Busto Arsizio (mb49)
Biagio Giuseppe Maria Bellotti, Busto Arsizio1714 – 1789. Figlio e nipote di artisti, è a sua volta pittore, architetto, organista, e, dal 1744, canonico della basilica di San Giovanni Battista in Busto Arsizio. Realizza numerose opere nella sua città, ma anche a Milano e in molte località dell’Alto Milanese e del Seprio (oggi il territorio diviso fra la provincia di Varese e quella di Como). Personalità eclettica, è figura di rilievo nella pittura minore del Settecento lombardo: partito dalla lezione di artisti locali (in particolare Pietro Antonio Magatti) e in seguito affascinato dal Tiepolo, allarga il suo repertorio con sicurezza di gusto e di mestiere, arrivando a notevolieffetti di luminosità e movimento, soprattutto con l’impostazione dei gruppi dentro spazi centrifughi. A Busto affresca dapprima la chiesa di S. Pietro (eretta su suo disegno nel 1741),edal 1755, per alcuni anni, è impegnato nellaBasilica di San Giovanni. Nel1757disegna l’altare (magnifico,incastonato nella mirabile decorazione absidale, eseguito dagli scultori Buzzi),e dal 1757 al 1760 decora l’abside. Gli affreschi con il Battesimo di Gesù e il Martirio diS.Sabino (firmati e datati 1759) costituiscono il suo intervento più cospicuo in questa parte della chiesa, e uno dei momenti più felici della sua attività. In seguito lascia Busto Arsizio e lavora a Milano (suoi gli affreschi sui soffitti dei palazzi Sormani e Perego) e in numerose località dell’alto milanese, in chiese parrocchiali e minori. Nel 1771 realizza nella Certosa di Garegnano (oggi a Milano, ma ai tempi in aperta campagna) quelle che sono ritenutele sue migliori prove, dove all’influsso del Tiepolo si mescola la grazia del barocchetto lombardo. Nel 1775, tornato a Busto, crea le bussole della Basilica di San Giovanni Battista e la coreografia per la funzione dell’Entierro, una processione per le strade di Busto che ricorda la passione e morte di Cristo, dipingendo anche le tavole da portare in processione. Del 1784 un Autoritratto, donato all’ospedale di Busto Arsizio, e più o meno dello stesso periodo gli affreschi della Cappella del Santissimo Rosario della chiesa dei Santi Stefano e Lorenzo a Olgiate Olona. Il Museo delle Civiche Raccolte d’Arte di Palazzo Marliani-Cicogna di Busto Arsizio conserva molte opere di questo artista estremamente prolifico, fra le qualidue affreschi strappati, la Deposizione e la Vergine col Bambino dormiente, e il Progetto per basamento di pala di altare, disegno a china. (mb49)
Daniele Crespi, Busto Arsizio, 1598 – Milano 1630. Pittore annoverato tra i maggiori esponenti del Seicento lombardo, discende da una famiglia di artisti originaria di Busto Arsizio. Le sue opere rivelano una forte personalità, formatasi sotto l’influsso del Cerano, di Camillo Procaccini, del Morazzone, ma anche di Rubens e Van Dyck. E’ stato un artista molto precoce, come testimoniano la decorazione della chiesa di S. Vittore al Corpo a Milano (1619), la decorazione della Cappella dell’Annunciata nella Basilica di S. Eustorgio, a Milano, e le tele per la chiesa di San Protaso ad Monachos (1623, dal 1930 spostata nella Basilica di San Giovanni a Busto Arsizio), la cui austera espressività ricorda il pittore spagnolo Zurbaràn. Le sue opere più significative sono probabilmente il Digiuno di San Carlo Borromeo(1628-29, Milano, Santa Maria della Passione) e il Ciclo di San Bruno (1629) nella Certosa di Garegnano (oggipiù nota come Certosa di Milano), per alcune novità nella lettura e nell’analisi del tema, come la definizione degli ambienti, gli scenari architettonici, e l’indagine psicologica dei personaggi. L’artista ha dato buona prova di sé anche come ritrattista: un Autoritratto (1627), oggi agli Uffizi, il ritratto di Manfredo Settala (Pinacoteca Ambrosiana), il ritratto del chirurgo Enea Fioravanti (Castello Sforzesco), Ritratto di giovane (Collezione Borromeo, Isola Bella, Stresa). Muore, ancor giovane, nell’epidemia di peste, lasciando incompiuta la sua opera di maggiore impegno, il maestoso ciclo di affreschi della Certosa di Pavia, che riveste per intero le pareti del coro, mentre le volte ospitano ancora la decorazione affrescata di epoca rinascimentale; il ciclo sarà terminato dai collaboratori del pittore. (mb49)
Carlo Preda, Milano,1651/52-1729. Pittore, una delle voci più originali del contesto milanese del suo tempo e uno degli antesignani della stagione del barocchetto lombardo. Suo primo maestro è lo zio, il pittore Federico Bianchi; del 1680 la sua prima opera nota, l’Immacolata e santi in S. Giorgio al Palazzo a Milano, poi la sua arte ha una svolta significativa legata all’attività nel territorio di Casale Monferrato, come è evidente nello stile compositivo più leggero e nella tavolozza più chiara dell’Assunta e Santi di Terruggia (1688), e della Comunione di un prelato cappuccino (1690, Museo civico di Casale Monferrato). Nei primi anni novanta, grazie probabilmente all’influsso di artisti come Domenico Piola, Bartolomeo Guidobono e Gregorio De Ferrari, esponenti del tardo barocco genovese, Carlo Preda perviene a una pittura più dolce, di matrice neocorreggesca, con tinte luminose e raffinati accostamenti cromatici, che diventeranno la sua cifra stilistica. Di questi anni le tele per la Chiesa di S. Maria delle Grazie a Bellinzona, le Storie di S. Caterina (Pinacoteca del Castello Sforzesco, Milano), la Vergine con il Bambino e S. Paolo (Piacenza, Collezione privata). Fra la fine del 600 e i primi anni del 700 riceve numerosi incarichi: la Maddalena comunicata da S.Massimino, il Miracolo del fanciullo caduto nella fornace (ciclo del Ss. Sacramento nel Duomo di Milano, ora al Museo Diocesano), le due Storie di S. Giovanni Battista nei teleri sulla vita del santo nella chiesa eponima di Busto Arsizio. Alle tele di ambito chiesastico affianca una notevole produzione di altre opere: Giacobbe al pozzo,(Collezione privata), Ruth e Booz (Verona, Galleria Morgante), Allegoria della scultura (Merate, Ospedale Leopoldo Mandic). Nel 1708 realizza la Pala per il Santuario di Caravaggio, e il quadrone con la Predica del Battista, parte delle Storie del Santo a Melegnano; nei lavori posteriori al primo decennio del secolo le figure assumono tratti più marcati, i panneggi risultano più rigidi e incisi, aspetti che saranno una costante della sua produzione matura. Noto anche come perito d’arte, nel 1715 il pittore stila l’inventario della collezione di Giovan Pietro Orrigoni. Al 1724 risale l’ultima sua prova documentata, la pala già in palazzo Leonardi a Trecate, ora nel locale monastero delle suore della Carità. (mb49)
Giovan Francesco Lampugnani, Legnano, 1588 – 1651.Pittore, disegnatore, incisore. Insieme al fratello Giovan Battista (con cui collabora strettamente fino alla morte di questi nel 1640) si propone come continuatore della tradizione lombarda cinquecentesca di Gaudenzio Ferrari e di Bernardino Luini, dimostrandosi però sensibile al nuovo clima spirituale e religioso dellaControriforma. I Lampugnani alternano la propria produzione tra Legnano e Milano, dove probabilmente entrano nella bottega del Cerano; a Milano Giovan Francesco realizza i due grandi dipinti per l’importante cantiere di Santa Maria della Passione a Milano, raffiguranti la Resurrezione e l’Ascensione di Cristo, nel 1622 invece entrambi dipingono a Busto Arsizio, per la Basilica di San Giovanni Battista, la tela rappresentante S. Giovanni a Patmos. Il loro è un linguaggio colto e pacato, di grande eleganza figurativa, dovela chiarezza voluta delle composizioni e l’assenza di toni concitati testimoniano un mestiere che si muove con grande equilibrio tra modernità e tradizione. Queste caratteristiche assicurano loro committenti esigenti e di prestigio, come il cardinal Monti (arcivescovodi Milano dal 1632), e l’Ordine Francescano. E’ del 1632 il grande ciclo decorativo realizzato nella chiesa di S. Francesco a Trecate, con affreschi incentrati su alcuni temi dell’iconografia francescana, completato da una tela con la Madonna e S. Francesco, che mostra punti di contatto con i successivi dipinti quali l’Ascensione di Cristo (1633,Varese, Sacro Monte) o l’Adorazione dei pastori (1633,Varese, Chiesa di S. Maria del Monte). Realizzano molte pale d’altare:S. Nicola di Bari (1633, Chiavenna, già chiesa di S. Carlo), S. Nicola da Tolentino (del solo Giovan Francesco,1633, ora al Museo del Tesoro della collegiata di S. Lorenzo), e una Madonna con Bambino ed Angeli (1632-35, Milano, Galleria Arcivescovile). Dopo la scomparsa del fratello nel 1640, Giovan Francesco esegue la decorazione ad affresco della cappella del Rosario (1642 circa, Cislago, chiesa di S. Maria Assunta) comprendente i Misteri (undici ovali dipinti a olio su rame) e due tele, la Natività di Maria e lo Sposalizio della Vergine. Giovan Francesco è inoltre autore del progetto per la Veduta di Milano (incisa da Bernardino Bassano ed edita nel 1640) e del famoso Mappamondo, presente nella collezione del Cardinale Cesare Monti, ora alla Pinacoteca Ambrosiana di Milano. (mb49)
Anton Maria Crespi Castoldi (detto il Bustino),Busto Arsizio, fine 1500 – 1630. Pittore appartenente a una famiglia di artisti, tra cui Giovan Battista e Daniele, opera in Lombardia e soprattutto a Como, dove va a vivere in seguito al matrimonio. Molto legato al linguaggio della Controriforma, è artista tradizionale, parco di spunti innovativi. Molto conosciuto e richiesto come copista, dipinge opere prevalentemente a soggetto religioso, dove si notano l’influsso del Morazzone e del Cerano. Fra le opere pervenuteci, La Consacrazione episcopale di S. Benedetto Crespi (1611), tela dipinta per la Basilica di S. Giovanni in Busto Arsizio, un’Annunciazione ora nel Museo Civico di Novara, l’Adorazione dei pastori (San Bartolomeo, Como) e alcuni affreschi nella VII° cappella del Sacro Monte d’Orta. (mb49)
La Fabbrica d’organi Mascioni, (oggi con sede ad Azzio, Varese), è una ditta che produce e restaura organi a canne. Il suo fondatore è Giacomo Mascioni che, dopo l’apprendistato a Varese, nel 1829 apre l’azienda a Comacchio di Cuvio, dove incomincia a produrre organi per la committenza della provincia di Varese e del Canton Ticino. Nei primi decenni del 900 l’azienda estendela propria fama in tutto il mondo, e raggiunge rapidamente livelli tecnici di avanguardia, (senza scordare l’antica sapienza artigiana), realizzando più di 1200 organi in tutto il mondo. Fra le sue realizzazioni ricordiamo il grandioso Organo del Duomo di Milano, costruito con la Tamburini di Crema nel 1937-38 su commissione di Benito Mussolini, l’Organo maggiore dell’Abbazia di Montecassino (1953), il grande organo del Pontificio Istituto di Musica Sacra in Roma (1932), e quelli del Duomo di Firenze (1961, restaurato dalla stessa ditta dopo l’alluvione del 1967), della Basilica di S. Antonio da Padova (1931), della Basilica di S. Giovanni Battista in Busto Arsizio (1912) e della Basilica di S. Gaudenzio di Novara. (mb49)