La scoperta e il grande successo della porcellana nell’Europa del 18° secolo si devono alla sua affinità al peculiare gusto dell’epoca. La sua fragile e squisita bellezza e lo splendore della sua materia si coniugano perfettamente con la passione della società settecentesca per il gusto del gioco e del capriccio intellettuale, la fantasia delle forme e la libera inventiva. Si armonizza molto bene anche con lo stile architettonico, che predilige i piccoli palazzi, le stanze intime e decorate di stucchi e boiseries, cornice particolarmente adatta ai soprammobili delicati e alle figurine di materia traslucida; anche l’abbigliamento del tempo, prezioso e variopinto, si presta mirabilmente ad essere tradotto in fine porcellana. Così, dopo Meissen in Sassonia e Sèvres in Francia, ed alcune altre esperienze (Vezzi a Venezia, Ginori a Doccia e Rossetti a Torino ) nel 1743 nasce la Real Fabbrica della Porcellana di Capodimonte di Napoli, per volere di Re Carlo III° di Borbone e della moglie Maria Amalia Valpurga, nipote di Augusto il Forte, creatore della celebre fabbrica di porcellana di Meissen. La fabbrica sorge a pochi passi dalla reggia; il chimico Livio Ottavio Schepers, belga, Giovanni Caselli, primo miniatore alla Corte Farnese di Parma, il fiorentino Giuseppe Gricci, modellatore, il pittore Giuseppe Della Torre e l’intagliatore Ambrogio Di Giorgio costituiscono l’équipe artistica, artefice del grande successo della manifattura. Schepers sperimenta argille provenienti dalla Calabria, differenti da quelle dei paesi del Nord Europa, ed ottiene un impasto tenero, ad alto contenuto feldspatico, dal colorato latteo, che esalta le belle figurine decorate, e permette alla vernice di copertura di assorbire la decorazione, con un morbido effetto di sottovetro e toni cromatici delicatamente vellutati. La decorazione, inizialmente ispirata a quella di Meissen, si volge presto al gusto Rococò, divenendo sempre più elegante e raffinata. Amatissimi dai collezionisti i suoi biscuits, e gli animali, gli uccelli, le figurine sole e a gruppi diventano celebri in tutta l’Europa. A questi si affianca la ricca produzione di brocche e bacili, pomi di bastone di varie fogge, vasi policromi, pregevoli vasi bi-ansati, vasi da camino, tazze per uso domestico, caffettiere, lattiere, servizi di piatti con decori in stile giapponese o paesaggi, gruppi floreali o di ispirazione mitologica, nonché vedute di ville napoletane: tutti di squisita fattura e decorazione, contrassegnati con il Giglio Borbonico, decorato in colore azzurro sottovernice o incusso. Ma la massima espressione dell’abilità plastica e pittorica degli artisti di Capodimonte è il Salottino di porcellana, creato dallo scultore Giuseppe Gricci per il boudoir della regina nella Reggia di Portici, tra il 1757 ed il 1759, ed oggi conservato nella Reggia di Capodimonte. Ma nel 1759 Carlo III°, chiamato a succedere al fratello sul trono di Spagna, smantella la Real Fabbrica, che ricostruisce nel castello del Buen Retiro presso Madrid, e conduce con sé le forme e buona parte delle maestranze. La produzione a Napoli riprende solo nel 1771 grazie al Re Ferdinando IV, che fonda la Real Fabbrica Ferdinandea, dove artisti di varia provenienza creano una vera e propria Scuola d’Arte. Nella produzione della fabbrica si possono individuare tre periodi: il primo dal 1772 al 1779, il secondo, detto periodo d’oro, dal 1779 al 1800, sotto la direzione di Domenico Venuti, ed il terzo, dal 1800 al 1806, anno di cessazione dell’attività. Nel periodo d’oro la produzione è ricchissima e di elevata qualità: sontuosi servizi da tavola ispirati a pitture, prezioso vasellame, bronzi con rifiniture in porcellana di carattere floreale, vasi e sculture, specchiere con decorazioni policrome di figurine, amorini, uccelli e fiori, e la realizzazione di elementi di arredo: pannelli murali, soffitti, pavimentazioni, colonne e lampadari. I marchi utilizzati sono dapprima le iniziali R F (Real Fabbrica), variamente stilizzate e sormontate dalla corona regale, dipinte in blu, rosso, pulce, nero, mentre dal 1788 circa compare la N sormontata da corona, dipinta generalmente in blu sottocoperta. Dal 1800 inizia per la fabbrica un periodo molto difficile, legato alle vicissitudini politiche di Napoli, che porterà infine alla sua chiusura nel 1806; Giuseppe Bonaparte nel1807 firma il contratto di cessione ad una società di privati rappresentata dallo svizzero Giovanni Poulard Prad. Nel 1811 G.L. Ginori acquista gli antichi modelli per la riproduzione dei prodotti della fabbrica, col diritto di apporvi la marca originale. Il marchio riappare ufficialmente solo nel 1961, quando un decreto presidenziale autorizza l’Istituto G. Caselli a depositare nei modi di legge e ad usare per i suoi prodotti un marchio di fabbrica che, richiamando quello delle antiche fabbriche di Capodimonte, sottolinei la continuità storica della tradizione.
Giudizio di Paride. Roma, Musei Capitolini
Napoli, Museo Duca di Martina
Il boudoir della Regina. Napoli, Museo di Capodimonte
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