La storia del corallo di Trapani ha origini molto lontane: già nel secolo XII° il viaggiatore arabo Idrisi, autore di celebri resoconti di viaggio, magnificava la pregiata qualità del rosso materiale trapanese. Determinante per la promozione delle attività di lavorazione e vendita del corallo è la forte presenza di Ebrei in Sicilia e a Trapani in particolare, provenienti da vari paesi affacciati sul Mediterraneo, specialmente dalla Tunisia. Fino alla loro cacciata dall’isola nel 1492 (editto dei re di Spagna Isabella e Ferdinando d’Aragona) moltissime famiglie ebraiche si dedicano all’arte del corallo. Una delle più note famiglie di corallari ebrei è quella dei Cuyno (o Cuchino) presente a Trapani per tutto il 1400, molti membri della quale risultano maestri con propria bottega o lavoranti presso parenti o imprenditori; altre famiglie ebree con laboratorio o bottega sono gli Actono, i Bulfarachi, i Chagegi, i Chilfa, i Chiusi, i Cuxa, i Greco, i Laurifici, i Levi, i Lu Presti. L’attività dei corallari è testimoniata a partire dal XIV° secolo in alcuni inventari che riportano descrizioni di oggetti in corallo di uso profano e scaramantico: dapprima semplici rami, poi man mano la tecnica si perfeziona, fino ad arrivare a sfruttare le forme arborescenti per realizzare elaborate composizioni fantastiche. Nel 1418 viene scoperto nel mare di Trapani un giacimento di coralli che il Viceré aragonese permette di sfruttare, dando slancio alla pesca e alla lavorazione del corallo negli anni successivi. Altro elemento che promuove l’espansione del settore è la ricca e prestigiosa committenza: il corallo inizia a ad essere elemento decorativo di prestigio, e la Corte, la nobiltà, il patriziato, il clero ricercano e acquistano questi oggetti lussuosi, insoliti e preziosi, preferendo i manufatti realizzati con tecniche sofisticate e frutto della contaminazione con l’arte di terre lontane. Sempre più spesso le opere dei maestri corallari, grazie alla maestria dell’esecuzione, il gusto estetico, le tipologie elaborate e l’originalità nelle scelte progettuali, sono richieste come dono per personaggi di altissimo rango, come la famosissima (ma perduta) Montagna di Corallo, inviata dal Viceré al Re di Spagna Filippo II°, così chiamata per le sue dimensioni e la complessità della composizione, che comprendeva due interi presepi, una fuga in Egitto, venticinque giochi d’acqua, quattro cappellette e molte figurazioni relative alla Passione, alla Crocifissione e alla Flagellazione; oppure il Capezzale con la Madonna di Trapani donato a Vittorio Amedeo di Savoia nel 1713; e ancora lo splendido esemplare di Presepio in corallo, argento dorato, rame e bronzo dorato custodito presso la Galleria Estense di Modena, risalente al XVIII secolo e proveniente da una bottega trapanese, segnalata in un documento del 1869 come parte dell’arredo del Palazzo Ducale di Modena. L’arte della lavorazione del corallo raggiunge a Trapani il suo massimo splendore tra la fine del 1500 e l’inizio del 1700, grazie alla concomitanza di diversi fattori: la scoperta di nuovi banchi, la concessione di privilegi di pesca, le esenzioni daziarie, le politiche commerciali ed economico-sociali, le nuove scelte di tecniche di pesca e lavorazione. Il maestro corallaio compra il grezzo direttamente dall’armatore, e una volta lavorato, lo affida agli Zafferanari (venditori ambulanti di spezie) che lo distribuiscono sul mercato locale e anche nei mercati stranieri. Tra il 1418 e il 1460 a Trapani si contano oltre 70 corallari (fra ebrei e cristiani), lavoranti e apprendisti, che si tramandano il mestiere da padre in figlio, e le botteghe allineate nella Via dei Corallari arriveranno ad essere ben 25. Nel XVI° secolo il maestro Antonio Ciminello inventa un nuovo metodo di lavorazione con il bulino, che consente di realizzare raffinate sculture, anche molto piccole, e preziosi cammei di elevatissimo livello tecnico e di grande perfezione estetica. Altra tipica famosa lavorazione trapanese è la tecnica del retro-incastro, che unisce con grande perizia il corallo a rame e bronzo, spesso dorati, e raramente al più prezioso argento, sovente arricchendo l’opera con smalti di vari colori, bianco, nero, azzurro. Spesso i corallari (i maestri che svolgono lavorazioni più semplici, come le sfere per bracciali, collane ecc, e gli scultori che invece si sperimentano in opere complesse sui rami di corallo di grandi dimensioni) lavorano in collaborazione con bronzisti, orafi e argentieri, creando veri capolavori. La prima opera trapanese firmata e datata è la straordinaria lampada a sospensione eseguita dal frate francescano Matteo Bavera nel 1633, e ora conservata nel Museo Pepoli di Trapani, dove si trova anche il Crocefisso, realizzato in un unico pezzo di corallo, che gli viene tradizionalmente attribuito. La produzione è comunque molto diversificata: oggetti di uso domestico (vassoi, cofanetti, piatti, candelabri, specchiere), gioielli (collane, orecchini, spille, bracciali, fermagli), e poi manufatti di uso liturgico, dai più semplici rosari ai calici, ostensori, pissidi, crocifissi, acquasantiere ecc. Molti gli artisti degni di essere menzionati, spesso appartenenti a famiglie che si tramandano di generazione in generazione l’arte del corallo. E’ infatti una caratteristica di Trapani la presenza di tanti artigiani corallari legati da vincoli di parentela e attivi per lunghi periodi. Ricordiamo in particolare la famiglia Ciotta, scultori che lavorano vari materiali (legno, corallo, avorio, pietre dure), il cui primo esponente documentato è il capostipite Giuseppe con i figli Giacomo, Mario senior, Ippolito e Pietro. Un discendente, Ippolito, esegue numerose opere in corallo fra cui due “macchine” (composizioni scenografiche di rame, corallo, smalto e argento) con le figure di S. Francesco Saverio e S. Francesco di Paola; troviamo poi un altro Ciotta, Sebastiano, fra i firmatari dei “Capituli della maestranza delli corallari et delli scultori di esso corallo della città di Trapani”. Sempre nel 1600 sono documentati Vito Bova (autore di numerose opere, fra le quali crocifissi grandi e piccoli e svariati oggetti di oreficeria), Francesco Antonio Brusca, anch’egli fra i firmatari dei Capituli insieme a Giacomo Bartulotta, Nicolao Di Renda, Antonino, Ignazio e Simone De Caro, Giovanni Pirao, Giuseppe Rinaudo, Cono e Mario Rizzo, i fratelli Andrea, Gaspare e Vito Sole; Andrea Sole, in particolare, esegue molte opere per il Principe Claudio La Maraldo di Lignè, Vicerè di Sicilia: alcune di queste, tra cui un cofanetto simile alla “Scatola” conservata al Museo Pepoli, sono state vendute all’asta da Sotheby’s nel 1994. Tra i più abili esecutori di crocifissi in avorio, corallo e pietra incarnata (un tipo di alabastro della zona) possiamo citare Giuseppe, Andrea ed Alberto Tipa, attivi nel 1700, e ancora la famiglia Tardia, con Ignazio maior, Antonio e Ignazio minor. Sul finire del 700 il periodo d’oro si avvia però alla sua conclusione; nel 1800 troviamo ancora artisti di ottimo livello, come Leonardo Guida, invitato dalla Commissione governativa d’Italia ad esporre sue opere alle Esposizioni internazionali di Firenze del 1861 e di Londra del 1862, Giovanni Pizzitola, primo premio all’Esposizione Provinciale di Belle Arti di Trapani e medaglia di bronzo all’Esposizione di Milano nel 1881, Baldassare Sammartano, corallaro e scultore, documentato nel 1812. Ma ormai l’impoverimento dei banchi di corallo, in fondali sempre più profondi, il venir meno delle protezioni legislative, l’affermarsi della manifatture napoletane, segnano il declino della produzione e portano alla chiusura di molte botteghe fino a ridurle ad 8 nel 1880. Finalmente sul finire dell’800 l’istituzione della Scuola di Arti e Mestieri riporta in parte l’attenzione su questa antica arte, tuttora praticata a Trapani. (mb49)
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