Con piacere presentiamo un pezzo che si credeva perduto.
Biblioteca di Giuseppe Maggiolini (su disegno dell’architetto Luigi Canonica) commissionata per ordine di Napoleone Bonaparte attraverso i suoi organi di potere. Destinata inizialmente alla sede del Ministero delle Finanze.
Con il 1803-1804 a Milano è ormai stabilmente Stato satellite della Francia napoleonica. L’insediamento della corte e l’incoronazione di Napoleone permettono a Maggiolini una ripresa delle commissioni per i palazzi imperiali che devono essere arredati ex novo dopo le spoliazioni del 1796. Del 1807 è la biblioteca del ministro delle finanze di Napoleone Giuseppe Prina che andrà perduta nell’aprile 1814 quando l’odiato Ministro sarà linciato dalla folla, il palazzo saccheggiato e in parte dato alle fiamme. Dell’opera perduta si conserva il progetto dell’architetto Luigi Canonica (1764-1844).
Il testo sopra è tratto da ciò che scrive Beretti sul catalogo “Maggiolini al Fuorisalone” del 13-19 aprile 2015. Evidentemente nel 2015 ancora non era a conoscenza che la parte principale della biblioteca fu salvata e riutilizzata. Analizzando il disegno pubblicato sempre da Beretti si riconosce con indubbia chiarezza il mobile da noi presentato come parte centrale della parete principale. Dunque non più perduta ma salva!
Le essenze sono quelle della noce nazionale, acero, bosso, tasso, legno di rosa, ulivo e poi alcuni legni di frutto come prugna, albicocca ed altri non facili da identificare. Il mobile è giunto a noi in ottimo stato ed in prima patina. Gli interni tutti originali come i vetri soffiati. Una superficiale pulizia, eseguita dai nostri restauratori, ha permesso di mettere in evidenza la magnifica quanto tipica varietà di colori delle essenze messe a contrasto in modo sapiente dal Maestro di Parabiago. Le grandi tarsie, che separano le tre parti della base, realizzate in acero su acero nascondono ampi spazi segreti. La parte altra invece presenta grandi lesene grissinate con una variazione di colori notevole e terminano in alto con 4 capitelli ionici intagliati e laccati in tinta guscio d’uovo. Nel cornicione a più ordini si ripresentano numerose cornici alternate non solo per tipo di essenza ma anche per direzione della venatura come sul fascione del fondo e in prossimità del sotto piano. L’ultimissima parte del cappello riporta una tarsia ad ovuli e frecce tipicamente utilizzata sia da Maggiolini che poi da Maffezzoli.
Il mobile è decisamente bello. Classico e maledettamente perfetto. Osservarlo è una soddisfazione perché più lo esamina e più emerge l’esperienza che è stata messa in campo dal Canonica nel disegno e Giuseppe Maggiolini nella realizzazione.
Visibile su appuntamento presso la nostra Galleria a Milano vi invito a vederlo dal vero lasciandovi con una scommessa, Vi stupirà moltissimo.
Gabriele Gogna
Misure: 385 x 71 cm – altezza totale 360 cm
altezza piano 98 cm
(TUTTI GLI OGGETTI PRESENTI NELLA VETRINA “NON IN VENDITA“)
Giuseppe Maggiolini Parabiago, 1738 – 1814. Famoso ebanista italiano. Scarse le notizie relative alla sua formazione e agli esordi; fondamentale sembra il suo incontro con il pittore Giuseppe Levati, che nel 1765, impegnato nella decorazione di Palazzo Litta a Lainate, vede i suoi mobili e, apprezzandone la straordinaria qualità, gli apre le porte della committenza aristocratica milanese. Caratteri dominanti della produzione di Giuseppe Maggiolini sono una grandissima e innovativa abilità tecnica e una eccezionale sensibilità pittorica. Il cromatismo dei suoi intarsi è arricchito nei chiaroscuri dall’inserimento di tessere trattate con un procedimento di sua invenzione, la brunitura a fuoco (messa a punto nel 1788), e accostate con tanta arte che quasi non se ne vedono le connessioni. La rifinitura è splendida, con ombreggiature sapienti e la marcatura a bulino dei profili. L’artista usa molte e diverse essenze: bois de rose, bois de violette, palissandro, mogano, noce d’India, ebano del Macassar, corniolo. I colori sono naturali, ad eccezione di verde, blu, celeste e rosa pallido, che ottiene tramite immersione delle tarsie in soluzioni chimiche, poiché non esistono legnami di tali cromie. Raramente utilizza l’avorio e le pietre dure, mentre i manufatti destinati a committenze regali o aristocratiche sono spesso impreziositi da bronzo cesellato e dorato e da vere e proprie sculture a cera persa; nei suoi mobili spesso sono presenti ingegnosi congegni meccanici, secondo un uso molto diffuso in Francia e ben noto anche in Italia. Nel 1771 arriva la definitiva consacrazione dell’artista con la chiamata a Milano per realizzare gli apparati effimeri dei festeggiamenti per le nozze tra l’Arciduca Ferdinando d’Asburgo, governatore di Milano, e la duchessa Maria Beatrice d’Este. Dal 1773, sotto la direzione dell’architetto Giuseppe Piermarini e dell’ornatista Giocondo Albertolli, Giuseppe Maggiolini è impegnato nella realizzazione di mobili e di pavimenti lignei nel Palazzo Reale di Milano, opera che gli vale il brevetto con patente di Intarsiatore delle Loro Altezze Reali (da cui deriva l’apposizione su molti mobili dell’omonimo cartiglio Intarsiatore delle LL.AA.RR. ). Sempre per l’Arciduca esegue moltissimi lavori destinati alle diverse residenze reali o all’invio in diverse corti europee come raffinati doni diplomatici: così i suoi mobili arrivano a Vienna, Praga, San Pietroburgo. Contemporaneamente, la collaudata ed efficientissima bottega di Parabiago produce mobili di uso comune, in legno massello oppure ornati in modo limitato. In questo periodo la produzione dell’artista è ancora allineata al gusto per la cineseria e l’esotismo, ma ben presto i contatti con Giuseppe Piermarini, Giocondo Albertolli e Agostino Gerli, tra i più accesi sostenitori del rinnovamento del gusto, lo inducono a cogliere le istanze di rinnovamento da loro portate in Lombardia. Attraverso la sua ricerca di un’unione armonica tra semplicità, comfort, eleganza ed eredità classica, approda al Neoclassicismo, creando nuovi modelli architettonici e decorativi. Di questa svolta è testimone la coppia di commodes (forse realizzata per la famiglia Greppi), capostipiti di una nuova tipologia di mobile, dalle forme squadrate e semplici, abbellito da cornici e fasce orizzontali e verticali, disposte attorno a grandi cartelle figurate. I soggetti degli intarsi non si rifanno più al lontano Oriente, ma al mondo classico, e sono allegorie, scene mitologiche, architetture in prospettiva e rovine monumentali, le cui forme sono suggerite all’intarsiatore da artisti come i succitati Levati, Appiani, Gerli e Albertolli. E’ il periodo d’oro dell’artista, i cui mobili diventano elementi irrinunciabili dell’arredamento alla moda, sia per l’aristocrazia che ammoderna i propri palazzi che per l’alta borghesia che desidera marcare il proprio status. Naturalmente le committenze prestigiose sono realizzate con il sostegno progettuale degli ormai collaudati collaboratori, architetti e ornatisti (Levati, Appiani, Cantaluppi, Gerli), e la bottega, anche a fronte di una grande quantità di manufatti prodotti, mantiene un alto standard esecutivo, che la distingue fortemente dalle botteghe concorrenti. Nel 1796 la cacciata dell’Arciduca Ferdinando ad opera dei Francesi segna la fine di quest’epoca di creatività e successo. Solo verso il 1803-1804, in occasione dell’insediamento della Corte e l’incoronazione di Napoleone, c’è una ripresa delle commissioni, ma il gusto è ormai mutato, e la delicata raffinatezza dei mobili di Maggiolini non è in sintonia con il gusto dell’Impero. Alla sua morte la bottega viene ereditata dal figlio Carlo Francesco, che lo aveva sempre affiancato nella conduzione della bottega, e che produrrà ormai solo per una committenza borghese, provinciale e sempre meno prestigiosa.
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